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[Kagematsu] [DilemmaCON] Dagli occhi di Kagura
Alessia Bartolacelli:
Scena 11 - Lo scontro decisivo
“Ne sei certa nipote?”, “Si Oba-sama. Completamente e assolutamente! Ora dobbiamo sbrigarci! Yato ha percepito la presenza del demone a nord, sul crinale sopra il villaggio. Dobbiamo spostarci tutti verso sud, il tempio va abbandonato, almeno per adesso”. In quanto centro del sigillo, il tempio era l’edificio più a nord del villaggio, tradizionalmente nulla veniva costruito oltre di esso in quella direzione.
Lessi il dubbio nei suoi occhi e la stessa frustrazione che avevo provato io stessa fino a poche ore prima, “Abbandonare il tempio…”. Le presi le mani guardandola dritto negli occhi, “Yato lo sconfiggerà, il villaggio sarà salvo. Io ne sono certa oltre ragione Oba-sama! Avete sempre detto di aver visto un segno nei miei occhi, ebbene guardate ora! Cosa vedete nei miei occhi adesso?”.
Fece ciò che le avevo chiesto, e fissò lo sguardo nel mio. Ebbi l’impressione che percorresse ogni riflesso delle iridi prima di rispondere, “Amore… sbaglio?”, non abbassai gli occhi né provai alcun imbarazzo, non avrei più temuto la verità, “No, non sbagliate. Il mio cuore gli appartiene Oba-sama”.
Sorrise, e in quell’espressione lessi tutto lo sconfinato affetto che provava nei miei confronti, “Lo fa per te?”. Ripensai a quel momento così importante, così meraviglioso e terribile, era accaduto soltanto un paio d’ore prima, ma sembrava già fuori dal tempo. Annuii, “Per me, e per il villaggio. Io… sebbene non gli abbia chiesto di…”, la voce minacciò di mancarmi più volte. La nonna mi strinse le mani nelle sue, “Allora, quando tutto sarà finito, credo proprio che dovrei parlare con questo eroico giovane bushi. Non basta sconfiggere un demone per ambire alla mano di mia nipote”.
Sorrise e in qualche modo riuscì a far sorridere anche me. Desideravo con tutto il cuore e lo spirito che le sue parole potessero avverarsi. Scacciai le lacrime e ritrovai risolutezza, non era il momento di pensare a cose simili, “Grazie Oba-sama, ora facciamo la nostra parte”.
Di corsa organizzammo lo spostamento di tutti gli abitanti verso sud, anziani non in grado di muoversi e i bambini piccoli sui carri, tutti gli altri pronti a muoversi in fretta se fosse stato necessario.
Incrocia più volte Oharu, mentre entrambe facevamo il possibile per aiutare tutti a raggiungere la zona dell’onsen di Higurashi-san, l’edificio più a sud dell’intero villaggio. Quando le misi in braccio un bambino che era rimasto separato dalla madre, la giovane mi fermò per un istante: potevo leggere nei suoi occhi la preoccupazione e il dolore… Avrebbe meritato la più grande felicità, lo sapevo, ma… per garantirgliela avrei dovuto rinunciare al cuore, che gli Dei potessero perdonarmi era qualcosa che non sarei mai riuscita a fare.
“Lui è…”, rivolse uno sguardo angosciato alla montagna e io annuii, incapace di trovare le parole per un lungo attimo. “Vincerà, non devi avere timore per questo”, alle mie parole i suoi occhi si velarono per un istante di lacrime, Oharu mi parve molto più giovane di quanto il solo anno che ci separava avrebbe lasciato intendere.
Stavo tornando al tempio per recuperare l’ultima cosa quando udii il ruggito del demone infuriato.
Corsi più in fretta, incurante del vento che spazzava il villaggio sollevando vere onde di neve ghiacciata; rischiai di cadere almeno un paio di volte, la terra tremava come se stesse per frantumarsi e mantenere l’equilibrio si faceva sempre più difficile.
Ma non potevo lasciare Tessaiga. Era una mia responsabilità.
Raggiunsi la sala dei venti, presi la spada e prima di correre di nuovo fuori controllai di avere con me il sutra del cuore e la pergamena con l’haiku che Yato mi aveva donato, come la katana erano oggetti dai quali non avrei potuto separarmi.
Appena fuori, oltre la soglia del sentiero di ciottoli caddi. La terra sobbalzò improvvisamente, il vento e l’ululato del demone fendettero l’aria, così vicini che il mio cuore ebbe un sobbalzo. Mi voltai e lo vidi, immenso al di là del tempio, sul crinale scosceso della montagna: Sesshoumaru, il demone lupo delle tempeste. Enorme, il pelo cangiante dal bianco al bluastro, occhi feroci accesi dalla più intensa fiamma di odio che promettevano soltanto una cosa, morte.
Mi rialzai e obbligai le mie gambe a correre dalla parte opposta: non gli sarei stata di alcun aiuto, e poi gli avevo promesso che avrei allontanato gli abitanti del villaggio e che l’avrei fatto io stessa.
“Sacri Dei vi scongiuro proteggete il mio amore..!”, il vento si portò via la mia supplica, mentre lacrime ghiacciate mi rigavano le guance frustate dalle raffiche.
“Guardate! Là!”
Non avevo bisogno di alzare lo sguardo, i miei occhi non avevano mai lasciato il terribile spettacolo dell’oni lupo che scendeva lungo il crinale, un lento e inesorabile passo dopo l’altro, verso di noi.
Ero stata la prima a vederlo, ma la voce era venuta meno molto prima.
L’unico a ergersi tra noi e Sesshoumaru era Yato.
La furia della tempesta sembrava non sfiorarlo nemmeno, se ne stava immobili e impassibile, la katana sguainata lungo il fianco, in posizione di attesa. Anche da quella distanza potevo vedere i segni blu sulle sue braccia. Il lupo mostruoso gli ruggì contro tutta la sua ira, forse sperando di intimidirlo, ma si illudeva.
Yato avrebbe vinto.
Prima del balzo di Sesshoumaru, l’istante esatto che precedette l’inizio del combattimento vero e proprio, ebbi l’assoluta certezza che il mio amore avrebbe vinto e che il suo avversario non aveva alcuna possibilità. Non avevo nessuna paura. Nessun timore. Nessun dubbio.
I maestri di spada sostengono che prima dell’inizio di un duello, i contendenti si misurino tra loro attraverso le loro aure, un scontro di volontà che presagiva inevitabilmente il risultato finale; talvolta accadeva persino che tale battaglia di sguardi ponesse fine al duello ancor prima di sguainare le armi.
Sesshoumaru sarebbe stato saggio a ritirarsi. Ma non lo fece e questo fu la sua rovina.
Il lupo balzò verso Yato, dietro di me le grida di terrore della gente esplosero. Mi resi conto di essere avanzata di parecchi passi quando la nonna mi prese per un braccio tirandomi nuovamente indietro.
Non staccai però gli occhi dallo scontro che avevo di fronte. Veloce come il vento, il lupo fendette terra e rocce lì dove un attimo prima era il bushi, immobile. Ma lui non era più là. Più veloce di qualsiasi vento di tempesta, Yato aveva spiccato un balzo prodigioso verso l’alto: era sopra il demone.
Mi parve quasi di vedere il brillio dei suoi occhi di ghiaccio, ma forse fu solo un’impressione. Vidi bene invece gli occhi di bragia del demone lupo spalancarsi per il dolore quando la katana di Yato gli affondò tra le scapole, giù fino all’elsa.
Sesshoumaru urlò il proprio dolore e la sua incredulità, e il suo ruggito spaccò il ghiaccio sul crinale della montagna, che franò a valle evitando il villaggio. Ma non era ancora finita.
Impassibile, Yato girò la spada nella ferita con un gesto secco, infondendovi un’energia talmente potente da rendere bluastra l’aria stessa intorno a lui.
Delle grida di sorpresa, stupore e speranza dietro di me non sentii nulla. Il demone millenario che aveva tenuto il villaggio schiavo della paura si stava trasformando in una gigantesca statua di ghiaccio davanti ai nostri occhi. Persino da quella distanza sentii il riverbero del freddo inconcepibile emanato dal potere di Yato.
Drago di ghiaccio. Solo in quel momento capii quanto calzante fosse quel nome, Kagematsu…
Quando Sesshoumaru… no, la statua, fu ormai immobile e silente, il bushi estrasse la spada, con un balzo scese dalla schiena del lupo di ghiaccio e lentamente si incamminò verso il villaggio.
Quando fu all’altezza del muso, rivolto a terra nelle ultime contrazioni di dolore del demone, lo colpi con forza con l’elsa.
Un singolo colpo che mandò in frantumi un incubo lungo mille anni.
Le schegge finissime sembrarono dissolversi nell’aria, mentre i venti, la tormenta e il ghiaccio, scomparvero all’improvviso.
La malvagia contaminazione del demone venne meno con la sua dissoluzione, e il freddo tornò ad essere soltanto quello dell’inverno.
Restai immobile, ammirata, incredula nonostante le mie certezze fossero salde come l’immagine più che mai eroica di Yato che s’incamminava verso di noi - verso di me? - ammantato da un potere immenso, che pure nulla era in confronto alla grandezza del suo spirito.
Alessia Bartolacelli:
Scena 12 - Epilogo
Non lo vedevo più. Com’era possibile? Scomparso in così poco tempo...?
Dopo la distruzione del demone, il silenzio era calato sul villaggio, lunghi minuti di confusa sospensione, il respiro prima del salto.
Yato scomparve alla mia vista ben prima di raggiungermi, gli alberi del bosco celavano il sentiero. Stavo per rompere quel momento di stasi e correre da lui, quando un boato di gioia eruppe improvvisamente dalle gole di tutti gli abitanti: liberi, liberi dalla paura per la prima volta in mille anni, liberi di immaginare un futuro sereno senza l’ombra di una minaccia spaventosa a oscurarlo, liberi di non temere più l’inverno come qualcosa di terrificante e spaventoso.
Yato ci aveva donato la libertà, e tutti l’avevano compreso. Non dubitavo che avrebbero anche accettato la sua ascendenza come un dono degli Dei, una risposta alle preghiere di generazioni di antenati… e forse era davvero così.
Di certo lui era la risposta a tutte le mie preghiere, a tutti i miei sogni e a tutte le mie speranze.
Venni quasi travolta dalle persone festanti, tutti si abbracciavano e molti erano i volti segnati dalle lacrime per la felicità e il sollievo. In molti si prostrarono ai piedi della nonna, ringraziandola per tutto quello che aveva fatto per loro; alcuni lo fecero anche con me e fu difficile convincerli che in realtà io non avevo fatto niente, che il merito della nostra salvezza andava all’eroe che ci aveva salvati tutti a rischio della vita.
La nonna mi abbracciò stretta, anche lei commossa, per un lungo momento; poi mi prese il viso tra le mani sorridendo, “Il segno più importante della mia vita, sei sempre stata tu Kagura. Ti voglio bene e la mia felicità più grande sta nel sapere che potrai avere il futuro che desideri”, tacque alcuni istanti accarezzandomi le guance, “Saresti stata una magnifica sacerdotessa esattamente come sarai qualsiasi cosa tu voglia essere, mi permetto di suggerire moglie e madre”. Arrossii tra le lacrime che avevano preso a scorrere e lei rise di cuore, “Si può sapere cosa ci fai ancora qui? Hai ben altro da fare che stare qui a piangere con la tua vecchia nonna”. La abbracciai stretta, ripetendole più volte quanto le volessi bene e quanto le fossi grata per tutto, finché il cuore non si volse al mio più grande desiderio.
Verrai?
Yato non sarebbe tornato al villaggio. Festeggiamenti, ringraziamenti e congratulazioni avrebbero dovuto attendere. Lui mi stava aspettando altrove.
Corsi come non avevo mai corso in vita mia. Distrattamente mi resi conto che avevo ancora Tessaiga tra le mani, ma non vi rivolsi più di un fugace pensiero. Il mio cuore e il mio spirito anelavano una cosa soltanto: ritrovare Yato, la sua mancanza improvvisamente intollerabile, la sua voce irrinunciabile e il suo abbraccio…
Corsi nella neve di nuovo soffice sotto i calzari, come se il sottobosco non fosse mai stato tanto rado, nessun cespuglio o ramo parve ostacolare i miei passi.
La polla tuttavia non mi era mai sembrata tanto distante, tanto che iniziai a temere di non arrivare mai. Era una paura irrazionale, qualcosa che sapevo essere sciocco, ma…
La temperatura iniziò a farsi più mite nell’aria e la neve più bassa a terra. Il profumo dei vapori balsamici accese il bosco come se Sesshoumaru non l’avesse mai minacciato.
Solo una macchia di cespugli, solo alcuni tronchi, poi l’avrei vista. Sarebbe stato lì, doveva essere lì, era lì che mi avrebbe aspettata. Rallentai la corsa fino a fermarmi.
E se avessi indugiato troppo, se fossi arrivata troppo tardi o…
Scossi la testa per scacciare quei timori infondati. Non avevano alcun senso, io sapevo che Yato era là, lo sentivo nel cuore e nel calore che sentivo nell’anima.
Mi sorrise illuminando il mondo intorno a noi. I tratti demoniaci stavano recedendo lentamente, come se l’aver utilizzato tutto quel potere l’avesse stancato al punto da rallentare il cambiamento.
Immerso nell’acqua della polla fino al petto, sembrava più provato di quanto volesse lasciarmi intendere, ma anche immensamente sollevato: forse anche lui, come me, sentiva come se una tenda si fosse appena sollevata su un futuro che stava a un passo di distanza, una felicità che sarebbe stata nostra soltanto da immaginare…
Notai appena i suoi abiti ripiegati su una roccia poco distante, se mi fossi curata di altro a parte il desiderio di correre da lui, mi avrebbe sorpresa la mia assoluta mancanza d’imbarazzo per l’intimità della situazione. Ma non aveva importanza, in effetti, perché così volevo fosse la mia vita, se anche Yato l’avesse desiderato.
Il suo sguardo non mi lasciò un istante, mentre un passo dopo l’altro mi avvicinavo al piccolo specchio d’acqua circondato dal vapore; bruciava e mi resi conto che il mio doveva essere lo stesso.
Quasi mi girava la testa… si poteva morire di felicità?
L’intensità dei miei desideri mi tolse il fiato, e l’origine di ognuno di essi continuava a guardarmi sorridendo a pochi passi da me. Non sapevo cosa dire, sapevo soltanto che era profondamente sbagliato per noi essere così distanti, che il mio posto non poteva essere che accanto a lui.
Un piccolo tonfo attutito dalla neve. Tessaiga mi era scivolata dalle mani.
La katana sacra aveva definito la mia vita fino a quel momento, il mio compito era custodirla, conservarla, non… non avrei dovuto lasciarla cadere, ma…
“Kagura, vieni qui”.
Quello era il mio passato, Tessaiga e quello che significava stavano alle mie spalle.
Corsi verso il mio futuro con il cuore talmente gonfio di gioia che temevo sarebbe finito per scoppiare.
L’acqua era calda e perfetta, ma quando Yato mi cinse con le braccia e le sue labbra ritrovarono le mie, qualsiasi concetto di perfezione dovette essere ridefinito.
“Grazie”, baciò le lacrime che non ero riuscita a trattenere, e la dolcezza di quel gesto ne strappò altre ai miei occhi, “Grazie a te… sei tornato..!”. Sorrise accarezzandomi i capelli, “Ne dubitavi?”, scossi la testa e lui mi baciò di nuovo, “Ti amo Kagura, è solo qui che voglio stare, solo con te. Se lo vuoi anche tu”.
Alzai le mani ad accarezzargli il viso, non avrei provato nemmeno a trattenere le lacrime, “Ti amo anch’io… Dei… ti amo infinitamente e non voglio esistere lontana da te”.
Smise di stringermi soltanto per slacciare l’obi e quando le sue mani trovarono la mia pelle cessai di pensare. L’eterna perfezione dell’amore stava intorno a noi, in noi.
Tutti i miei pensieri erano suoi.
Tutti i miei respiri. Ognuno dei battiti del mio cuore. Sua in ogni parte del mio essere. Per sempre.
Fine.[/i]
Alessia Bartolacelli:
E così si conclude la narrazione di Kagura e del suo Drago di Ghiaccio, spero che leggerla vi sia piaciuto quanto a lei viverla e a me giocarla.
Grazie a Giulia per avermi fatto conoscere questo splendido gioco, e a Marco e Alessandro per averlo condiviso con me... mi hanno dato filo da torcere lo ammetto! ;)
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