Perché quando lo fai non fai che appuntare le tappe della vita del personaggio punto su punto.
Il miglior esempio di buona fiction sono le serie TV o i romanzi ben scritti: in nessuna serie TV o romanzo ben scritto l’autore ci viene a dire cosa ha combinato quel personaggio per tutta la sua vita prima di presentarcelo. Lo veniamo a scoprire mentre guardiano/leggiamo la fiction. Questa cosa è vera anche da parte dello scrittore/autore della fiction in questione: raramente egli parte con un’idea precisa e monolitica, più spesso si aggiungono dettagli strada facendo.
Il nostro punto di vista, come giocatori di story game, deve essere il medesimo: aggiungere dettagli quando serve e come ci pare; noi siamo i giocatori, gli autori, del nostro personaggio e abbiamo l’autorità, anzi, il dovere di svilupparlo. Ci sono dei punti di partenza, degli spunti, e noi li dobbiamo esplorare, ma non troppo, e soprattutto non prima di giocare davvero.
Un ultimo punto è questo: non ha senso imbottire un personaggio di dettagli insignificanti. Un personaggio prende vita sui dettagli, ma su quelli significativi, quelli che tu reputi davvero importanti per caratterizzarlo. È difficile per i giocatori, e per gli spettatori di una fiction, memorizzare più di un tot di dettagli alla volta; per questo bisogna focalizzarsi, soprattutto all’inizio, su due, tre, massimo quattro, cose che ci colpiscono di quel personaggio e costruire il resto da quelle (ma mentre giochiamo). Non c’è nulla di sbagliato che noi possiamo dire dei nostri personaggi: essi ci si rivelano costantemente sotto nuove luci, ed è questo che ce li rende intriganti.
Ce lo spiega particolarmente bene Jared A. Sorensen (octaNe, pp. 74-75):
Detailing
There’s an old saying: “the Devil is in the details.” Now that your character is more or less done, you can add all the chrome. I like to start with a name first (names are important). Nicknames are always a good choice, especially in the whacked-out world of octaNe.
When describing how your character looks, here’s a trick: only write down three details. Nobody really cares about your character’s exact height and weight or the color of his eyes. C’mon, really. What you should describe are the things that really stand out:
Wears a raggedy tuxedo and horn-rimmed glasses. Carries a white Fender guitar.
Dresses in dusty leathers and wears a jury-rigged brace on his leg. Has a sawed-off shotgun slung on his back.
Huge dude wearing wrestling boots and a red leather mask decorated with orange and yellow flames.
Has a tattoo of dice on his neck that says “Born to Lose.” Wears a cowboy hat and a big gold chain.
Small monkey wearing an orange sash and carrying a small stick. Hot chick with spiked heels. She’s wearing a tight black cat suit that’s unzipped to her navel.
Bipedal gila monster.He’s wearing off-the-shoulder overalls, and he’s chewing a toothpick.
So here’s an official rule: You can only describe three distinct details about your character’s appearance.
I know it seems a little draconian on my part, but trust me. Not only will it make your character that much more distinct, you’re also giving stuff to the other players that they’ll be able to grab onto. Nobody cares if your character is 5’9” and has short, black hair and blue eyes. Less is more – you already know what your character looks like. Let the other players create their own mental images (even if those images don’t match up exactly). Imagination is a powerful thing.
“He’s unshaven, he’s got a wicked scar, and he’s wearing a ripped denim jacket with a Motorhead patch on the back.”
The character is a scruffy, scarred thrash metal fan. What more do you need?
Come i figli, i personaggi non sono una nostra creazione pura e monolitica; noi siamo l’arco da cui vengono scagliati i nostri personaggi. Dacché li lanciamo nell’aere, chissà quali mete raggiungeranno.
Qualche cattivello mi ha anche chiesto di fare degli esempi di gioco concreto. Beh, quando giocavo a
D&D col paladino Temes spesso, alla fine delle sessioni, mi ritrovavo a fare dei discorsi del tipo: ”Non l’ho giocato bene”, “Non mi sono piaciuto”, “Potevo farlo meglio”, “Lì potevo fare così”. Se avessi tracciato un bilancio delle volte in cui avessi reputato di averlo “giocato bene” sarebbero state veramente poche. Come risultato era un po’ frustrante e tendevo a vedere il GDR come una serie continua di prestazioni mancate. Era una cosa snervante, stressante, ingiusta, in ultima analisi poco divertente.
Ma rispetto a che cosa dicevo queste cose? Beh, rispetto al background che avevo scritto prima di cominciare a giocare. In poche parole valutavo quella pietra di fondazione come la sintesi del mio personaggio, e cercavo sempre di tornare ad essa; se non lo facevo mi dicevo che non stavo giocando bene. Invece i personaggi prendono la loro via, per cui non ha senso avere una bellissima storia da raccontare, ma non avere la possibilità di giocare una bella storia.
Da quando, invece, gioco così ho potuto sviluppare dei personaggi molto più interessanti, anche se nati da idee abbozzate, lanciate lì e fatte sviluppare in gioco: Mia in
Remember Tomorrow, Anna in
Monsterhearts, Violetta in
Apocalypse World ecc. (Uaz, sono tutte donne!).
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