Un po' piu' forte di quello che diceva Ezio: "a play in four acts" si traduce univocamente in "un dramma in quattro atti." Se vai da un anglofono, giocatore o no, e gli dici che hai "written/published a play" il contesto che percepisce e' quello della drammaturgia, non quello del gdr - figurarsi poi se aggiungiamo gli atti.
Tra "play" (sostantivo, nel senso di "dramma") e "game" *c'e'* soluzione di continuita', se non vogliamo fare il giro lungo del verbo "to play" da cui viene sia il primo che la sostantivazione in "actual play"; tanto che non ho mai sentito, in inglese, un designer riferirsi a un proprio prodotto come a una "play" senza voler mettere su esplicitamente un parallelo col teatro. Lo stesso Ron Edwards, nello staccare Spione dalla categoria dei giochi, e' stato a tirare in ballo il neologismo "story now".
In questo senso, e' piu' forte di quello che sta dicendo Ezio: nel definire A Flower for Mara "a play in four acts" si sta esplicitamente dicendo che e' altro da un gioco, senza ambiguita'.
Curioso a proposito come sul blog appaia un pezzo di una recensione di Tuovinen che tutto contento dice che per una volta e' riuscito a prendere seriamente la metafora teatrale perche' l'ha trovato per l'appunto piu' di un gioco, e Seth Ben-Ezra vi si riferisca con "game" nel post precedente. Forse una questione di umilta', di marketing nel senso buono e tecnico del termine (alla fine viene venduto sul circuito dei gdr, il suo mercato e' quello), o di evoluzione di idee sul proprio lavoro.
Quanto al verbo "to play," chiaramente sappiamo tutti che e' come dice Ezio: si usa per il nostro "giocare", ma anche per "interpretare [una parte]" o "suonare [uno strumento, ma anche far suonare qualcosa sullo stereo ora che ci penso

]". E valgono discorsi analoghi in altre lingue, come il francese, il tedesco, e, appunto, le lingue scandinave.
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