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[Dilemma] Viaggio nella mente di un'Ala

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Matteo Suppo:
Capitolo 5: Il secondo giro di scene
La prima scena tra le ali viene fatta al faro. Non so bene cosa dire, le chiavi sono ancora un po’ estranee. L’unica cosa che mi viene da dire è una brutta metafora. Ma brutta brutta. Il trucco per dire brutte metafore è semplice: Cominci con una metafora e poi la storpi. Steve è come se avesse un palo in culo, ma quel palo è fatto di marmellata. Storpiare metafore era addirittura una meccanica per il gioco Flame Wars. Non è stata una scena particolarmente bella o intensa, ma a me le scene tra ali piacciono in generale.

Nel secondo giro di scene io vado da Shelley. Voglio evitare di dovermi introdurre in casa sua come han fatto le altre ali nelle scene precedenti e quindi propongo di ambientare la scena al pub mentre lei sta lavorando. Marco la descrive con i capelli raccolti in qualche modo che non ricordo bene. Il pub viene descritto da un po’ tutti con cura e con dettagli anche umoristici, come il vecchio nell’angolo presente da sempre, o la foto incorniciata alla parete del vecchio sindaco che stringe la mano a una persona che nessuno sa chi sia.

Il mio piano è di entrare con prepotenza nella vita di Shelley e poi improvvisare. La tecnica è molto simile a quella che ho adottato con Steve. Comincio con un “Vorrei un daniel jackson... cioè un jack daniels... che gusto ha?” Sì, ho scelto un cocktail che avesse Daniel nel nome apposta. E sempre apposta dopo le ho detto che lo avevo scelto perché mi piceva il nome.

Mi dipingo come eccentrica e strana per stimolare la sua curiosità. L’errore nel nome del drink è studiato a tavolino per sembrare simpatica e non passare per una minaccia.

Alla fine ordino un succo d’arancia e in qualche modo viene fuori il fatto che non sono di questa zona. Lei è affascinata (naturalmente. L’ho detto per questo), ma non può fermarsi a parlare. Col senno di poi avrei dovuto usare la mossa scura per darle più tempo di poterlo fare, ma in quel momento non ci ho pensato e me ne sono resa conto dopo.

Cominciamo con uno scambio di domande ad ogni drink (Meg beve il succo d’arancia come fosse uno shot, alla goccia). Dopo poco mi incarto perché qualcosa non mi torna. Io vorrei portarla via da qua a divertirsi, ma non so bene come fare. Di nuovo avrei potuto usare la mossa ma non la avevo proprio vista. Non so bene perché le ho detto di non avere più spiccioli e di avere solo una banconota da 50 dollari. Alla fine le propongo di aspettare la fine della serata e parlare dopo.

Finalmente riusciamo a parlare un poco. Mi chiede se sono mai stata innamorata, e io rispondo di no. E’ la verità. Per Meg è la prima volta sulla terra. Lei mi parla di Daniel. Io le dico che come lui è uscito da quella porta (indicando in fiction l’uscio del locale), chiunque potrebbe entrare proprio in quel momento. Non ricordo chi ha suggerito che entrasse l’ennesimo vecchio, per amor di commedia. Shelley dice “ma dai, quel tipo avrà duemila anni!” “Ehy, che c’è di male nell’avere duemila anni?”.

Trovo importantissimo l’humor in questo gioco. Senza scadere nel ridicolo, un po’ di commedia aiuta ad avvicinare le persone, ad avere degli aneddoti divertenti da raccontare e e ricordare.

Ne esce un’altra metafora di quelle di Meg. “Vedi, la vita è come questo succo d’arancia. Se lo lasci tutta la serata lì, diventa rancido. Se invece lo bevi tutto d’un fiato finisce... ok non è venuta esattamente come volevo”.

Alla fine la convinco a passare la nottata con me, a farmi visitare quest’isola e i suoi posti segreti, a fare il bagno in mare. E’ la mossa scura dell’ala arancio, e i dadi mi sono amici. Lei è sollevata e felice. Io son soddisfatta e convinta di aver fatto un buon lavoro.

Caesar va a visitare Johnny, fingendosi suo falegname. Johnny gli dice che il nipote sta facendo le valigie, e mostra di essere triste. Caesar scruta nelle profondità del nipote, trovando che sì, è stato bene, ma vuole tornare a casa dagli amici e la famiglia.

Non l’ho ancora detto ma Caesar aveva un sacco di fortuna nello scrutare le persone, ma ben poca quando si trattava invece di fare le altre mosse. Meg invece non ha mai scrutato dentro nessuno. Peccato, perché avevo già una idea bellissima sul come descriverlo. Non condividerò questa idea perché mi piace teasare (lavagna!) gli altri. Se volete saperla, fatemi da patroni con dei personaggi misteriosi :P

Comunque Caesar cerca di donare a Johnny una chitarra da regalare al nipote, ma fallisce miseramente. Johnny accetterà, ma in scene successive quando il nipote non sarà più presente la chitarra sarà ancora lì (dettaglio bastardissimo).

Eco invece va a visitare Steve, poiché ha deciso di essere il guardiano del faro, e di stare dipingendolo blu. Lo convince a prendersi un po’ di tempo per prendere un caffè e infine a trascurare un po’ i suoi impegni politici per essere più presente con suo figlio.

Eco mi sembra molto competente come ala. Sa cosa vuole e come ottenerlo. E quello che vuole è il bene delle altre persone.

A questo giro non c’è nessuna scena delle ali. Non ne sentivamo il bisogno.

Capitolo 6: Il terzo giro di scene
A questo giro Eco va a visitare Johnny, fingendo di aver bisogno del suo aiuto per un qualche lavoro manuale che non ricordo. Ammetto candidamente che ho seguito poco questa parte, anche perché durante tutta la giocata ci sono state pause molto pronunciate e poi avevo da fare gli occhi dolci alla mia dolce metà all’altro tavolo.

Fatto sta che passa del tempo con lui. Assistiamo al burbero Johnny che un po’ si scioglie, offrendogli la cena (o meglio, piazzando due tavoli sul tavolo e dicendo “Non mangi?”).

Io decido che dopo aver fatto divertire Shelley devo far uscire dal guscio anche Johnny. Mi presento di nuovo a casa sua, ma questa volta rispettando le regole (o facendo finta di farlo). Mi fermo al limitare della sua proprietà e lo chiamo. Gli offro un cartello con su scritto “Proprietà Privata” con vernice arancione (una cosa simile: http://us.123rf.com/400wm/400/400/hlehnerer/hlehnerer1103/hlehnerer110300027/9168751-black-orange-white-private-property-hanging-sign.jpg) fatto ovviamente da me.

E’ una tecnica anche questa. Offrire un dono che parli alla memoria. Un dono del genere è un piede di porco da utilizzare per aprire i gusci come fossero cozze (a Meg piacciono le metafore). Lui è triste perché il nipote se n’è andato. Dice che toglierà i cartelli, lascerà che la gente venga a vedere il panorama. Lui si chiuderà in casa così non vedrà nessuno.

Allora io utilizzo la tecnica della fionda, anche detta tecnica Bolzoni. Prima con la mossa chiara gli dico che deve smetterla di fare il burbero che tanto non ci crede nessuno. Poi con la mossa scura che tagga lo convinco a venire al pub alla sera a offrire da bere agli avventori e raccontare storie di mare. (Meg è un po’ confusa sulla storia e quindi parla di pirati! (Ah, e mentre scrivo questa cosa nella playlist parte una canzone degli Alestorm)).

Sono raggiante. Gasatissima. Utilizzare le combo per piegare la fiction al mio potere mi fa questo effetto. Dev’essere stato a questo punto che ho scritto su gplus il messaggio “Sto vincendo a Dilemma”. La mia personale definizione di Vincere a Dilemma è praticamente “Utilizzare le mosse, interpretare l’ala, fare la cosa giusta, interessarsi alle chiavi e aiutarle, in maniera elegante, rispettando il sistema e onorando i dadi”

Non c’entra ovviamente nulla con la competizione, con il dimostrare di essere migliori. E’ l’euforia che ti prende quando stai cavalcando l’onda meglio di quanto ti è mai riuscito, è il gesto di vittoria che ti viene automatico quando atterri in piedi dopo un salto mortale, è l’ottimismo che ti prende quando tutto sta andando nel verso giusto, e tu sai che te lo sei costruita da sola.

Tuttavia io probabilmente esagero ^^

Caesar visita Steve, nel parco mentre Steve sta giocando a pallone con suo figlio. Scrutandogli dentro si accorge che ancora non è soddisfatto, che si sente ancora costretto dai binari su cui scorre la sua vita, preso tra l’incudine dei suoi doveri politici e il martello del ricatto.
Caesar gli offre la libertà. Lo fa andare dalla polizia a denunciare il ricatto, dimettendosi dalla carica di sindaco. La mossa è un po’ stiracchiata, e ci è voluta collaborazione da parte anche degli altri. Gabriele inizia a lamentare che i suoi poteri possono solo dare cose materiali, ma io son troppo presa dalla mia esultanza per badarci.

Chiamo una scena tra le ali, al pub nella sera del debutto in società di Johnny. Non ho altri scopi se non dire “Tutto sta andando benone, stiamo facendo un gran lavoro!” Marco mi chiede come faccio ad essere così ottimista, e gli rispondo che è la prima volta che scendo sulla terra. Tutto qua. Non sono ancora rimasta scottata. Foreshadowing! E’ un’altra tecnica delle mie. Con Leone son rimasto scottato, giocando a Dilemma. So perfettamente che Meg scoprirà che le cose non sono tutte rose e fiori.

Matteo Suppo:
Capitolo Sette: Il quarto giro
Shelley ha fatto la valigia, ha litigato con suo padre e sta aspettando la nave, la mattina presto, con la foschia. Lascio che sia Eco a raggiungerla, tenendomi pronta ad intervenire in caso qualcosa non andasse come voglio io. Ma l’esecuzione di Eco è magistrale, al punto che uso pure una mia impronta per aiutarlo. Le offre l’opportunità di andare a Londra in primavera, partecipando ad un concorso, invece che partire ora, senza meta.

Non potrei essere più d’accordo, se non che Shelley chiude la scena dicendogli “Grazie, solo tu pensi a me”. Sono sicura che Marco lo abbia fatto apposta. Gliel’ho letto negli occhi.

Wait, what? Solo lui? Meg prende i suoi piani di andare a visitare Steve, li butta giù dalla scogliera e si presenta anche lei da Shelley. Shelley sta bene, non ha bisogno di Meg. E’ il contrario. E’ la prima volta che è il contrario, per Meg. Un bel traguardo.

Una volta lì non so bene cosa fare. Non voglio spingerla da nessuna parte. Voglio che mi dica che anche io sono importante, forse, ma non corrisponde a nessuna delle mie mosse.

E’ poco prima di natale. Shelley è sola che sta appendendo le decorazioni. Meg appare lì, senza alcuna spiegazione (e nessuna spiegazione viene richiesta). Fa finta di non conoscere il natale, dicendo che “dalle sue parti non si festeggia”. Me la vado a cercare, perché Shelley mi incalza chiedendomi da dove vengo. Inizio a descrivere un generico luogo plausibile ma bello, e Shelley si mette a dipingerlo. Dopo poco non resisto e descrivo un paesaggio onirico, con un mare di nubi, una città sospesa con un prisma. Da quel prisma entra la luce del sole ed esce un arcobaleno.

Shelley non ci crede che vengo da lì. Le dico che la verità è che vengo da un posto noioso. Shelley mi porta a vedere i suoi quadri che sta preparando per il concorso/mostra. Tre in particolare. Due mostrano me ed Eco, e sono bellissimi. Il terzo è vuoto, e parliamo un attimo di questa figura che lei ha visto solo come se fosse stato un sogno. Si tratta ovviamente di Caesar, che però non ha più visitato Shelley dal momento della larva.

Io tra le altre cose le faccio anche un discorso su suo padre, dicendole di immaginare di essere lui e di cercare di capirlo. Non si vuole lasciar andare gli altri, ma a volte si deve farlo, per amore di loro. Non me ne rendo conto, ma sto facendo un altro presagio. La scena dell’addio si avvicina.

Finiamo abbracciate nel letto, a dormire assieme. Non c’è erotismo o passione in Meg (ancora non le conosce), e la stessa cosa in Shelley. Considero se baciarla, ma non suona giusto. Così le metto solo in testa il capello arancione che avevo e le dò un bacio sulla guancia. Dormiamo.

Shelley è speciale, a questo giro. Anche Caesar le fa visita, per la prima volta da quando l’aveva vista sulla scogliera. Quando lei capisce chi è, gli chiede perché non si è mai fatto vivo. Lui risponde che pensava di non poterle essere d’aiuto. Lei gli risponde giustamente che è una testa di fava, che bastava passare a salutare. Gabriele ci dice che non sa come usare i suoi poteri. Gli suggeriamo che spingerla a condividere la sua arte col padre potrebbe essere un buon piano. E’ una bella idea, ma i dadi non la pensano così. Fallisce. Lei lo farà, ma senza convinzione che funzionerà.

Alla scena tra le ali, di nuovo al faro, abbraccio al volo Caesar. Il rumore è tipo Glomp. Gli dico che lui pensa di essere inutile ma non è così. Che le cose terrene e materiali possono fare la differenza, essere importanti, ed essere cariche di significato.

Meg fa la sua prima metafora azzeccata, con una arancia, dicendo che una arancia è poca cosa, ma può fare la differenza tra la vita e la morte, che non basta il suo profumo e soprattutto perché se io regalo una arancia sto regalando parte di me, del mio colore (le parole non erano esattamente queste, ma era questo che intendevo).

Questa scena è stata davvero colorata di amore fraterno. E ci credevo davvero in quello che dicevo. Arrivati a questo punto agivo di impulso, avendo ormai creato il personaggio abbastanza da lasciare che prendesse il sopravvento. Non ho deciso di fare la prima metafora azzeccata di Meg, è venuta fuori da sola. Ho deciso di abbracciare e consolare Caesar, perché era giusto così, e andava fatto. Non avevo pianificato nulla.

Matteo Suppo:
Capitolo otto: Il quinto e ultimo giro
E’ quasi tempo di partire per Shelley. Sta facendo la valigia. E’ quasi tempo per partire anche per noi. Eco la va a trovare, di nuovo, in camera sua. E qua ci scappa il fraintendimento. Shelley era convinta che lui sarebbe andato con lei. Eco la guarda e le dice “Non me lo hai mai neanche chiesto...” ma le dice che ne parleranno un’altra volta (si sta preparando all’addio. Lui cerca di assicurarsi che lei persegua il suo sogno in ogni caso, e lei gli domanda se è interessato solo ai suoi quadri. Lui le risponde che no, è interessato anche a lei, perché è lei che ha il talento. Lei prova anche a baciarlo, ma lui si ritrae.

Io non sono gelosa, ho anche usato le mie impronte per aiutare Eco il più possibile (e lui ha fatto viceversa).

Per la mia ultima scena prima dell’addio visito il vecchio Johnny, perché il patrono lo ha descritto che sta attaccando centinaia di palloncini alla casa e noi siam preoccupati che stia impazzendo.

Il vecchio mi invita in casa sua e mi offre il the (quello con l’etichetta arancione). Marco mi descrive un cartello girato ma mi dimentico di chiedere poi cosa c’è scritto. Johnny mi dice che sta appendendo palloncini perché gli piace stare con la gente. Io gli dico “Ah! Ho capito! Così tutti verranno a cheiderti ‘ma perché hai messo dei palloncini? E’ geniale!”

Risate. Lo humor è importante.

Tra una cosa e l’altra dice anche che vorrebbe che il nipote tornasse a visitarlo, ma...

A questo punto ho una idea: chiamerò i genitori del nipote e lo convincerò a tornare! Quindi dico che prendo il cellulare e dico che tornerò subito. Marco mi ferma, mi dice che forse non ho capito. Non è che non vuole tornare, è che ha da andare a scuola, e ha gli amici e tutto. Mi chiede se voglio fare qualcos’altro.

Ci penso un attimo e poi ho una idea. “No, chiamerò comunque e li convincerò ad ospitare il vecchio Johnny per una vacanza”. E’ l’uovo di colombo. Marco fa la scenetta del povero Johnny che ora deve pure andarsene via da casa sua, l’ultimo brandello di dignità che era rimasta, ma in realtà è una ottima idea. E’ la mia mossa scura per dargli più tempo per fare quello che gli piace. E anche qua mi sento fighissima e bravissima. Felicità solo per un attimo oscurata da Johnny che dice “Voi resterete qua e aggiusterete i palloncini, vero?”

No, Johnny, non resterò su quest’isola. Non so ancora se ascenderò o viaggerò il mondo con Shelley, ma non starò qua.

Caesar torna a visitare Steve. Non sa da chi andare, ma gli si dice, poiché è la sua ultima chance di Marchiare una chiave, che è meglio che scelga la chiave a cui è più affezionato.

Lo trova che ha abbandonato il suo lavoro da sindaco ma ancora lo nasconde. Piove e Caesar ha un grosso ombrello giallo. Stanno entrambi sotto all’ombrello. Caesar lo spinge infine a prendere in mani la sua vita, a costruirsi da solo un futuro migliore, plasmato come vuole lui. E finalmente riesce a marchiarlo.

Siamo arrivati agli addii... e nel frattempo nel racconto si cena, e io invece di scrivere devo lavorare. Ci si risentirà per l’epilogo.

Marco Andreetto:
È semplicemente meraviglioso...

Grazie Matteo. Grazie di cuore.

Claudia Cangini:
Questo AP è molto bello, sia perché descrive una bella giocata sia perché, giustamente, parla di sistema e fiction insieme.
Sto leggendo con interesse e spero lo concluderai.

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