Autore Topic: L'Arte del Game Design  (Letto 7041 volte)

Ezio

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L'Arte del Game Design
« il: 2009-12-15 12:14:14 »
Riprendo da qui .

Citazione
[cite]Autore: Mr Sick[/cite]EDIT @ Aetius(ma non solo) Io ho posto l'accento sulla comunanza col teatro per via del fatto che è l'esperienza più vicina che ho e perchè volevo mettere in evidenza gli aspetti che, secondo me, in Polaris e altri masterless, spingono verso il confine del gioco. Forse ho ecceduto un po', ma son comunque d'accordo con voi che tra GdR e teatro esiste una differenza decisamente ampia, ciò non di meno Polaris si impadronisce di mezzi tipici dell'esercizio d'attore.


Citazione
[cite]Autore: Aetius[/cite][p]Su questo sono d'accordo anch'io, ma allo stesso modo in cui il marmista o lo scalpellino si impadronisce di mezzi tipici dell'esercizio di scultore (o viceversa) ;-)
Sono arti che dialogano, vero, ma sono particolarmente attento a rimarcare quella differenza.[/p][p]ora basta, dai, altrimenti ci mettiamo a parlare delle similitudini tra GdR e Teatro Greco (astenersi non esperti in entrambi i campi), e finiamo per farci i pompini a vicenda (citazione prosaica usata di proposito per abbassare il tono intellettualistico della discussione :-P)[/p]


Citazione
[cite]Autore: Domon[/cite]
Citazione
[cite]Autore: Aetius[/cite][p]Per quanto Polaris o altri giochi possano mutuare tecniche dal teatro d'improvvisazione, mancano completamente della finalità artistica che dovrebbe invece connotare quest'ultimo (o altre forme di teatro).[/p]
[p]ne mancano o ne sono pregni come qualunque cosa. di certo la finalità artistica non era essente nell'idea dell'autore. per nulla. il narrativoismo E' una finalità artistica, e ben lehman ne è ben conscio. semplicemente non è un'attività teatrale, e nemmeno di scrittura. ma è comunque un0attività volta a creare e sviluppare e vedere in azione un SiS "artistico"[/p][p]di certo, non voglio considerare il gdr il figlio povero del teatro, per me ha lo stesso potenziale della letteratura, nei suoi modi che stiamo appena cominciando a scoprire adesso.[/p][p]e poi c'è un'altra "forma d'arte", questa molto più dubbia e discussa, che è il game design stesso, ed è trasversale a videogiochi, gdr o boardgame (o altro). per me è indubbiamente arte, in quanto opera di ingegno che veicola idee. ma per voi?[/p]


Vediamo di non degenerare nelle discussioni sul sesso degli angeli subito, anche se ho ben poche speranze sul lungo periodo, ed è per questo che non apro in Sotto il Cofano.

La prima domanda che mi viene da fare  è: oltre alle idee, l'arte non dovrebbe veicolare anche emozioni? In questo senso il game design non potrebbe essere visto più come uno strumento per la vera e propria espressione artistica piuttosto che la forma completa?
Just because I give you advice it doesn't mean I know more than you, it just means I've done more stupid shit.

L'Arte del Game Design
« Risposta #1 il: 2009-12-15 12:56:20 »
uff.
Il discorso è -enorme-.
L'arte veicola messaggi.
Per la precisione, l'arte veicola simulacri di esperienze che assumono la forma di messaggio nel momento in cui un fruitore ne riconosce uno.
Qualsiasi opera d'ingegno veicola idee, per definizione.
C'è da fare una distinzione netta tra quelle che sono opere di ingegno che veicolano "logos" e quelle che veicolano "eidos".
Il fulcro del discorso soggiace interamente al concetto di "significato", che è il prodotto tra "segno" e "significante".
Nel momento in cui l'idea veicolata è interamente compresa nel "significato", siamo nel campo del "logos".
Quando invece l'idea veicolata rimane saldamente ancorata al "segno", siamo nel campo dell' "eidos".
"Arte", inteso come la più prossima traduzione del termine greco "poien" contrapposto a "technè", è sempre e solo il frutto di una veicolizzazione dell'eidos.

Qual'è la differenza?
Una sorta di... ottenebramento costruttivo (sì, stesso concetto del fruitful void, ma è più intimo e personale) che spinge una persona a vedere un segno, cercarne un significante e trovarne un suo proprio significato.
Questo processo di ricerca del significato -non dato in partenza- è il riconoscimento di un qualche valore artistico.

Le "emozioni" sono uno dei possibili significati.

Il game design, quindi, assume un significato artistico solo nel momento in cui produce segni che siano riconoscibili da qualcuno e che quindi possano produrre una forma di ricerca verso un significato non dato in partenza.
Ne consegue che il game design è arte solo per chi ne sa di game design o per chi in qualche modo riesce a cogliere una qualche forma di "simulacro di esperienza" dal sistema che legge.

Esiste una forma di arte simile, appartiene ad un periodo finale e terminale della musica barocca, a cavallo con le prime sinfonie che portarono poi verso la musica romantica (Bethoveen), secondo la quale lo -spartito stesso- era un'opera d'arte e, ad esempio, dovendo musicare la cavalcata di un cavaliere verso il castello dell'amata, le note erano scritte sulla partitura nella forma di un sentiero serpeggiante che arrivata ad un doppio cluster-chord separato da un accordo vuoto di quinta.
Musicalmente orrendo. :D Però chi ne sapeva di musica, poteva, ascoltando, "riconoscere" quel disegno.
Di fatto tutta la musica "colta", classica o jazz, si basa sul concetto che per apprezzarla la devi conoscere a livello teorico.
il dado si lancia da solo, e da qualche parte nel mondo un orco muore - vincitore di un Ezio D'Oro per la Boiata della Settimana! ("This Is Something Only I Do!"™)

Niccolò

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« Risposta #2 il: 2009-12-15 12:59:55 »
khana, non parlo di arte nella forma del manuale. quando parlo di arte nel game design, parlo della possibilità di "costruire un gameplay" perchè sia metafora di un messaggio. testo, immagini, rilegatura, "forma dello spartito" sono potenzialmete altra arte ancora, ma più convenzionale, figurativa.

L'Arte del Game Design
« Risposta #3 il: 2009-12-15 13:02:27 »
Ciao Khana. Ma hai assunto quelle "pastigliette rosa" che ti ho passato l'ultima volta? A me mica hanno fatto quest'efetto...
La prossima volta ti passo quelle blu.

Gran bel discorso comunque.

L'Arte del Game Design
« Risposta #4 il: 2009-12-15 14:13:31 »
Citazione
[cite]Autore: Domon[/cite]khana, non parlo di arte nella forma del manuale. quando parlo di arte nel game design, parlo della possibilità di "costruire un gameplay" perchè sia metafora di un messaggio. testo, immagini, rilegatura, "forma dello spartito" sono potenzialmete altra arte ancora, ma più convenzionale, figurativa.


Ma anche io :)
Il Game Play di norma è uno "strumento". Quindi è come se stessimo parlando di... "penelli artistici" o di... "martelli che possono essere esposti in una galleria d'arte", "spartiti che sono come dipinti".
Strumenti convertiti in opere. Che era la domanda di Ezio.

Citazione
[cite]Autore: Rafman[/cite]La prossima volta ti passo quelle blu.

Hm... ^^ le ho date ai pesci :P forse è per quello che ora volano?
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Mauro

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« Risposta #5 il: 2009-12-15 14:41:24 »
Domanda:
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[cite]Autore: Domon[/cite]parlo della possibilità di "costruire un gameplay"

Cosa intendi con gameplay?

Leonardo

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L'Arte del Game Design
« Risposta #6 il: 2009-12-15 15:27:42 »
Citazione
[cite]Autore: Wikipedia[/cite]L'arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana - svolta singolarmente o collettivamente - che, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza, porta a forme creative di espressione estetica. Nella sua accezione odierna, l'arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni, per cui le espressioni artistiche, pur puntando a trasmettere "messaggi", non costituiscono un vero e proprio linguaggio, in quanto non hanno un codice inequivocabile condiviso tra tutti i fruitori, ma al contrario vengono interpretate soggettivamente.


Davide, è questo che intendi quando parli di "significato non dato in partenza"? E' l'ambiguità del significato il tratto caratteristico dell'opera d'arte? Te lo chiedo perché non ho familiarità coi concetti che hai espresso e sto cercando di capire quale sia la logica del discorso.

L'Arte del Game Design
« Risposta #7 il: 2009-12-15 15:52:41 »
esattamente quello.
Il "codice" in questo caso è sinonimo di "segno" nel mio post.
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Ezio

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« Risposta #8 il: 2009-12-15 15:55:51 »
Per inciso, quel discorso portato all'estremo è una delle ragioni per cui l'arte contemporanea risulta a molti "incomprensibile". Semplicemente il codice è talmente soggettivo da aver bisogno di un vero e proprio percorso di avvicinamento per essere compreso.
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Mauro

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« Risposta #9 il: 2009-12-15 16:11:55 »
Citazione
[cite]Autore: Aetius[/cite]Per inciso, quel discorso portato all'estremo è una delle ragioni per cui l'arte contemporanea risulta a molti "incomprensibile". Semplicemente il codice è talmente soggettivo da aver bisogno di un vero e proprio percorso di avvicinamento per essere compreso

Ma se è tanto soggettivo da aver bisogno di un percorso di avvicinamento, tale percorso non serve ad avvicinarsi alla soggettività dell'autore? Se sì, di fatto non costituice una riduzione del codice (nel senso che, pur se non condiviso tra tutti, è comunque più condiviso a causa del percorso fatto), e quindi un'interpretazione meno soggettiva?

L'Arte del Game Design
« Risposta #10 il: 2009-12-15 16:15:27 »
No perché ti puoi avvicinare alla soggettività dell'autore solo nel momento in cui:
1. fai il percorso di avvicinamento con lui (e già è raro, si chiama "apprendistato" di norma)
2. hai avuto lo stesso bagaglio di esperienze dall'infanzia a ora e quindi gli stessi strumenti cerebrali per analizzare il mondo intorno a te (impossibile, neanche se sei un suo clone)
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Mauro

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« Risposta #11 il: 2009-12-15 17:18:47 »
Quindi il percorso è di avvicinamento a cosa? "All'opera" mi pare una risposta che lascia un po' il tempo che trova, nel senso che "Per capire il codice dell'opera devi avvicinarti all'opera" mi pare abbastanza ovvio; inoltre se "il codice è talmente soggettivo da aver bisogno di un vero e proprio percorso di avvicinamento per essere compreso" (cito da Ezio) mi pare richiamare la soggettività dell'autore: se fosse la mia, trovare l'opera incomprensibile significherebbe "soltanto" che la mia soggettività la trova tale.
Avvicinarsi all'autore, studiando la sua vita, le sue idee, ecc., mi pare rientrare in quanto detto nel mio scorso messaggio (non farà arrivare alla stessa soggettività dell'autore per i motivi che dici, ma credo comunque che possa avvicinare a essa).

L'Arte del Game Design
« Risposta #12 il: 2009-12-15 17:34:08 »
Avvicinamento ai rapporti semantici e poietici che caratterizzano l'opera.
L'arte è una funzione, non è un oggetto :)
L'opera è un pezzo di una funzione, quello più materiale.
Paradossalmente non è molto diverso dalla struttura f(x) = n; tu vedi n e non sai quale f(x) l'abbia generato. Questo "non sapere", nell'arte, ti fa percorrere a ritroso un viaggio che di norma è esperibile solo nel senso opposto.
Generi quindi un ossimoro, un "non detto che parla", un "vuoto che riempie" perché sei tu che cadendo nel vuoto della tua personale necessità di dare a tutto ciò che vedi un senso, di fatto quel senso lo crei attraverso un significato esclusivamente tuo.

Si stabilisce quindi una sorta di singolare impostazione tale per cui l'atto creativo originario che ha mosso la mano dell'artista crea un oggetto che è un segno privo di significato, ma che fa scattare un simile, contrapposto e riflesso atto creativo nel fruitore (tu), che inconsciamente si ostina a dare un senso a quello che vede.
L'atto creativo si fa quindi portatore dell'unico messaggio possibile: se stesso.
L'opera d'arte è un veicolo attraverso cui la funzione "messaggio di atto creativo" fluisce da un soggetto ad un altro.

E' un circolo virtuoso non dissimile da certi livelli di "pazzia".
Esistono non a caso anche sintomatologie border-line che si manifestano quando questo processo riflessivo scatta, tipo la famosa/famigerata sindrome di Stendhal, ossia la catatonia di fronte alla visione di un'opera d'arte. E' il non riuscire a colmare quel vuoto che si frappone fra te e l'opera che -dovrebbe- spingerti ad una sorta di ricerca interiore riflessiva, ma che di fatto non lo fa e genera ansia.
Qui però ho sconfinato dai miei ambiti e mi limito all'accenno ^^
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Ezio

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« Risposta #13 il: 2009-12-15 18:28:18 »
Se volete comprendere questo paradosso vi suggerisco di dare un'occhiata all'opera di Malevi?.
Per il resto invito a non trasportare la discussione sui livelli elevati dell'estetica ;-)
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L'Arte del Game Design
« Risposta #14 il: 2009-12-15 18:53:09 »
Torno un poco più in basso allora ;)

Dal canto mio, queste cose un po' adesso le sto studiando (a gennaio devo dare l'esamino di Estetica + Iconologia) ma ancora non sono in grado di parlarne in maniera "sicura" (nel senso di essere sicuro di non dire castronerie che gli altri sarebbero obbligati a prendere per vere) quindi per ora su questo mi astengo.

Mi piacerebbe invece portare un altro contributo, prendendo la discussione da un lato diverso:
già da un po', mi sono accorto di notevoli somiglianze tra la programmazione (sì, quella d'informatica) e il game design. Proprio al livello dei procedimenti da seguire... Entrambe le cose trattano di "problem solving", cioè risoluzione di problemi, applicazione di procedure ed elementi già noti per creare qualcosa di nuovo (generalmente per creare un nuovo "approccio" alla realtà, per risolvere un problema appunto).
Il "problem solving" tra l'altro è un termine rubato alla psicologia... Ma toh! Chissà perchè? ;)

Perchè si tratta di creatività (che è una procedure mentale), ovvero: mettere in relazione le conoscenze che hai già per ottenere qualcosa di nuovo.

Provate a pensarci, provate ad applicare questa definizione ad una delle vostre ultime partite ad un qualsiasi gdr.
Ci provo io:

Cani nella Vigna: durante il freeplay, tutti e tre i Cani puntano la pistola in faccia al vecchio infedele sul letto di morte, che se l'era cercata. Subito dopo, mi visualizzo la scena come se il vecchio, in prima persona, veda i buchi dei tre cannoni quasi appoggiati al suo naso. Perchè esteticamente è gradevole: è un'immagine impressionante, molto western-style, drammatica, in linea con le nostre aspettative di gioco. Quindi la descriviamo.

Cos'ho fatto?

Ho messo in relazione gli elementi:
pistole - vecchio - distanza - inquadratura - aspettative di gioco - piacere personale
che già conoscevo ed avevo in mente, col fine di generare qualcosa di nuovo: una scena che colpisse positivamente il mio immaginario.
Ho applicato la creatività: ho preso degli elementi che già conoscevo e li ho assemblati, relazionati, in maniera nuova per perseguire un fine (il divertimento).

Io penso che il gdr sia prima di tutto questo: creatività. Ma anche la programmazione è creatività, anche l'arte è creatività. La differenza è il fine: nella programmazione è un fine "pratico" (creare qualcosa che abbia una funzione utilitaristica), nelle partite di gdr è un fine ludico, nell'arte... Su quest'ultima ve lo sanno dire meglio Davide ed Ezio. ;)

P.S. : sono stato volutamente maccaronico: ho cercato di usare il meno possibile termini specifici e di restare terra-terra. Non me ne vogliano gli esperti di estetica e psicologia, ma qui preferisco dare la precedenza alla comprensibilità e alla divulgazione.
Rinominato "Ermenegildo" vox populi, in seguito al censimento dei Paoli.

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