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L'Arte del Game Design

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Davide Losito - ( Khana ):
No perché ti puoi avvicinare alla soggettività dell'autore solo nel momento in cui:
1. fai il percorso di avvicinamento con lui (e già è raro, si chiama "apprendistato" di norma)
2. hai avuto lo stesso bagaglio di esperienze dall'infanzia a ora e quindi gli stessi strumenti cerebrali per analizzare il mondo intorno a te (impossibile, neanche se sei un suo clone)

Mauro:
Quindi il percorso è di avvicinamento a cosa? "All'opera" mi pare una risposta che lascia un po' il tempo che trova, nel senso che "Per capire il codice dell'opera devi avvicinarti all'opera" mi pare abbastanza ovvio; inoltre se "il codice è talmente soggettivo da aver bisogno di un vero e proprio percorso di avvicinamento per essere compreso" (cito da Ezio) mi pare richiamare la soggettività dell'autore: se fosse la mia, trovare l'opera incomprensibile significherebbe "soltanto" che la mia soggettività la trova tale.
Avvicinarsi all'autore, studiando la sua vita, le sue idee, ecc., mi pare rientrare in quanto detto nel mio scorso messaggio (non farà arrivare alla stessa soggettività dell'autore per i motivi che dici, ma credo comunque che possa avvicinare a essa).

Davide Losito - ( Khana ):
Avvicinamento ai rapporti semantici e poietici che caratterizzano l'opera.
L'arte è una funzione, non è un oggetto :)
L'opera è un pezzo di una funzione, quello più materiale.
Paradossalmente non è molto diverso dalla struttura f(x) = n; tu vedi n e non sai quale f(x) l'abbia generato. Questo "non sapere", nell'arte, ti fa percorrere a ritroso un viaggio che di norma è esperibile solo nel senso opposto.
Generi quindi un ossimoro, un "non detto che parla", un "vuoto che riempie" perché sei tu che cadendo nel vuoto della tua personale necessità di dare a tutto ciò che vedi un senso, di fatto quel senso lo crei attraverso un significato esclusivamente tuo.

Si stabilisce quindi una sorta di singolare impostazione tale per cui l'atto creativo originario che ha mosso la mano dell'artista crea un oggetto che è un segno privo di significato, ma che fa scattare un simile, contrapposto e riflesso atto creativo nel fruitore (tu), che inconsciamente si ostina a dare un senso a quello che vede.
L'atto creativo si fa quindi portatore dell'unico messaggio possibile: se stesso.
L'opera d'arte è un veicolo attraverso cui la funzione "messaggio di atto creativo" fluisce da un soggetto ad un altro.

E' un circolo virtuoso non dissimile da certi livelli di "pazzia".
Esistono non a caso anche sintomatologie border-line che si manifestano quando questo processo riflessivo scatta, tipo la famosa/famigerata sindrome di Stendhal, ossia la catatonia di fronte alla visione di un'opera d'arte. E' il non riuscire a colmare quel vuoto che si frappone fra te e l'opera che -dovrebbe- spingerti ad una sorta di ricerca interiore riflessiva, ma che di fatto non lo fa e genera ansia.
Qui però ho sconfinato dai miei ambiti e mi limito all'accenno ^^

Ezio:
Se volete comprendere questo paradosso vi suggerisco di dare un'occhiata all'opera di Malevi?.
Per il resto invito a non trasportare la discussione sui livelli elevati dell'estetica ;-)

Paolo "Ermy" Davolio:
Torno un poco più in basso allora ;)

Dal canto mio, queste cose un po' adesso le sto studiando (a gennaio devo dare l'esamino di Estetica + Iconologia) ma ancora non sono in grado di parlarne in maniera "sicura" (nel senso di essere sicuro di non dire castronerie che gli altri sarebbero obbligati a prendere per vere) quindi per ora su questo mi astengo.

Mi piacerebbe invece portare un altro contributo, prendendo la discussione da un lato diverso:
già da un po', mi sono accorto di notevoli somiglianze tra la programmazione (sì, quella d'informatica) e il game design. Proprio al livello dei procedimenti da seguire... Entrambe le cose trattano di "problem solving", cioè risoluzione di problemi, applicazione di procedure ed elementi già noti per creare qualcosa di nuovo (generalmente per creare un nuovo "approccio" alla realtà, per risolvere un problema appunto).
Il "problem solving" tra l'altro è un termine rubato alla psicologia... Ma toh! Chissà perchè? ;)

Perchè si tratta di creatività (che è una procedure mentale), ovvero: mettere in relazione le conoscenze che hai già per ottenere qualcosa di nuovo.

Provate a pensarci, provate ad applicare questa definizione ad una delle vostre ultime partite ad un qualsiasi gdr.
Ci provo io:

Cani nella Vigna: durante il freeplay, tutti e tre i Cani puntano la pistola in faccia al vecchio infedele sul letto di morte, che se l'era cercata. Subito dopo, mi visualizzo la scena come se il vecchio, in prima persona, veda i buchi dei tre cannoni quasi appoggiati al suo naso. Perchè esteticamente è gradevole: è un'immagine impressionante, molto western-style, drammatica, in linea con le nostre aspettative di gioco. Quindi la descriviamo.

Cos'ho fatto?

Ho messo in relazione gli elementi:
pistole - vecchio - distanza - inquadratura - aspettative di gioco - piacere personale
che già conoscevo ed avevo in mente, col fine di generare qualcosa di nuovo: una scena che colpisse positivamente il mio immaginario.
Ho applicato la creatività: ho preso degli elementi che già conoscevo e li ho assemblati, relazionati, in maniera nuova per perseguire un fine (il divertimento).

Io penso che il gdr sia prima di tutto questo: creatività. Ma anche la programmazione è creatività, anche l'arte è creatività. La differenza è il fine: nella programmazione è un fine "pratico" (creare qualcosa che abbia una funzione utilitaristica), nelle partite di gdr è un fine ludico, nell'arte... Su quest'ultima ve lo sanno dire meglio Davide ed Ezio. ;)

P.S. : sono stato volutamente maccaronico: ho cercato di usare il meno possibile termini specifici e di restare terra-terra. Non me ne vogliano gli esperti di estetica e psicologia, ma qui preferisco dare la precedenza alla comprensibilità e alla divulgazione.

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