Ieri alla Cotto (grazie Dino, ospitalità da 10 e lode con bacio accademico e rifrullo) abbiamo fatto una partita a Kagematsu, che è stata estremamente GWEP e viscerale. Ancora un grazie a Maria, sorella di Dino alla sua prima esperienza con un gioco di ruolo, che si è prestata a fare Kagematsu (spero vivamente divertendosi come noi), che ci ha offerto una prospettiva fresca e nuova sul gioco.
Dino – che pure era molto curioso – non ha giocato. Ha detto che tentare di sedurre la sorella gli avrebbe fatto strano (e lo capisco). Ma dopo aver giocato ho capito perché (grazie Dino , sei un amico: potevi avvertire).
Maria ha creato un Kagematsu vecchio e ricco, che si è presentato al villaggio in maniera molto differente da quelli modello Itto Ogami (Lone Wolf & Cub) con cui avevo giocato fino a quel momento. La seduzione in quei casi era una partita a scacchi ma avevo in un certo senso il manuale delle istruzioni. Con Maria è stata dal primo secondo nuotare nell’acqua alta (quella con i Pirana dentro). Molto più simile al poker che agli scacchi. E molto più divertente.
K. ha fatto l’equivalete di arrivare in Ferrari sgommando sulla piazza principale, lanciare le chiavi al sindaco dicendo “Parcheggiala, ma attento a non rigarla!” e poi chiedere “Beh, branco di bifolchi? Che ‘se magna?”. Il fatto che la giocatrice avesse una cultura del Giappone più che sufficiente a capire quello che stava facendo non ha fatto che rendere la cosa ancora più clamorosa.
È sceso il silenzio.
Ed è qui che si è visto il fegato, il coraggio, lo sprezzo del pericolo, petti virili protesi verso il nemico che avanza. Nella fossa dei leoni c’eravamo io, Mauro, Spigel e Mietitore. Si sono guardati negli occhi ed hanno detto in formazione compatta “Vai te che già conosci le regole” (grazie ragà, siete degli amici). Nessuno si aspettava un K. così aggressivo ed “esuberante”. E la mia prima tentazione sarebbe stata quella di dargli uno sgarganamuso sulle gengive, altro che di sedurlo.
La prima scena ho tentato di tentato di ottenere da K. “uno sguardo rubato”. Meccanicamente è una delle cose in assoluto più semplici (abbordabile con 3 dadi). Il mio personaggio – Yuki – era la figlia del capo villaggio, 25 anni con bambino di 2 (preferito #1), marito partito per la guerra di cui non si avevano notizie da mesi su mesi. Aveva avuto un abbozzo di preparazione da Geisha (interrotta per guerra: c’erano i campi da coltivare), per cui sapeva suonare uno strumento musicale (preferito #2).
La prima scena è stata da panico. Nel senso letterale del termine. Ho annaspato per un poco cercando di guadagnare tempo, con K. che mi braccava come un mastino e non mi dava modo di pensare. Cose del tipo: “Ti faccio accomodare e vado preparare il bagno” e K. “Non mi lascerai mica da solo, vero?”. Con la sorella di Dino avevo parlato sì e no venti minuti. Non avevo nessun tipo di “common ground” su cui lavorare. Ricordo solo che ero continuamente a chiedermi “e adesso che faccio?”. Non volevo aprire la scollatura, neppure per errore: c’era la preoccupazione che lo avesse valutato come un gesto becero e sciovinista. Ma era asfissiante, e alla fine mi sono giocato la carta della scollatura perché letteralmente non sapevo più che pesci pigliare. Sembrava di stare ad impro sulla panchina, dopo il 40° fischio consecutivo.
Quando la ho guardata per dire “Non mi fai tirare?” mi ha detto “Non hai fatti nulla per meritartelo”. E ha trattalo la scollatura con la sufficienza con cui si trattano le pattine o un soprammobile. Me ne sono avuto a male. Ma in una maniera così viscerale e profonda che ha passato (e di gran lunga) le barriere del personaggio. Sono tutt’ora stupito di quanto me la sono presa. Ho sentito una voce interore che mi ha urlato “indignazio!”. La sera a cena Yuki era tirata a balestra, col Kimono migliore disponibile nel villaggio, a suonare e fare sfoggio di cultura. A quel punto ho potuto tirare e passare la mano (ancora una volta: grazie ragà, siete degli amici)..
La cosa che mi ha sconvolto è che in una scena successiva mi sono sentito GRATIFICATO (“aroused”, per chi sa l’inglese) per un complimento di K. (una cosa a proposito della calligrafia e del fatto che avevo scritto il suo nome con i giusti ideogrammi). Ci mancava poco che arrossissi.
Ho sentito una parte del mio cervello che mi urlava “Ma che fai? Sei cretino?!”. Che alla fine aveva ragione, perché il fatto che K. apprezzi o meno è dovuto a un tiro di dadi. Ma un’altra parte ha detto che SICURAMENTE il successo era dovuto ai punti amore che avevo accumulato in precedenza (che dipendono esclusivamente dal giudizio di K.) e che, in ogni caso, K. mi aveva fatto un complimento.
Come i jeep, e molto più di parecchi Jeep, Kagematsu parla al giocatore attraverso il personaggio. E parla alla pancia, trovando una sua maniera di bypassare la testa. Ero già convinto che si trattasse di un gran gioco, ma l’esperienza di ieri è stata tre righe sopra ogni mia più rosea aspettativa.
In conclusione: grande partita anche se, purtroppo, interrotta.
Ancora grazie a Dino e Maria (che comunque a promesso che prima o poi ne faremo una e la finiremo).
PS: Quando K. fa il framing è il panico. Per fortuna Maria dopo un poco ha finito le idee / è stata di manica larga a farci esprimere le nostre, perché quando lavori sulla scena impostata da K. parti al buio. E devi indovinare dove lui voleva andare a parare: comunque giochi “fuori casa”.
Edit: corretto nome sbagliato