A seguito di un chiarimento privato con khana (iniziato perché avevo l'impressione - poi confermata - che alcune parti dei miei messaggi fossero equivocate), cerco di chiarificare il mio pensiero in materia.
Innanzitutto: io non sono convinto che una storia reale dia più impatto di una realistica; anzi: il mio dubbio è proprio perché una storia che sembra in tutto e per tutto reale (significato con cui uso "realistica" in questa sede) darebbe meno impatto di una che è reale; mentre una storia che ovviamente non è reale darebbe lo stesso impatto di una che lo sembra. Se è vera reale > realismo (come quantità dell'impatto emotivo, non nel senso di migliore), allora mi pare ancora più vero che realismo > fantastico, perché si è aggiunto un ulteriore, e più forte, distacco dalla realta.
Può essere vero che leggere una storia come
Don't Tell Mummy credendo che sia finzione; e sapere che c'è qualcuno che l'ha veramente fatto; cambi cosa si prova (se non altro perché l'incazzatura passa da un inesistente personaggio a una specifica persona; ma questo potrebbe essere focalizzazione, piuttosto che vicinanza). Non sono però certo che il passaggio reale => realistico sia tale da inserire necessariamente un filtro.
Ora, il discorso del fantastico: per me inserisce un filtro? Dipende. Sicuramente credo che un elemento sovrannaturale
rilevante per le vicende che vanno a toccare il lettore possa inserire un filtro emotivo.
Per esempio: se muore un personaggio e si sa che è possibile riaverlo, è ben diverso dal doverci convivere; questo perché il dolore di vivere la morte risiede (anche) nel fatto che non si vedrà mai più il morto: se la morte diventa un "Ci vediamo tra dieci minuti", è come se il morto fosse uscito a prendere le sigarette.
Magari ciò che il padre fa per riavere il figlio innesca milioni di cose che aprono milioni di Premesse (termine tecnico), che in quanto tali hanno rilevanza e impatto a livello umano; ma tale impatto non deriva dalla morte. In pratica, credo sposti il fulcro: l'impatto emotivo non è la morte del figlio, che è reversibile, ma quello che il padre fa per annullarla.
È stato detto che, inserendo elementi fantastici, l'importante per non perdere di impatto è che il fantastico non sia ciò che risolve tutto; partendo da quest'assunto: se il fantastico mi fa risolvere la morte, allora non è la morte che genera emotività.
Ora: il figlio del protagonista muore e c'è un Drago sullo sfondo? Chi se ne frega.
Il figlio del protagonista muore e c'è a fianco un chierico pronto a resuscitarlo? Impatto azzerato (tra l'altro: è uno dei motivi per cui trovo ridicolo il finale del film di D&D: tutti a disperarsi per la morte di uno... in un mondo con la resurrezione).
È la possibilità di annullare l'evento che credo tolga forza all'evento stesso.
Nell'ambito dei giochi di ruolo in cui il sovrannaturale è in mano ai giocatori, può agire da valvola di sfogo: mi da troppo fastidio che Fratello Joshua sia stato ucciso? Lo resuscito, e questo attenua l'impatto emotivo.
Poi c'è il discorso razza, che è ancora diverso: come detto, credo (non avendo esperienza di libri in tal senso) che
Don't Tell Mummy con Elfi come protagonisti mi avrebbe preso meno; e credo che questo sia perché la protagonista umana potrebbe essere qualcuno che conosco, una parente, mentre se fosse un'Elfa... non potrebbe, perché nemmeno esiste.
Khana, giustamente, mi ha chiesto qual è la differenza con la cultura maori, che è tanto lontana quanto quella elfica; la differenza credo sia che, per quanto quella cultura sia lontana dalla mia, sono comunque Uomini, che come gli Elfi hanno (parlando di personaggi di una storia) la barriera "Il personaggio non esiste", ma non hanno né quella "La razza non esiste", né quella "Il personaggio non potrebbe esistere" (in quanto è un Elfo).
Forse, il problema è questo: se i protagonisti sono Umani, sono comunque personaggi che potrebbero esistere; se sono Elfi (o altre razze), a prescindere dalla caratterizzazione si sa che non potrebbero esistere. Quindi, si crea un livello (o, se preferite, un ulteriore livello) di sospensione dell'incredulità, che richiede da un lato di essere creato (devo sospendere l'incredulità), dall'altro di non essere spezzato.
Inoltre, finché ci sono Elfi credo sia piú facile, quando la storia diventi troppo forte, rifugiarsi in un comodo "Ma sí, tanto è solo un racconto", proprio per la presenza di qualcosa che lo separa nettamente dalla realtà.
La questione diventerebbe quindi fortemente soggettiva: posto che l'elemento fantastico non sminuisca l'evento (nel senso morte-resurrezione detto prima), dipenderebbe da quanto il singolo riesce da un lato a non sfruttare la comoda scappatoia del "Tanto è un racconto"; e dall'altro da quanto risente di quel livello di sospensione dell'incredulità che viene inserito.
C'è poi un'ulteriore questione, su cui non mi sono ancora soffermato: se prendiamo per vero il principio di
play close to home, inserire elementi su elementi che distanziano l'opera dall'esperienza, fermo restando che non siano il modo con cui si risolve tutto, può essere fatto indefinitivamente senza toccare l'impatto emotivo? O avere un'opera "vicina a casa" è avvantaggiata?
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Il lettore, a quel punto, è in grado di superare il terrificante panico che sente di fronte a queste parole, o scappa terrorizzato? E se lo fa, non è un limite?
Sí; ma se
il lettore non riesce a superare la paura è un limite del genere o del lettore?