Caro Morgan, non sapresti dire di preciso come sei arrivato qui, ma hai appena girato un angolo di un cunicolo non troppo alto, che sembra essere stato intonacato malamente almeno una quarantina d’anni fa, con palesi infiltrazioni d’acqua e striature di muffa, dall’alto al basso da tutte le parti. Il cunicolo ha un soffitto a volta vagamente irregolare e dà su quella che sembra essere una stanza rettangolare, dal soffitto squadrato più alto.
La cosa particolare è che qui ci sono delle piastrelle, sia per terra che a muro, sono bianche, o meglio, lo erano. Ora sono lorde e perlopiù rotte, anzi sembra quasi che qualcuno si sia divertito a spaccarle, come passandoci sopra a furia di botte con un martello. Non hai altra luce che quella della tua torcia e il suo fascio conico che proietta.
Al centro della stanza sembra esserci uno scolo di ferro largo una spanna, sporchissimo e mezzo intasato di capelli lunghissimi. Si sente un costante rumore di PLIN PLIN e si vede chiaramente una striscia brunastra di sangue rappreso che va da quello scolo alla parete antistante a da dove sei venuto tu. Lì, al muro, ci sono due catene arrugginite infisse e le piastrelle dentro le quali si trovano fissate sono completamente distrutte e sbriciolate, ma non è quello che ti dovrebbe preoccupare.
All’estremità di ciascuna delle catene ci sono dei ceppi che tengono bloccate due braccia umane di un bianco bluastro del tutto malsano. Una, la destra, sembra quasi tagliata di netto all’altezza dell’avambraccio, come se fosse stata recisa da una scure, da una mannaia o da un grosso coltello, l’altra, la sinistra, sembra strappata, lussata, disarticolata: si vede chiaramente l’osso uscirne fuori, come se fosse strappata di forza, e i brandelli di carne e di quelli che dovevano essere vestiti “danzargli” attorno.
Per terra, in mezzo alle catene, è la fiera delle macchie di sangue. Tanto da che sono nere e dense sembrano quasi solide. E, anzi, sicuramente devono esserlo, poiché quel sangue rappreso deve essere lì da un bel po’.
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