Infatti Giorgia c'è qualcosa che non mi torna.
Mi definisci "disturbante" per favore?
Io ho ho esperienze a proposito di giocate intense. Di giocate persino "dolorose" sotto determinati punti di vista. Ma di disturbante ho visto poco.
O meglio, ho visto un caso di una partita di Kagematsu andata molto male. Con la ragazza che faceva Kagematsu mettersi a piangere (io stavo presentando il gioco e interruppi immediatamente la cosa).
C'era anche il ragazzo al tavolo, e da quello che capii la ragazza sentiva una fortissima tensione, ma non positiva e non derivata "dal gioco".
La situazione (dover fare da "master" al suo ragazzo, master stimato da molti, le metteva tensione), mescolata ad alcuni contributi di gioco (a quanto ho capito avevano inserito in alcune scene alcuni elementi del loro rapporto...roba marginale per chiunque...tipo una scalinata particolare o un gatto che si comportava in un certo modo...) hanno suscitato sensazioni "angoscianti", proprie di quello specifico momento di tensione e stress.
Arrivarci è possibile perché magari non ti rendi conto in tempo delle emozioni che stai provando. Non abbiamo dei bottoni visibili che se non premi sei sicuro non succeda niente.
L'emotività è qualcosa di personale, spesso in qualche modo non del tutto chiara nemmeno a noi stessi (sull'esempio dei film: in Django alcune scene di violenza mi hanno fatto ridere di gusto. In Ralph Spaccatutto una scena in particolare con Vanellope mi ha fatto sentire le lacrime agli occhi, e non erano belle sensazioni).
Generalmente parlando si può ricercare l'esperienza di provare sensazioni non positive. Provarle in un ambiente sicuro può essere estremamente positivo. Per ambiente sicuro intendo in una situazione in cui SAI che quello che succederà non ti metterà in imbarazzo con altri e non sarà usato per ferirti ulteriormente.
Non è solo una questione di meccaniche, ma anche del contesto sociale giusto (e "giocare con gli amici con cui esco da 10 anni" a volte non è per niente il contesto sociale giusto. A volte il contesto sociale giusto è "giocare insieme ad alcune persone semi-sconosciute che hanno desiderato fortemente di provare un gioco che parla di lutto familiare").
Ma quando quelle sensazioni non si scatenano in un ambiente sicuro (una scena particolare. Un tono di voce usato da qualcuno. Una frase supportati da un gesto e uno sguardo particolare..... è una cosa simile all'Ancoraggio Emotivo. Il nostro cervello registra costantemente emozioni e le collega magari ad altri elementi esterni, come gesti, odori, situazioni...che in futuro potrebbero scatenare nuovamente quelle emozioni...il tutto inconsapevolmente) l'esperienza non è positiva. Perché stai scoprendo parti di te difronte a persone con le quali non vorresti scoprirle.
Determinati giochi offrono alcune tecniche per impedire quelle esperienze negative. Le linee e i veli sono uno di questi (sono spiegati in un thread linkato in uno dei tuoi).
Però ti faccio un esempio di una linea che è venuta fuori spontaneamente in una mia giocata di La Mia Vita Col Padrone. Perché non è una linea come "niente violenza sugli animali" che non ho mai visto in gioco. È una linea estremamente personale. Tanto che, applicando quella tecnica, non mi sono neanche accorto di vederla in funzione (era proprio una questione di rispetto personale):
Il padrone era Goffredo della Scala, un artistoide nel milanese (che si era messo in testa di fare ARTE con la sofferenza della gente). Tra i suoi servitori c'era Ingrid, che lo ha cresciuto e allevato e gli ha fatto da seconda madre.
Ingrid era giocata da una ragazza che poi divenne mia amica (non intima, ma è una donna per la quale provo una certa stima). Eravamo alla nostra prima giocata insieme e io in pratica non la conoscevo quasi per niente. ^^
Ad un certo punto (io ero il Padrone) inquadro una scena in cui lui la chiama. È arrabbiatissimo, ma non con lei (sul tavolo del suo laboratorio avevo descritto un bambino morto, che lui aveva "rovinato accidentalmente" nel tentativo di farci un putto per la sua ultima creazione). Le chiede, siccome il bambino non è più utile, di andarle a prendere il fratellino.
Qualche scena dopo, quando il suo personaggio va a prendere il fratellino: lei va, parla con i genitori, li frega dicendo che l'altro figlio sta bene, e Goffredo li pagherà benissimo se volessero far fare da paggetto anche al fratellino (ha agito di Inganno). Vince il conflitto e i genitori chiamano l'altro figlio. Mi invento il primo nome che mi viene in mente. "Michele". Lei sgrana gli occhi e cambia postura "oddio, Michele no, è il nome di mio figlio". Le viene da ridere, ma è una risata nervosa. Io quantomeno me ne accorgo benissimo.
"Ma certo le dico. Lo chiamiamo Alessandro..." (la guardo per sdrammatizzare, sorridendo, non hai problemi a torturare gli Alessandri, vero?). Lei si rilassa e continuiamo.
Quella era una linea "Nessun personaggio si chiama Michele".
Non è una linea che decidi prima, perché non te lo immagini che dovrai portare alla morte un personaggio con il nome di tuo figlio. E magari sentendolo chiamare per nome (nessun altro lo saprebbe, magari). Magari se qualcuno glielo avesse detto quella giocatrice non avrebbe neanche immaginato di aver problemi a far del male ad un personaggio con il nome di suo figlio.
Però, quel particolare contesto, quella particolare situazione, quel particolare personaggio, quei particolari giocatori.....quella somma di particolari l'hanno portata a provare una sensazione forte (sgradevole e non positiva) che lei non si sentiva di voler provare.