Quindi presumo vorrai adeguatamente ringraziare chi te li ha fatti conoscere, vero, Lavi? :-P
[cite]Autore: Mauro[/cite]Dovrei rileggerli, non ricordo molto di 'sti dialoghi (anzi)...
I libri delle guardie sono punteggiati più o meno frequentemente da incontri tra il Patrizio e una Guardia, solitamente Vimes, in cui si fa "il punto della situazione". Nella fiction Vetinari carica la molla-Vimes, in modo da farlo incazzare abbastanza da volersi sfogare andando a pestare qualche piede di "cittadino rispettabile" per proteggere la SUA città e risolvere quindi il caso. Esistono alcune notevoli eccezioni a questo schema: in nightwach c'è un dialogo all'inizio e uno alla fine, a causa della struttura stessa del romanzo, mentre in Uomini d'Arme il discorso finale è tra Vetinari e Carota sul significato di poliziotto e di politico.
Questo non è mai la chiusura reale del romanzo, ma è un momento di riassunto che è sempre presente.
In pratica in questi dialoghi Pterry sembra proprio parlare per bocca dei suoi personaggi, in particolare nell'ultimo di ogni romanzo. Spesso Vimes sputa con acredine una tirata idealistica, che ho sempre sentito molto come ciò che Pratchett vorrebbe dire, l'utopia che gli piacerebbe veder realizzata, ma che si rende conto non può fare a causa della pura e semplice realtà dei fatti. Vetinari è appunto la voce di questo ostacolo, e nel confronto Vimes/Vetinari di solito si arriva ad una sintesi in cui l'ideale-Vimes viene filtrato attraverso il reale-Vetinari, declinato secondo canoni di politica reale e tradotto in realtà il più possibile. Come se Pterry dicesse: "Guardate, questo è quello che, penso, bisognerebbe pensare per migliorare le cose. Forse farlo esattamente così è impossibile, ma guardate che se lo si vuole davvero
qualcosa in questo senso possiamo farlo."
[cite]Autore: Mauro[/cite][p]Manifesto di che genere?[/p]
Witches Abroad parla, tra le altre cose, di storie, soprattutto di Favole, spingendosi fino a
Il Mago di Oz, ovvero quelle storie da cui il fantasy, in un certo senso, trae origine.
I clichè, i topoi e le varie convenzioni del genere vengono in quel libro presi e, attraverso gli occhi delle protagoniste, criticati aspramente.
Mi è sempre sembrato che con quel libro Pterry faccia un buon "reality check" al genere, rifiutando categoricamente aspetti tipici quali l'eroe che è Il Buono perché l'Autore ha così deciso, senza nessuna motivazione reale (anzi!) o completamente distaccati dalla realtà ("Ma come? Tua mamma sa che nel bosco c'è un lupo e ti manda lo stesso a portare la merenda alla nonna? Ma è scema?"). Magrat viene usata come leva per scardinare queste visioni quando si mette a fare la Fata Madrina: in un fantasy/favola sarebbe in grado di farlo, perché non c'é bisogno di altra motivazione che la bacchetta per essere esempi da seguire, in WA fa un disastro perché, in realtà, non ha né le capacità né le motivazioni adatte. Insomma... è un personaggio tridimensionale che inserendosi a forza in uno scenario monodimensionale lo fa esplodere.
A spazzare via i pezzi ci pensano Granny e, soprattutto, quel gran bel pezzo di realtà massiccia che è Nanny Ogg. Sono sporche, cattive ed egoiste, ma sono le eroine perché sanno quello che fanno, e si impegnano a farlo.
L'eroe di Pratchett non è quindi tale perché così deve essere, ma perché si impegna con tutte le sue forze per esserlo.
Dove il fantasy tradizionale trasmette un messaggio per lo più predeterministico e, soprattutto, tende a svicolare sull'impegno reale, sul duro lavoro, sulla volontà concreta (pur spesso cercando di fare il contrario), il fantasy di Pratchett trasmette realmente un messaggio rivolto alle persone comuni, con valori comuni e condivisibili. Nelle sue storie le abilità usate dai suoi eroi per sconfiggere possenti entità magiche sono, fondamentalmente, quelle che servono a un fornaio per fare il pane.
Tutto questo, in
Witches Abroad viene detto in maniera praticamente palese, e l'esposizione di questa tesi è strettamente intrecciata allo svolgersi del racconto.
Almeno credo ^^