Un po’ di tempo fa mi è stata riportata un’interessante storia da un mio conoscente che sapeva che gioco di ruolo.
Purtroppo al momento non ricordo i dettagli dei nomi e quindi non è particolarmente verificabile.
A suo tempo quando me la raccontò provai a cercare su internet ma non riuscii a trovare informazioni approfondite al riguardo della vicenda.
E’ una storia che riguarda il gioco di ruolo (in senso lato), la fuga dalla realtà e i campi di concentramento.
Sui gdr e la fuga dalla realtà se avrò tempo dirò qualcosa successivamente (vorrei in particolare parlare degli aspetti positivi della fuga dalla realtà visto che spesso si parla solo di quelli negativi che ovviamente esistono). Diciamo che mi è rivenuto in mente questa vicenda e di conseguenza mi è rivenuto in mente il rapporto fra gdr e fuga della realtà (escapismo usando un inglesismo).
Veniamo alla vicenda.
A Berlino si trova un museo che raccoglie oggetti e testimonianze da alcuni campi di concentramento (ne esisterà sicuramente più d’uno e su tutti il museo dell’olocausto). In particolare questo museo in precedenza era qualcosa tipo una sede isitituzionale durante il nazismo (ma questo particolare non lo ricordo benissimo).
Comunque in questo museo fra i vari oggetti è presente un quadro. Il quadro rappresenta una barca con colori accesi immersa in un ambiente dorato. Quando la guida passa davanti al quadro ne racconta la storia (come per molti altri oggetti del museo suppongo).
Il pittore era un ebreo deportato in un campo di concentramento (uno di quelli meno famosi ma non per questo meno orribili). Non ricordo se il quadro fu dipinto addirittura dentro il campo o successivamente dopo che l’autore era scampato all’olocausto.
La parte molto interessante è che l’autore dice che fu quella barca a mantenere in vita lui e i suoi compagni.
In sostanza in quell’ambiente disumano che era il campo di concentramento l’autore del quadro e i suoi compagni si immaginavano di essere dei pirati su quella nave e creavano (e vivevano) storie fantastiche e avventurose.
Sì in sostanza giocavano di ruolo

.
E questo dice l’autore del quadro riuscì a tenerlo in vita nonostante le tragiche condizioni in cui erano tenuti. Quella era letteralmente la loro fuga dala realtà.
Nel momento in cui la realtà diveniva disumana e “irreale” (irreale come solo gli umani sanno renderla con una certa follia malvagia) la fantasia diveniva un luogo sicuro, umano e più “normalmente reale”.
Mi sembra una storia interessante che sicuramente suscita delle interessanti riflessioni sugli aspetti psicologici del gdr. E probabilmente questa non è neanche la sede per affrontare tali argomenti ma mi faceva piacere presentarvi questa vicenda.
P.S.
Mi accorgo di aver tenuto un tono malamente didattico in questo post. Scusate ma dopo una giornata di lavoro sono un po' stanco e mi è venuto così. Spero ne apprezziate comunque il contenuto.