[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite][p]Da questo punto di vista, quello che ho visto spesso con giocatori che avevano una certa esperienza teatrale, è una maggiore "difesa", la capacità di mantenersi "in character" dall'inizio alla fine. E quello che è peggio, di considerarlo "giocare bene".[/p]
Mi hai raccontato bene solo una delle tue esperienze specifiche in merito, quella fatta con persone (di cui non faro' i nomi) che conosciamo entrambi. Mi rifaro' a quella in quanto segue.
E' vero che l'over-acting, la recitazione falsa, esagerata, macchiettistica, puo' essere spesso effetto di difese messe in atto dall'attore (o dal giocatore, a seconda). Come ti dico praticamente da quando ti e' successa 'sta cosa, credo anche che sia proprio quello che e' entrato in gioco con queste due persone.
Attenzione, pero': la stessa cosa si puo' dire dell'underacting, della scarsa espressivita', dell'essere un po' rigidi, del non portare fino in fondo i gesti o le intenzioni. E' questo, nella mia limitata esperienza, e' un problema che esiste anche tra i qui presenti, anche se spesso viene fatto passare per un "non problema," con la motivazione che non siamo attori eccetera eccetera. Questo non completamente a torto, dato che alla fine si riesce comunque a comunicare e ad avere partite soddisfacenti. Ma sono dell'idea, e spieghero' anche perche', che rimuovendolo si possano avere partite
piu' soddisfacenti e
piu' coinvolgenti.
Non c'e' bisogno di essere attori per sorridere, commuoversi, parlare con voce arrabbiata, anche semplicemente non stare in piedi tutti rigidi con l'espressione di quello che e' stato sbattuto su un palcoscenico e sta pensando a qualcosa da fare o da dire. Lo facciamo tutti, tutti i giorni, vivendo la nostra vita normale. Non abbiamo delle facce o delle voci inespressive (chi le ha il piu' delle volte ha anche lui in piedi delle difese eccessive, ma nella vita quotidiana, poveretto). Al contrario, quando ci emozioniamo per qualcosa, dobbiamo tendenzialmente fare uno sforzo cosciente per non manifestarlo (a meno di non essere molto inibiti dalla situazione e dalla educazione), e spesso non basta. Idem in gioco, e per l'essere bloccati: quando uno dice le battute del personaggio col tono di quello che sta pensando a come formulare la battuta invece del tono che dovrebbe avere il personaggio, il motivo non e' che sta provando fortissimo la stessa emozione del suo personaggio ma non riesce ad esprimerla perche' non sa fare le vocine (se sapesse fare le vocine avrebbe il tono di quello che fa le vocine, vedi sopra alla voce overacting). Il vero motivo e' che l'emozione piu' forte che sta provando in quel momento e' l'incertezza su come far parlare il PG. Puo' dire quello che vuole, ma e' il suo stesso tono di voce a tradirlo. Per riprendere l'espressione un po' gergale che ha gia' usato Pabu, in quel momento il giocatore e' da un'altra parte, nella sua testa, a ragionare su come contribuire alla storia (e magari a temere le eventuali brutte figure che potrebbe fare a contribuire nel modo "sbagliato" - virgolette d'obbligo), non veramente nella scena, nella situazione, nelle emozioni del personaggio. E se siamo in una delle situazioni emotivamente cariche che dovrebbero essere il fulcro di un certo tipo di gioco, questa distanza che il giocatore sta mettendo tra se e il personaggio (e la situazione) e' un "problema" da eliminare, di cui la carenza di espressivita' nella giocata e' solamente il sintomo visibile.
(a meno che non si sia piu' interessati a un punto di vista autoriale che a sentirsi coinvolti in prima persona dai problemi del PG; che per me e' una scelta dignitosa come tutte le altre)
Dalla brutta giocata di sopra, in overacting (che ho appena sostenuto essere alla fine l'altra faccia dell'underacting: entrambi originano da una carenza di autenticita'/spontaneita' nell'azione portata in scena), hai tratto la conclusione che chi fa teatro impari tecniche per "mettere distanza" tra se' e il personaggio. Ora, pur conoscendoli, non conosco bene la formazione di queste persone; ma in generale non e' vero, anzi! Per dirla in una maniera molto grossolana che potrebbe costarmi parecchie frustate, per lo meno da Stanislavskij in poi (con alcune notevoli ma minoritarie eccezioni) il lavoro sugli attori tende a diminuire la distanza (emotiva, caratteriale, persino fisica) tra attore e personaggio, non viceversa.
Anche a volerla mettere dal punto di vista piu' beceramente istrionistico, voler piacere al pubblico e far carriera, l'eventualita' che quello che stai portando in scena tocchi qualche tua corda profonda (e che questo venga fuori) e' una
risorsa che accogli come un dono di Dio, non un problema. La differenza tra le cose fatte meccanicamente e con trasporto si vede, te lo assicuro, e confrontare le giocate di cui parli a quelle "venute bene" e' proprio un modo per averne esempio.
Figurarsi poi dal punto di vista di chi ama quello che fa, ed e' spinto ad salire sul palco non certo dai soldi o da prospettive di carriera (che spessissimo proprio non ci sono), ma da questo
mettersi in risonanza col materiale, la scena, i compagni, il pubblico.
Occhio che tutto quello che ho appena detto non significa che chi fa teatro riesca sempre e in ogni situazione ad "essere li'" e non nella sua testa, e ad essere toccato profondamente da quello che sta facendo. Ma che il tipo di allenamento che fa va di solito in quella direzione, non in quella opposta.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Quello che è indubbio (scusa il gioco di parole) è che dubbio non si gioca così.
Ma nemmeno si recita cosi'!
Penso che un Claudio Morganti ti direbbe che palesemente quei due non stavano mirando a fare Teatro, ma Spettacolo, e probabilmente neppure troppo bene (maiuscole del Maestro Claudienko).
Questo senza dare giudizi su di loro in generale, ma solo su come gli capita di fare giocando.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]"Dubbio" funziona al contrario. Prende giocatori che si aspettano di giocare senza molta partecipazione, come capita spesso nei live, o che si aspettano comunque di giocare "altro da sè" e nel corso del gioco riduce sempre di più le barriere fra giocatore e personaggio, finchè alla fine in scena ci sei davvero tu.
Non l'ho visto in azione a sufficienza per dirlo, per cui qua potrei dire vaccate io; ma immagino che funzioni da una parte limitando le "circostanze date", che in sostanza si limitano a "sei fidanzato e attratto da qualcun altro" (e da questo punto di vista vedrei come un piccolo difetto il fatto che l'unica altra cosa che e' fissata, riguardo al "background", sia il dettaglio irrilevante delle professioni: puo' finire per mettere distanza e/o distrarre temporaneamente.), e dall'altra proprio nell'essere giocato non al tavolo ma sul palco, in una modalita' che non ti lascia il tempo di pensare a cosa dire e come agire, ma che ti costringe a reagire istintivamente agli stimoli.
Poi questo "davvero tu" e' meno univoco di quello che sembra, come penso tu possa immaginare bene, dato che ti ricordo aver scritto proprio qua sopra che ti sei ritrovato una volta a giocare in un modo inaspettato in cui non ti riconoscevi... E credo che sia un'esperienza che puo' aiutarti a capire come uno possa essere sincero, "davvero se' stesso" anche giocando personaggi diversi.