Mi spiace dover essere sintetico, la sessione e l’esperienza meriterebbero tutti gli approfondimenti del caso, purtroppo non ho tantissimo tempo per scrivere un report dettagliato del mio primo KaGeMatsu.
Tra l’altro non so se sarei in grado: nel senso che una cosa è giocare e vivere certe emozioni, esprimendole in un determinato contesto, altra cosa è riassumerle su un forum.
Ma andiamo in ordine: io sono uno dei last minute!
Giorni prima di INC avevo visto l’evento di Manuela. Avendo già provato con lei e Mattia “La mia vita con Angelica”, ed essendomi trovato bene, avevo subito pensato che Kagematsu ci stava. Il freno era dato proprio dal particolare hack. Tema maturo e impegnativo, su cui:
-uno non ero sicuro di volermi mettere in discussione;
-due non ero sicuro di quale sarebbe stato l’approccio degli altri giocatori, temevo insomma di non trovarmi a mio agio con un tema complesso e gente sconosciuta, e altresì che si rischiasse di cadere nel ridicolo/banale.
Tant’è che alla fine mi sono detto, buttati, se dev’essere una buona esperienza, lo sarà altrimenti pace!
Per dirla alla Mario avrei detto: “caspita non sono un codardo!”
Il setting e la minaccia che definiamo sono abbastanza semplici, ma non per questo poco profondi: nei racconti delle vicende interpersonali rimangono da giusto sottofondo, entrando mano a mano fino al momento finale.
Mokoto è fascinoso, scelta che quando ho definito il personaggio sembrava decisamente più Unsafe, anche se il percorso di Mario dimostra che anche l’altra via lo è altrettanto se non di più.
Ha qualche tratto e qualche esperienza passata che si illumina già in mente:
una mentore rinnegata che nell’ultimo atto di vita si è trafitta a morte procurando una cicatrice a Makoto,
una spada di legno, perché il metallo ferisce e trafigge,
e un albero, una quercia secolare, forse millenaria, che tutto domina.
Da questi pochi elementi, Manuela riesce a portare ad un livello di profondità incredibile il personaggio di Makoto e del Ronin, così come fa con gli altri, Fabio, Will e Mario coinvoltissimo dall’inizio alla fine, al punto di contagiare un po’ tutti credo.
Rise the bar
Tocca di nuovo a me, i primi approcci ci sono stati, le candele accese, qualche parola e gli sguardi. Manuela deve impostare la scena: mi guarda e dice di aver avuto un’idea cattiva. Dalla precedente esperienza di gioco, credo sappia che con me può forzare la mano. Ed è così, la guardo e penso: “vai, alza la sbarra che sono qua per questo”.
Ed è così che scopro profanato quel rifugio personale che è l’albero della vita: appeso ad un ramo uno dei fratelli del tempio esanime pende dalla corda. Un contrasto forte, una profanazione, un tradimento. Cosa o chi può avere osato tanto? Il rifugio razionale porta a pensare che solo una persona potrebbe essersi spinta tanto in là. Una persona di cui ci si iniziava a fidare, amata prima, odiata ora, o forse sia amata che odiata. Fa più male credere sia stata la natura o lui? Dentro di me so che non è stato lui.
Il giro prosegue e gli altri giocatori, tornano su quella scena, sul funerale e su tutto il resto. Questo punto ha cambiato decisamente il passo al gioco. Quando è di nuovo il mio turno sono ancora all’albero, due giorni dopo la morte ma prima di tutto il resto.
Sono rimasto lì in ginocchio per tutto il tempo, piove.
Vorrei una parola di conforto, ma Makoto non lo sa.
Prima che arrivi lui, mi alzo, impugno la mia spada di legno con le mani, mi faccio davanti all’ampio tronco della quercia e inizio a colpirla con tutta l’energia che ho in corpo, come se prima o poi uno dei due dovesse piegarsi e spezzarsi. Il dolore e il senso di colpa crescono invece di diminuire.
Il ronin arriva e mi parla, ma la parola di conforto non arriva (mi pare chiaro che devo mettere qualcosa in più sul piatto della bilancia). Makoto si ferma in un momento di esitazione, poi fissa la spada a terra e si spoglia, completamente, sotto l’acqua, fra le foglie della quercia.
Attimi infiniti.
Riprendo la spada e più forte di prima, le mani livide per la pressione, continuo a colpire senza tregua. Le parole di conforto arrivano, o forse era solo uno sguardo di conforto: non ricordo le emozioni erano confuse.
Dopo momenti di intimità e confessioni sul reciproco passato arriva un altro momento caldo. È il momento del bacio. Devo dire che questa è stata decisamente la scena che mi è pesata di più. Non so dirvi come o perché, ma è stata davvero impegnativa da giocare. Forse perché l’impostazione del gioco è stata nel suo evolversi decisamente immersiva, fatto sta che mano a mano che le idee mi venivano in mente facevo fatica a esprimerle agli altri e farli diventare vere attraverso le parole.
E proprio per questo salterei a piè pari i dettagli … ai fini del racconto basta sapere che le mani che emanavano calore sul suo viso sono state necessarie a sciogliere la sua iniziale ritrosia.
Un accenno giusto sulla personale conclusione di Makoto, visto che il finale l’avete già letto negli ottimi resoconti di Mario e Fabio:
ogni giorno Makoto passava ore all’albero, ogni giorno la sua mano si posava sul fianco dell’albero,
là, dove la corteccia era stata intaccata da una spada di legno, il calore del palmo sembrava guarire e ricordare le ferite dello spirito della natura, per un istante o forse per sempre.
Che altro aggiungere?
Direi che al momento attuale si posiziona la numero 1 della classifica delle giocate personali (caspita al numero 1, e pensare che non sapevo neanche di avere una classifica!).
Timori del pre tutti fugati: ottimi giocatori al tavolo che hanno aiutato, coinvolto ed emozionato. Manu si conferma ottima / empatica master.
INC, si conferma INC: stimolante come la prima volta, se non di più.
Concludendo: grazie!