Ok, allora apro le danze.
Dovete perdonarmi: non so se ho scritto troppo o troppo poco, ma dovendo fare da solo, senza feedback, non ero sicuro di aver fornito materiale per claim a tutti.
Sono sicuro che mi perdonerete

Il mio personaggio sarà
Cullen, un ragazzo (ma credo già uomo nella cultura di quel periodo) sulla sedicina d'anni, tremendamente grosso per uno della sua età. E' il figlio primogenito di un capo Clan temuto e rispettato per la sua forza, la sua audacia e la sua risolutezza. Nascondendosi -anche inconsciamente- dietro alla figura di questo padre così autoritario e ben voluto, Cullen ha potuto occuparsi poco delle questioni della "famiglia" per dedicarsi a cose a lui più congeniali: è infatti un ragazzo semplice, con pochi desideri di gloria, che ama più di tutto dedicarsi alla caccia, agli animali e alla vita "nomade" nei boschi.
La Vulnerabilità la dichiaro subito così sappiamo subito dove dirigerci durante la scena.
Vulnerabilità:
sono vulnerabile perchè il Clan mi vede come il degno erede di mio padre, forte ed impetuoso, quando invece odio la violenza.ScenaLocation: un piccolo forte romano poco oltre il vallo, che i celti hanno scelto di attaccare, avendo saputo che gli invasori intendono marciare con intenzioni piuttosto serie di lì a poco.
Immaginate che l’inquadratura sia in soggettiva. E’ notte, ma un’enorme luna piena irradia la sua luce argentata sulla scena; e c’è altro che fa luce. Sono fuochi. La camera segue lo sguardo di questa persona: si volta velocemente da una parte e dell’altra, evidentemente spaventata, preoccupata.
Questa persona comincia a muoversi, correndo, cercando di acquattarsi: è evidente che cerca di sfuggire da qualcosa o da qualcuno.
In “primo piano” si sente il suo respiro, affannoso, pesante. Ma in sottofondo quello che si sente sono rumori di battaglia, grida, urla, qualcosa che si infrange.
Immaginate che la camera inquadri, seguendo lo sguardo di questa persona, alcune strutture, baracche di legno e poco più. Mentre scappa si vedono due uomini armati di falce, due celti, prendere d’assalto un soldato romano: uno gli arriva da dietro e, con la falce, lo sgozza. Dalla visuale di questa persona si vede che impugna un’ascia –nulla di elaborato: solo un’ascia un po’ più grande di quelle che si usano per spaccare la legna.
Intorno è ancora confusione, battaglia.
Cullen sta cercando un posto dove nascondersi. Le urla straziate di chi sta morendo sembrano laceragli i timpani e non solo. Per ogni morto ammazzato che vede sente come una lama affondargli nelle viscere.
Sa che non vuole fare nulla del genere; lo trova odioso, sbagliato, inutile. Nessuno dovrebbe morire: non così, almeno. Allora cerca riparo dalla battaglia: si è già allontanato molto e ormai è praticamente a ridosso della palizzata che difendeva il castrum romano. Spera di potersi nascondere nello spazio che separa una delle baracche dalla palizzata. E così, quando penetra nel “viottolo” è assolutamente colto alla sprovvista.
Si ritrova a pochi passi da un romano e da una donna…una celta. Cullen è paralizzato dal terrore.
Il soldato sfodera una spada corta e tozza e si mette davanti alla donna, come a proteggerla.
La donna stringe al petto un fagottino: è suo figlio.
Il soldato fissa Cullen. E’ determinato, ma Cullen gli legge anche paura negli occhi; paura e tristezza.
La donna singhiozza disperata: “Ti prego, lasciaci vivere. Ti giuro che ce ne andremo da qui, che non diremo niente. Ce ne staremo per conto nostro. Ti prego!”
Il bambino intanto piange e i rumori della battaglia sembrano avvicinarsi.
Il soldato romano alza la spada verso Cullen.
La donna gli mette una mano sul braccio e guardando Cullen dice disperata “Ti prego, io amo quest’uomo. Lasciaci vivere”. Mentre la donna parla l’uomo si volta per un istante a guardarla, con gli occhi pieni di lacrime.
Allora Cullen si avvicina a loro.
Il soldato alza la daga.
“Vi aiuterò, ma dovete fare in fretta!”. La donna sembra incredula, ma il ragazzo guadagna la sua fiducia gettando l’ascia dietro di se. Il soldato lo punta ancora con la spada, ma la donna, parlandogli nella sua lingua, evidentemente lo convince. Insieme spingono prima la donna oltre la palizzata e poi calano giù il neonato.
Resta solo il romano e Cullen è pronto, con tutta la sua prestanza fisica, ad aiutarlo a scavalcare.
I rumori della battaglia sembrano ancora più vicini ed il ragazzo vuole sbrigarsi, terrorizzato non solo dal fatto che la sua gente possa trovarlo lì, intento ad aiutare un nemico, ma dal pensiero di quello che potrebbero fare al romano.
Ed è proprio in questo clima di ansia che due occhi gialli, animaleschi, si accendono alle spalle del soldato. Se ne accorge solo Cullen.
Un lupo grigio avanza verso di loro, a passo sicuro, assolutamente non intimorito dalla confusione della battaglia. I due si fissano in un istante che sembra interminabile e nell’instante stesso in cui la bestia comincia ad accelerare il passo verso di loro, Cullen spinge l’uomo dietro di se. Cullen ha solo il tempo di girarsi per vedere il lupo balzare verso di lui, scavalcandolo ed atterrando poco distante dal soldato, che sta cercando di rialzarsi sui gomiti ancora intontito dalla spinta di Cullen, quando l’animale gli si avventa contro, puntando direttamente alla gola.
Cullen sa che può fare molto poco: preso dalla disperazione si volta in cerca dell’ascia che ha abbandonato, la brandisce e si rivolge subito verso i due. Il lupo ha agguantato il collo scoperto del soldato. “E’ strano” pensa il giovane cacciatore, che ha già avuto brutte esperienze coi lupi “non emette nemmeno un suono; non ringhia; non ha paura di tutto questo rumore”. Ma questo pensiero è un istante. Alza l’arma sopra la testa e la cala sull’animale, ma questo fa appena in tempo a scartare e resta ferito solo di striscio sulla schiena.
Gli occhi di Cullen sono fissi sulla gola squarciata dell’uomo, che gorgoglia e zampilla sangue scuro e denso, mentre muove le lebbra come cercando di mordere l’aria.
La voce della donna si sente appena oltre la palizzata: sta chiamando il soldato, preoccupata.
Cullen, ancora sconvolto, fissa gli occhi gialli del lupo, convinto di essere la prossima vittima. E in un soffio, rapito dal chiarore di quegli occhi ha la certezza di sentire una voce nella sua testa. Gli sembra la voce cupa e severa del padre, ma è diversa…non potrebbe dire che sia veramente la stessa.
“E’ questo il tuo dovere” gli dice secco.
Il lupo resta a fissarlo ancora per un attimo, poi si volta e se ne va.
Nello stesso momento dietro di lui si sentono delle voci, voci che Cullen riconosce. Sono i suoi. Non si volta nemmeno. Quelli si avvicinano, uno gli cinge le spalle con un braccio, stringendo vigorosamente.
“Bravo cugino! Non sei stato con le mani in mano vedo!”.
Un altro nel frattempo si è avvicinato al corpo del soldato e lo sta muovendo con la punta di uno stivale.
“Bella mossa quella di controllare che nessuno di questi maiali potesse scappare per avvertire gli altri! Non sei solo grosso e forte, allora; c’è anche un po’ di saggezza in te. Sei proprio il degno figlio di tuo padre”.
Gli altri ridono di gusto, soddisfatti per la vittoria, ma nessuno si accorge del fatto che Cullen, privo di qualsiasi sorriso, tenga l’ascia inerte contro il fianco e che una lacrima gli stia solcando una guancia.