Grazie delle risposte. Claudia e Giulia hanno già anticipato molte delle cose che avrei voluto dire, e concordo in pieno con i loro post.
I problemi principali che mi sono saltati agli occhi perchè erano quelli che apparivano più evidenti dai post di Serena erano in particolare 2, la scelta del tipo di personaggio (o meglio, di situazione + personaggio) e la paura del cosiddetto "metaplay" (nome vecchio e fuorviante per la parte migliore del Play).
Non so se sono stati gli unici problemi e nemmeno se sono stati i principali, però diciamo che sono quelli che sono apparsi più evidenti nella descrizione.
Il primo meriterebbe un post a parte, e riguarda il concetto di "protagonista" di una storia.
Un protagonista di una storia è un personaggio attivo, che fa scelte, che vuole qualcosa e agisce per ottenerla. E' vero che ci sono storie narrate in prima persona da personaggi più passivi, ma sono "finestre" per il lettore, non i veri protagonisti (per esempio, le storie di Sherlock Holmes sono narrate dal Dr Watson, ma Watson non è il protagonista, è una finestra espositiva per il lettore).
Il rapporto dei vari giochi con il giocare "protagonisti" è complesso: in alcuni giochi, non importa cosa fai, sarai un protagonista perchè il gioco stesso ti imporrà scelte (Cani nella Vigna, La Mia Vita col Padrone, etc.), in altri devi lottare per essere il protagonista (Sorcerer, Annalise), in altri chi sono i protagonisti si vedono alla fine (Spione), e ci sono casi tipo Contenders, dove se un protagonista perde ogni speranza di realizzare i suoi sogni diventa in pratica un antagonista, qualcuno che si frappone fra i veri protagonisti e i loro sogni.
In particolare, in Monsterheart se vuoi giocare un protagonista, devi creare un protagonista. Citando da questo thread:
http://www.gentechegioca.it/smf/index.php/topic,7728.msg159491.html#msg159491Una cosa è verissima di Monsterherats, il Mondo dell'Apocalisse e molti altri giochi: se fai un personaggio a cui non interessa di niente e di nessuno e che vuole stare solo per i fatti suoi ed essere lasciato in pace, è la ricetta ideale per smarronarti di brutto. Per divertirti al massimo in questi giochi devi metterci del tuo, perché l'MC potrà pure tirarti in mezzo ma tu non puoi startene lì fermo ad aspettare di essere trascinato per farti divertire. Senza contare che questo è un approccio davvero arido che, come noti anche tu, offre zero divertimento agli altri. Quindi sì, è vero che questi giochi richiedono impegno.
Questo significa che non si può giocare sé stessi? No, anzi, il gioco riesce MEGLIO se si gioca personaggi "close to home". Però se giochi un personaggio simile a te stesso, devi anche chiederti COSA ti spingerebbe ad agire, a fare quello che nella vita normale non faresti mai, e mettere il tuo personaggio in quella situazione. Altrimenti rischi di giocare, dalla tua poltrona, un te stesso che sta seduto in poltrona. Cioè che non solo sei tu ma che fa esattamente quello che stai facendo tu quando non giochi.
Questo argomento come ho detto è vasto e rischia di farci andare off-topic, se qualcuno vuole parlarne più in generale invito a creare un nuovo thread, postando un proprio actual play.
Il secondo problema che ho visto è quello già segnalato da Claudia e Giulia: l'immotivato rifiuto del
giocare in profondità la complessità emotiva del proprio personaggio e il
non volerlo condividere con gli altri, cioè quello che nel fracassato, disfunzionale, incoerente e masochistico mondo del "gdr tradizionale" viene chiamato "rifiuto del metaplay".
E', invece, "rifiuto del gioco di ruolo".
Nella letteratura "tradizionale" sui gdr (cioè, in tutti quei manuali pieni di fuffa di gente che probabilmente non giocava nemmeno) si tratta il gioco di ruolo come se i giocatori fossero degli attori teatrali (parlare in character, interpretazione teatrale, etc), chiara dimostrazione che chi scrive non ha la minima idea di come funzioni davvero un gdr e allora si attacca alle somiglianze con il teatro.
Questo equivoco fra gdr e teatro ha portato, a dirla schietta, al prevalere di tecniche di gioco disfunzionali il cui primo ed unico effetto è di impedire che un gioco di ruolo possa mai funzionare.
Ha portato a un sacco di partite in cui poveri giocatori, tratti in inganno da quei pessimi consigli, si sforzavano fino all'inverosimile di comunicare con il tono di voce e lo sguardo le emozioni e i pensieri dei personaggi, arrabbiandosi magari perchè "il GM non capiva", senza capire a loro volta che quella tecnica pare che funzioni a teatro solo perchè l'altro attore ha letto il copione.
Ha portato a trasformare sessione di gdr in una specie di gioco "indovina indovinello" in cui il povero GM doveva cercare di capire cosa passava in testa ad un giocatore che pensava di stare comunicando ogni pensiero tramite l'espressione o la voce, senza rendersi conto che in realtà stava facendo la faccia da poker.
Il gdr è COMUNICAZIONE. Ogni ostacolo alla comunicazione, prima fra tutte ogni idea di "evitare di parlare" (cioè, "evitare il metaplay", come dicono quei manuali farlocchi) è semplicemente da buttare nel bidone della spazzatura. insieme ad ogni manuale, rivista o post che sostenga una limitazione così masochistica al gioco.
Serena, probabilmente questo non è stato l'unico problema che avete avuto in gioco, e forse anche senza quello gli altri problemi sarebbero stati sufficienti a bloccare la partita. Ma in generale, davvero, abbandona l'idea che ci possa essere qualunque vantaggio o "buon gioco" nel seguire quei consigli farlocchi e ad "evitare il metaplay" come nei vecchi manuali di D&D. Questi giochi non sono D&D, il giocatore non deve "giocare male per giocare bene", non deve fare finta di non sapere il gioco ("evitare il metaplay") per evitare di rovinare la "storia del GM".
E vedrai che, all'atto pratico, nel gioco REALE, il fatto che gli altri giocatori sappiano quello che pensa, ama, odia, spera, teme il tuo personaggio, non farà che rendere il gioco migliore.