I non-giocatori: il problema della reputazione. Un primo problema, nell'approcciare nuovi potenziali giocatori, è costituito dall'eredità dei GdR del tempo che fu in termini di reputazione.
Nominare i GdR all' “uomo della strada” porterà, nel migliore dei casi, a facce stupite. Talvolta l'interlocutore ricondurrà ai giochi di miniature o al molto più famoso Magic[5] quello che stiamo tentando di spiegargli. Talvolta gli si formerà l'immagine mentale di una cosa strana, esoterica, per gruppi composti da nerd che non hanno visto la luce del sole negli ultimi anni. Più raramente, qualcuno conserverà vaghi ricordi delle campagne diffamatorie che hanno colpito l'hobby nell'estate del 1996[6] e, meno intense, in tempi successivi.
Capirete che non si tratta in nessun caso di un gran punto di partenza, se l'idea che si vuol far passare all'interlocutore è di venire a fare qualcosa di divertente.
La confusione è ancora più grande se poi ci si mettono di mezzo i videogiochi, che col GdR hanno una complessa parentela[7].
Perfino chi ha una cultura specifica in campo ludico può avere l'immagine mentale del tomo di regole di centinaia di pagine, di regole numerosissime e complicate, adatte a quel tipo di pubblico che abbiamo descritto.
Il termine GdR stesso è una “parolaccia”, conteso tra chi quell'immagine nefasta la vuole distruggere e chi la vuole “salvare” dall'innovazione, sempre in nome di quella “cultura dell'elite” che difende le vecchie filosofie di design.
Il problema della vergogna: tu sarai giudicato. Una volta aggirato in qualche modo l'ostacolo della “parolaccia” GdR, arriviamo ad un secondo problema: far passare il concetto di un gioco in cui si mette in scena la propria creatività.
Qui si va a toccare una corda molto, molto delicata: quella dell'accettazione sociale. Qualunque sia il metodo con cui si presenta il GdR ad una persona, prima o poi deve saltare fuori il cuore stesso del gioco, ovvero la gestione di uno o più personaggi in un'ambientazione costruita nell'immaginazione dei giocatori.
Giocare ad un gioco di ruolo, al pari di qualsiasi altra attività creativa, ci espone.
Ogni persona che si cimenti in un atto creativo espone qualcosa di sé, intenzionalmente o meno: gli psicologi fanno scrivere o disegnare le persone per capirle. Gli artisti lo fanno con l'intenzione, precisa e consapevole, di comunicare ciò che pensano e provano. Al contrario, la burocrazia ha inventato, col preciso scopo di spersonalizzarsi, una quantità di termini asettici al punto di diventare, talvolta, una mostruosa parodia di se stessa.
Quando l'atto creativo avviene in gruppo, il contributo personale diventa molto più esplicito: bisogna rendere gli altri partecipi di ciò che si vuole dire, e questi altri co-autori devono essere coinvolti quanto o più di un osservatore esterno. Per esempio, lo sceneggiatore di fumetti deve considerare il disegnatore suo complice ancora più di quanto lo debba essere il lettore; lo sceneggiatore di una serie TV deve fare lo stesso con registi ed attori.
Tornando al GdR, una parte importante della questione è stata analizzata da Jesse Burneko[8]: chi gioca ad un GdR in modo attivo si espone al giudizio degli altri, che valuteranno il suo contributo in termini di “mi piace / non mi piace”, e non ci sono “spettatori”, sono tutti co-autori!
Il fenomeno del giocatore-pagliaccio nasce come difesa spontanea dall'impegno emotivo.
Parlo di quel giocatore che non affronta le premesse del gioco, ma cerca sempre di svicolare, di “mandare in vacca” il gioco, sospendendolo con battute e comportamenti che generano distrazione e, quindi, distruzione della partita.
Per poter creare qualcosa, sia pure di effimero come una breve storia di un paio d'ore, è necessario avere una volontà di collaborare e di contribuire.
Tanto il non-giocatore quanto il giocatore con esperienza possono essere spiazzati dalla necessità di intervenire, di dire la propria, di partecipare.
La differenza tra muovere una pedina su un tabellone e muovere un personaggio dotato di un'identità a dei desideri, per quanto fittizi e sotto il controllo del giocatore, è una differenza talmente forte da essere apparentemente insormontabile per alcuni. Inclusi, ripeto, anche giocatori con esperienza, che magari finora s'erano rifugiati in uno stile di gioco passivo o prettamente tattico[9].
Per quanto un investimento emotivo su un personaggio sia possibile, a determinate condizioni, in qualsiasi GdR di qualsiasi generazione, alcuni giochi di terza generazione facilitano o richiedono questo tipo di comportamento. Là dove un giocatore-pagliaccio può essere messo a bada con un gioco emotivamente distaccato dove possibile, dove ciò non è possibile il pagliaccio diventa un ostacolo insormontabile, con il vantaggio però che è evidente da subito chi sta “remando contro”.
Il problema del gusto, ovvero: esiste “il vero gusto del gelato”? Anche accettato il concetto di avere uno o più personaggi e decisioni da prendere, anche accettato il fatto che gli altri giocatori prenderanno quello che dico e lo giudicheranno nella loro testa e nel loro cuore, resta un altro concetto fondamentale: a che cosa voglio giocare?
In passato i generi rappresentati nel GdR erano pochi, o forse fondamentalmente uno solo: la storia avventurosa per un piccolo gruppo compatto di eroi. Che si trattasse di una storia fantasy, nello spazio, o in altra ambientazione, lo schema di fondo era sempre quello.
La seconda generazione di giochi ha aperto la strada a storie più complicate, che però necessitavano dell'impegno personale del GM per coordinarle, ed era necessario scegliere: o si riduceva al minimo l'apporto creativo dei giocatori, che avrebbero rischiato di far deviare la storia precotta dai suoi binari, o il GM doveva fare lo sforzo extra di improvvisare ai cambiamenti introdotti dal giocatore (riscrivendo la storia oppure riportandola allo svolgimento originario in modo più o meno palese).
La terza generazione ha aperto numerose nuove possibilità di generi che possono essere messi in scena in una partita.
Come in ogni medium narrativo, è lecito aspettarsi che ci siano generi che piacciono ed altri che non piacciono. Sembra una cosa scontata, banale.
Perché non lo è? Ancora una volta, nei giocatori con esperienza, l'eredità del blocco di ghisa fa sì che ci sia un'aspettativa su come i GdR “dovrebbero essere”. Il giocatore abituato a vedere definito il GdR in un certo modo reagirà male a vedere i giochi della generazione successiva infrangerne i canoni. È una persona che ha assaggiato solo il gelato alla panna in vita sua, ed il “vero gelato” sarà solo ed esclusivamente quello alla panna. E forse, sentendo un sapore diverso, la prima reazione sarà “fa schifo perché è diverso”.
Ho un'età sufficiente da ricordare le infinite polemiche tra i giocatori portabandiera della prima generazione e della seconda generazione, verso la metà degli anni '90. Fanti delle regole contro paladini dell'interpretazione del personaggio. Polemiche inutili e basate su aria fritta esattamente come quelle tra i sostenitori del “vecchio” contro il “nuovo”, con la differenza, però, che ora i sostenitori dell'innovazione sanno di non essere arrivati ad una conclusione, ma di essere arrivati ad alcune conclusioni, che saranno fonte di ulteriori innovazioni.
Il passaggio, nel design quanto nel gioco praticato, è simile a quello da una credenza superstiziosa e dogmatica ad un metodo scientifico, di prova-ed-errore, e non è simmetrico come si potrebbe pensare in un primo momento.
La grande varietà di generi oggi disponibili nel GdR, inoltre, porta anche i giocatori con esperienza ad auto-ingannarsi, anche quelli più volonterosi e meglio disposti, e a credere che un genere nuovo (o un singolo gioco “nuovo”!) sia rappresentativo dell'intera gamma delle innovazioni possibili. Dopo anni di gelato alla panna, assaggia quello alla fragola e pensa di avere una panoramica completa su tutti i gusti disponibili oggi. Non si tratta di ristrettezza di vedute, sia chiaro, ma solo e semplicemente di esperienza personale!
Col giocatore senza esperienza di GdR in assoluto, si corre un rischio simile: il primo assaggio (panna o fragola che sia) rischia di diventare, nella sua mente, rappresentativo di tutti i GdR possibili.
Un metodo che deriva dall'esperienza di molti giocatori e che può evitare questo problema è quello chiamato “dei manuali sul tavolo”: mostrare un'ampia varietà di manuali ai giocatori che vogliono iniziare una partita, e lasciare che siano essi a rendersi conto della varietà dell'offerta disponibile e a scegliere che cosa provare. Questo metodo ha anche un valore aggiunto: i giocatori, avendo scelto essi stessi cosa giocare, affronteranno il gioco con maggiore entusiasmo rispetto ad una proposta esterna già preconfezionata, saranno responsabilizzati e partecipi della scelta.
Conclusioni: siate curiosi. Davvero, non ho altro da aggiungere.
Il GdR è un hobby basato sulla creatività. Esploratelo, incrociatelo con altre esperienze, provate cose nuove e diverse.
Il singolo GdR può piacere o non piacere, ma raramente sentirete una persona dire “non mi piacciono i film” o “non mi piacciono i libri”, perché nella sua testa e nel suo cuore c'è la certezza che ce ne sono a sufficienza per poterne trovare uno adatto ai suoi gusti.
NOTE:
1: Questo meccanismo che ho appena riassunto è analizzato in dettaglio da Michele Gelli, nel suo articolo “I Dadi Non Hanno Senso Estetico”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010), scaricabile qui: http://www.internoscon.it/pdf/INC_Book_2010.pdf
2: Per un esempio meno estremo di quanto possa sembrare, ecco una cronaca di prima mano su come alcuni giocatori, dotati di una ferrea convinzione su quale sia il “giusto” modo di fare GdR, riescano ad ignorare le regole esplicite di Polaris, un gioco estremamente diverso da tutto ciò che avevano conosciuto fino ad allora: http://www.gentechegioca.it/smf/index.php/topic,1979.0.html
3: Cfr. nota 1.
4: Sulla concretezza di questo tipo di problemi, un'ampia documentazione si trova qui: http://www.gentechegioca.it/smf/?topic=1914.0
5: La stessa ludoteca di cui faccio parte è presentata, nell'anno 2011, nei volantini del circolo che ci ospita, come un gruppo che pratica “Magic ed altri giochi di ruolo”, anche se la nostra attività principale sono... giochi da tavolo!
6: Cfr.: http://www.gdr2.org/
7: Si veda il mio articolo “Figli di un D&D minore”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010). Cfr anche nota 1.
8: Si veda “Gioca con passione - I rischi sociali della creazione di storie”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010). Cfr anche nota 1.
9: Ho una testimone oculare che mi parlava di un giocatore che aveva addirittura tenuto il suo personaggio di AD&D senza nome per mesi interi. L'idea che mi sono fatto è che dare un nome ad un personaggio significa contribuire, seppure in minima parte, a renderlo “personaggio” anziché “pedina”, e tanto basta per tirarsi indietro. In un altro caso, ho visto io stesso giocatori di lunga data bloccarsi alla richiesta di prendere decisioni “personali” per il personaggio invece di decisioni “tattiche”.