"Negli ultimi tempi il vecchio Colonel... aveva preso delle decisioni dure. Aveva probito a tutti gli insediamenti vicini di formare delle bande armate, e c'è andato parecchio pesante con chi ha protestato, e ancora di più con chi ha avuto la pessima idea di provare a tenergli testa. Degli altri, alcuni se ne sono andati, alcuni si sono uniti a lui, un paio dei peggiori sono diventati delle faine. Adesso è un po' che stiamo tranquilli."
La mia officina è ricavata dalla carcassa di due rimorchi da tir, sventrati e saldati insieme per il largo, in una zona un po' isolata sulla corsia sinistra del ponte. Ricordi vagamente che qui una volta c'erano in effetti due vecchi camion dell'età dell'oro, piegati e appoggiati l'uno sull'altro. Ha tutta l'aria di essere stata messa a posto nel tempo, un pezzo alla volta, autocannibalizzandosi dove necessario, ad esempio parte del rivestimento di metallo originale è stato divelto e sostituito con plastica o lastre graffiate di plexiglass, e il metallo riutilizzato per alloggiare i macchinari che ci sono stati portati dentro e creare banconi da lavoro., e le vecchie balestre riassemblate in un rudimentale ponte per sollevare i veicoli. All'esterno, sotto una tettoia di vecchie insegne pubblicitarie, c'è un enorme mucchio di rottami di metallo e cianfrusaglie di ogni tipo.
Per essere il posto in cui vivo, non sembra una casa. Non c'è nemmeno un angolo dove sembra ci sia una separazione tra quello che serve a me per vivere e quello che mi serve per lavorare. In effetti non c'è nemmeno un letto e neanche qualcosa che gli assomigli.
"Dunque, vediamo, ti puoi mettere in una di quelle macchine laggiù" faccio un gesto vago verso gli scheletri spolpati di automobili che giacciono di fronte all'officina, forse in una c'è ancora un sedile con delle molle che non ti distruggerebbero la schiena, e non popolato da colonie di funghi e insetti assassini. "Oppure ti posso dare la mia amaca degli ospiti."