Ho voglia di parlare di un gioco che mi ha proprio sorpreso. Una partita che per me è stata la seconda gemma della INC da poco passata.
Mille e una Notte di Meguey Baker parla della corte del Sultano, dove l'etichetta è tutto e soddisfare il sovrano, anzi non andargli a noia, lo è ancora di più. Masterless e competitivo, tanti dadi richiesti ma di nessun tipo preciso (vedremo perché), fa giocare membri della corte che si raccontano storie e in quella (seconda) cornice di finzione tessono intricati giochi di controllo, umiliazione e intrigo. Protetti dalla narrazione che tessono, invece di umilarsi in pubblico possono farlo dando – per esempio – a una moglie del Sultano il ruolo di un asino, o facendo di una serva la Principessa d'Occidente per meglio convincerla ad infilarsi tra le proprie lenzuola.
In pratica, giochi personaggi che si raccontano storie interpretando altri personaggi. E s'infamano a vicenda. Fin qui è chiaro, d'accordo.
In realtà non è che mi interessasse così tanto di partenza; insomma, il gioco di livelli di finzione è intrigante ma non mi piacciono troppo gli intrighi “chiusi” e non mi reputo la persona più competitiva al mondo. Certo, c'erano due cose che mi davano dei segnali di attrazione. Prima di tutto l'ambientazione: insomma, chi non si sente affascinato dall'eco delle Mille e una Notti e dei racconti che leggevamo o sentivamo da bambini, le sete degli harem e l'odore di spezie e caramelle dolcissime?
Secondariamente, l'accento sui sensi. Ogni personaggio è definito da cinque dettagli sensoriali, che possono essere fisici (Vista: il colore della sua pelle, simile a zafferano/corteccia/caffè), o più sottili (Gusto: gli piacciono solo donne dall'aspetto esotico, Olfatto: conosce l'odore della paura.) Questo elemento aggiungeva molta atmosfera, molta possibilità di avere un'ambientazione vivida e fascinosa per contornare questo genere di storie.
Aggiungiamo che alla INC il gioco lo portava Meg in persona, che mi piace giocare in inglese e tanto meglio con chi il gioco l'ha creato (con un ottimo cast completato da Mr. Mario, Alberto Muti, Mattia Bulgarelli) e la scelta è stata fatta.
Già il fatto che io sia arrivato parecchio dopo l'inizio dello slot e mi sia trovato invitato ugualmente mi prende bene. La creazione dei personaggi anzi è veloce e fluida.
Ci sono poche cose da mettere, in fondo: prima di tutto il nome del cortigiano, il suo ruolo, i già citati dettagli sensoriali, più un capo di vestiario che lo contraddistingue. Di nuovo quest'attenzione agli oggetti, a quello che è tangibile, restituisce molto bene la Corte e l'atmosfera da fiaba orientale. E orienta molto bene anche il resto.
Il resto della creazione di un personaggio non è che scrivere i suoi rapporti con gli altri e la sua ambizione. E se quest'ultima è chiara (e deve essere tangibile e fattibile), i rapporti vengono concretizzati nelle Invidie che ogni personaggio prova verso tutti gli altri. Magari il caftano dello studioso Behman, magari la giovinezza dello stalliere o la possibilità per il falconiere di muoversi per i boschi della Corte. Insomma, nessuno è soddisfatto: tutti sono in movimento. E' un potenziale covo di vipere, dove l'opulenza e le belle vesti non hanno coperto i desideri di ognuno.
Viene fuori già un bel cast: Kuzaiman l'astronomo che concupisce la giovanissima e timida Aziza, più giovane tra le mogli del Sultano, poi il matematico Behman in visita, la malinconica musicista Meliah innamorata della guardia privata del Sultano (e per questo, ogni volta che guarda in direzione del sovrano, i rischi sono parecchi), e il mio Danash, falconiere dall'aria vissuta che ha visto la guerra, sa cosa vuol dire la vita selvaggia e proprio per questo vuole passare il resto dei suoi giorni fra i lussi. Per esempio ha adocchiato il già citato caftano di Behman, magnificamente adornato da ricami di simboli matematici, che vorrebbe proprio sentirsi addosso.
In questo mentre sono già venuti fuori dei personaggi sfaccettati. Mettere cinque dettagli sensoriali non è cosa da poco, è un bel direzionamento a trovare diverse sfaccettature. Io per esempio, creando Danash, ho pensato al Gusto e l'istinto mi ha detto “è ghiotto di dolci” - proprio il contrario di quanto ti aspetteresti dal ruvido guardiano delle bestie. Insomma, quella rosa dei dettagli per me resta la gemma del gioco. Senza sottovalutare le Invidie, che ti sfidano a vedere le mancanze del tuo personaggio, o anche solo le mancanze che percepisce, le idee falsate che ha degli altri, i suoi pregiudizi e chimere.
Vi parlo sempre di Danash. Lui invidia ad Aziza i vizi a cui è sottoposta, a Meliah quella bellezza imperturbabile e severa (all'inizio avevo pensato un'Ambizione legata al conquistarla), a Behman il dannato capo di vestiario e a Kuzaiman il fatto che non abbia conosciuto una vita difficile come la sua. Mentre Kuzaiman gli invidia la forza. Lo si nota, come queste persone facciano fatica a capirsi davvero?
Aziza, nella sua posizione di Sultana, è sicuramente la più alta in grado: certo, il fatto che sia fin troppo timida per quella posizione, così non conta. E' al suo cospetto che cominciano gli incontri che sfociano in storie. Mentre parte il racconto di Meliah (che solo più tardi Meguey spiegherà essere nient'altro che l'antefatto di Raperonzolo), si vedono già i caratteri e le aspirazioni dei personaggi. Kuzaiman tempesta la narrazione di domande (Mattia in questa INC mi è parso davvero una fucina di idee, un'incarnazione del giocare aggressivo, e non lo dico proprio come critica) e agisce come personaggio consigliere, Danash e Behman – olè – sono rispettivamente uno sposo e una sposa che non riescono ad avere figli e per questo vengono indirizzati ad un giardino incantato, la timida Aziza diventa la tigre a cui Allah (se la Voce era lui) ha promesso i fiori di quel giardino di cui è guardiano.
Ecco, le domande. Qui c'è la meccanica base del gioco: ogni personaggio può interrompere la storia per mostrare interesse in una questione non ancora risolta, o magari non ancora tirata in ballo (“Mi chiedo se l'amore dei due sposi sarà messo alla prova”, “Mi chiedo se la bestia mostrerà facoltà soprannaturali”, “Mi chiedo se la vecchia in realtà non sia un demone”), prendendo un dado dal mucchio che sta in mezzo. Quando quella questione riceve risposta (e ognuno deve stare attento a ricordare il dado esatto a cui ha associato la domanda), il dado viene tirato: se è pari se lo tiene quel giocatore, se è dispari va al narratore. Quando il narratore ne ha 8 di dadi, non si possono più fare domande e la storia deve arrivare a dipanare le questioni lasciate in sospeso.
Fare domande è un interessantissimo strumento per fare emergere gli interessi, e non solo, dei personaggi. Chiedendo “la vecchia è un demone?”, per quanto poi la questione sia stata tralasciata, Danash cercava di mettere in cattiva luce Kuzaiman che – se non sbaglio – aveva in mano quel personaggio oltre che la Voce. Chiedendo “la tigre mostrerà pietà?” voleva tenersi buona Aziza (che in fondo rispettava, per quanto la voglia di libertà della ragazza avrebbe contrastato un sacco con la sua filosofia da “resta nella gabbia dorata, sarai più felice”), chiedendo “lo sposo verrà ferito?” direzionava il suo personaggio ad essere l'eroe se la tigre si fosse dimostrata pericolosa. Scommetteva su due punti opposti della storia in modo da sentire di averne comunque il controllo.
Giocava per vincere e lo giocavo per vincere, certo, ma nel mentre mi era chiarissimo come si muoveva quel personaggio. Quando lo sposo ha accettato di rimanere per sempre nel giardino perchè l'amata potesse tornare a casa col grembo fertile, era il tradizionalismo di Danash (in gioiosa contraddizione con la sua voglia di lusso, certo!) a muovere tutto perché doveva essere l'uomo a risolvere la situazione. Quando la sposa interpretata da Behman ha cercato di pugnalare la tigre per disperazione (finora non c'erano stati momenti bellicosi), io e Danash abbiamo narrato come lo sposo si frapponesse prendendo il colpo, perché il giudizio della tigre – e le loro possibilità di avere una discendenza – non fossero compromesse per sempre. C'è stato un certo sconcerto del tavolo, c'è stato poi il lieto fine, si è arrivati a tirare i dadi accumulati puntando su tre categorie: per non perdere il favore del Sultano, per lavorare verso la propria libertà, per lavorare verso la propria ambizione. Nessun dado in libertà da parte mia, tanto si sono viste le priorità del falconiere. Behman riceve un rimprovero privato dal Sultano perchè attaccare il personaggio della Sultana era fin troppo ardito, Danash fa un piccolo progresso nella smania di spogliare lo studioso di quell'abito. Kuzaiman procede nei suoi piani diabolici ed è sempre uno spettacolo.
Partirà poi una seconda storia conclusa più rapidamente (ma anche qui dall'antefatto si vede bene il senso che dicevo: Aziza che partendo da una storia di tre fratelli cerca di parlare di amore vero opposto a matrimoni combinati), ma direi che possiamo fare calare il sipario sui cortigiani e trarre un po' le somme del discorso che volevo fare.
Potrei parlare davvero tanto di questa partita diventando ancora più prolisso, ma mi interessava mettere l'accento su pochi aspetti: soprattutto quanto il gioco mi ha sorpreso nella capacità di costruire personaggi sfaccettati, che il gioco competitivo non rende affatto più pallidi. Alla faccia di un bel po' di miti: Aziza, Behman, Danash, Kuzaiman e Meliah erano creature vivide e piene di colori, per cui si poteva parteggiare e incuriosirsi.
Ogni storia ha la sua morale, e questa? A mio ardire le più banali: che l'apparenza può ingannare e che farsi tentare dalla curiosità può spesso, molto spesso, riservare belle sorprese.