Normalmente, questo thread non esisterebbe. C'è un motivo per cui non si scrivono gli actual play di A flower for Mara, o di Fat Man Down. Ma Manuela ha insistito, e io, a quanto pare, non posso negarle niente.
Partiamo dall'inizio. Qualche tempo fa Manuela è venuta a Reggio e, tra le altre cose, mi ha detto che stava preparando un hack di Kagematsu, dove i giocatori non interpretano donne che cercano di conquistare un uomo, ma uomini che cercano di conquistare un uomo. Un'idea interessante, ho pensato. Kagematsu, oltre ad essere un gioco affascinante, è un mezzo per esplorare alcuni dei propri pensieri sugli uomini e le donne, su cosa provano, su cosa si comportano, e su ciò che gli uni pensano che piaccia alle altre e viceversa. Richiede necessariamente, perché possa funzionare, una certa disponibilità a lasciarsi esplorare, e con un po' di onestà. L'idea di Manuela, intellettualmente, mi sembrava richiedesse una ancora maggiore disponibilità in questo senso. Cercare di sedurre un altro uomo, anche se per gioco, significa rappresentare comportamenti che, negli anni, ti è stato detto in molti modi e toni diversi che sono sbagliati. Significa andare a tuffarsi in questa melma putrescente, uscire dall'altra parte, e vedere se si è davvero riusciti ad andare a toccare il fondo di quello che pensiamo davvero oppure no, la melma ha vinto, e tutto quello che tocchiamo ne resta insozzato. Una sfida non indifferente. Manuela temeva che trovare uomini disposti a raccoglierla sarebbe stato molto difficile. Dal momento però che la sfida, benché incutesse un certo timore, era interessante, e che con Manuela, non so bene perché, ho una certa sintonia quando gioco*, le ho promesso che l'avrei accettata.
* (Ora che ci ripenso, quando, prima di INC, incitavo i giocatori interessati a farsi sotto e mostrare coraggio, sono stato ingiusto. Io partivo dalla posizione di vantaggio del fatto che conoscevo e mi fidavo già di Manuela, cosa che per qualcuno in una situazione diversa poteva essere non scontata e non banale.)
Gli ultimi giorni prima di INC sono stati un po' frenetici. Ricordo che l'ultima volta che ho controllato il programma, eravamo iscritti solo io e Fabio, uno in meno di quanto servisse per far partire l'evento. Un po' dispiaciuto e un po' sollevato, lo ammetto, credo di aver dato l'esperimento per spacciato, e di essermi figurato la scena in cui io avrei onorevolmente mantenuto, nominalmente, la promessa fatta a Manuela, ma preso atto della codardia (che bastardo che sono) degli altri giocatori, avremmo poi finito per giocare ad altro. Una volta a INC scopro che in realtà non solo gli altri giocatori non sono affatto dei codardi, ma l'evento è addirittura pieno. Un po' sorpreso e un po' spaventato dalla cosa ho cominciato a pensare a come avrebbe potuto essere. In una parte forse un po' stupida della mia testa, volevo dimostrare a me stesso e agli altri, di essere una persona evoluta, in grado di cavarsela con agio in situazioni in cui gli altri provano imbarazzo. Immaginavo che avrei scelto un personaggio con più Fascino che Innocenza per lo stesso motivo della prima volta che ho giocato a Kagematsu, ovvero per mettermi alla prova e scoprire se quel grado di sensualità che è richiesta quando si cerca di ottenere un Segno d'Affetto per il quale Kagematsu tira molti dadi contro fascino era nelle mie corde oppure no. Indubbiamente, questo ha a che fare con delle profonde insicurezze che ho, come persona, riguardo ad un certo tipo di intimità. E' questo il motivo per cui, parlando con non ricordo più chi, avevo affermato di ritenere che un personaggio con alta Innocenza è una scelta più 'safe'.
A INC succedono molte cose e si provano molte emozioni. La sera prima di giocare, io e Luca abbiamo fatto provare l'Amore al tempo della Guerra a Claudia e Meguey. Eravamo nella situazione particolare di aver scritto un gioco per tre giocatori e tre ruoli diversi, e averne provato solo uno, così ho chiesto di giocare l'innamorato. Non sto a spiegarvi il gioco, non sono nella posizione corretta per farlo, ma tra le mazzate che arrivavano da tutte le parti, il mio personaggio voleva essere un marito e un padre decenti, e Meg, che interpretava la mia compagna lontana, mi ha reso estremamente facile mettere davvero tanta emotività in quel ruolo. Anche più di quella che avevo pensato ci finisse scrivendolo. Devo dire che questo mi ha spiazzato e sbloccato un po', ed è servito a spazzare via la maggior parte dei pensieri stupidi che dicevo prima.
Così, al sabato pomeriggio, trovandomi seduto lì, al tavolo, alla destra di Manuela con altri tre volenterosi compagni, avevo decisamente meno certezze di quando ero partito. Poi, con quel tempismo che si crea inevitabilmente ad un tavolo di gente che ha voglia di giocare, i pezzi hanno cominciato a cadere. Io sono rimasto indietro. Makoto, il personaggio creato da Daniele, sembrava avere quella fisicità e quella tranquilla fiducia in se stesso che avrei voluto per il mio, e, a dire il vero, che vorrei anche per me stesso. Ryu, il personaggio di Fabio, era un poeta ed un arciere formidabile, sembrava di ferro temprato. Takeshi, quello di Will, aveva convincenti tratti di misticismo e spiritualità. E io non sapevo ancora che fare.
Al tavolo da gioco mi succede spesso di aspettare che gli altri facciano le loro scelte, per poterne prendere di diverse. E' come se avessi bisogno di esprimermi, in quella differenza. In questo caso però, non è stata una scelta volontaria. Spinto fuori dagli spazi che si erano già scelti gli altri, e non volendo andare a competere con loro sul loro terreno (ecco, qua si vede chi è il vero codardo), il mio personaggio Shinja, è venuto fuori all'opposto di quello che avrei detto una settimana prima. Rispetto agli altri, sarebbe stato quello umile, grassoccio, più vecchio, con un atteggiamento dimesso, forse un po' tormentato dietro a degli occhi gentili e un lieve sorriso tra il comprensivo e il divertito. I miei preferiti divennero un orticello, il vecchio e intrattabile mulo del tempio e il mio flauto, dal suono sommesso.
Un personaggio che facevo fatica a immaginare che Kagematsu volesse anche solo guardare, figuriamoci toccare o baciare. Un momento di passione era inconcepibile. La mia mano scriveva Innocenza 6 e Fascino 1, l'unica cosa che mi sembrasse avere senso, e io mi sentivo in colpa, come se mi fossi tirato indietro rispetto a quello che il gioco e Manuela volessero da me, come se scrivendo quei numeri li avessi traditi. Come se fossi un codardo. Uno così potrebbe forse essere un buon amico, non certo un amato, mi sono detto.
Le scene degli altri non sono mie da raccontare. Le ricordo, mi sono piaciute tantissimo, ma se questa partita li ha colpiti con un decimo della forza con cui ha colpito me, credo che non vogliano sentire la loro storia dalla voce di qualcun altro. Penso lo stesso per Manuela e Takumi, ma ovviamente Kagematsu è in tutte le mie scene, e spero che non le faccia troppo male guardare il suo personaggio attraverso i miei occhi.
Non sono certo di ricordare tutte le scene nell'ordine corretto, potrei fare degli errori. Non credo di fare errori sul come mi hanno fatto sentire.
Sono ovviamente l'ultimo, nel giro delle scene. La scelta del mulo si vede che colpisce l'immaginazione di Manuela, che setta lì la mia scena, Shinja arriva trovando il ronin dagli occhi bendati nella stalla che si avvicina al mulo, sempre più ombroso. Scelgo di puntare ad una parola gentile, e descrivo come Shinja si scusa per il fatto che il mulo non ha il temperamento di un nobile ed obbediente destriero, e rivela al ronin un trucco, un piccolo segreto di cui gli altri monaci non sono a conoscenza, e dà al ronin un fico per corrompere l'animale, che cede alle lusinghe e si lascia toccare. Non ricordo quale fosse la parola gentile, forse qualcosa sulla sensibilità di Shinja che capisce gli animali. Nulla di sorprendente se non l'intensità che Manuela mette in ogni singolo gesto del ronin.
Al secondo giro tocca a me settare una scena. Ho bisogno di un modo in cui mostrare la timidezza e la ritrosia di Shinja. Nelle cucine, di sera, sta facendo scaldare un bricco d'acqua per il té, suonando il suo flauto piano piano per non svegliare nessuno. Il ronin arriva e, forse per non disturbarlo, rimane in silenzio. Quando il rumore delle bolle diventa più forte della musica, Shinja versa l'acqua in due tazze, mette le foglie e comincia un altra melodia, una che dura esattamente il tempo necessario per l'infusione. Questa cosa colpisce il ronin, che chiede al monaco come faccia ad avere una tale sensibilità riguardo al tempo. (Incasso un momento condiviso e un sorriso, credo, e lì mi fermo.) Shinja gli risponde solo che lì è facile, perché il tempio è un luogo senza passato.
Che vuol dire? Io non lo so di preciso, ma comincio a pensarci. Da dove vien il mezzo sorriso di Shinja? Dal fatto che lui un passato invece ce l'ha, deve essersela vista brutta, per cui essere al tempio per lui è un sollievo, e gli affanni, suoi e degli altri, qualcosa di cui con un po' di prospettiva si possa sorridere, perché ha visto molto di peggio. Credo che tutte le scene finora avessero qualcosa di idilliaco, che il fatto di essere sotto un'incombente minaccia non si respirasse affatto, che il tempio sembrasse un luogo quasi fatato.
Manuela ha un suo stile nel giocare, ed è capitato che mentre noi cercavamo di tirare la scena in una certa direzione, lei invece ci interrompesse con "Ho un'idea; tira i dadi". Ricordo che mi ha colto un po' di sorpresa, perché mi è capitato più spesso il contrario, ovvero di vedere il giocatore di una donna convinto di aver perorato a sufficienza la propria causa, e Kagematsu, insoddisfatto, dirgli di non tirare ancora. Nel caso particolare, però, è stato sicuramente piacevole. Nella scena il ronin dice davvero pochissime parole, ma Shinja lo sente comunque vicino, come se di quelle parole non ci fosse poi così bisogno. E questo, non me ne rendo conto subito ma lo sento, mi mette molto a mio agio. I silenzi non imbarazzanti sono il segno di una buona familiarità.
Nel terzo giro la minaccia si fa sentire, e si prende la vita di uno degli altri monaci. Quando il giro torna a me, Shinja sta suonando una canzone che ha gli echi delle terre da cui veniva Satoshi, il monaco morto. So che il ronin ha viaggiato e suggerisco che lui li riconosce nella musica di Shinja. L'idea era portarlo a parlare forse di quelli, per sapere di più su di lui, e ottenere la presentazione. Manuela mi fa tirare quasi subito, perché evidentemente il ronin è turbato per un altro motivo. Riesco, e il ronin rivela che il nome non da samurai, quello che gli aveva dato sua madre, è Takumi, che significa l'ombra della notte, e lui teme che questo nome sia una maledizione su di lui e che lui porti l'oscurità ovunque vada.
Agisco d'impulso, gli prendo la mano (è la prima volta che lo tocco, e si toccheranno tante poche volte che per me è una cosa importante) e gli chiedo di seguirmi in un luogo che devo mostrargli. (Da dove arriva questa prima persona, tutt'ad un tratto?) Ci allontaniamo dalla pira funebre e lo porto in un luogo della foresta dove gli alberi sono talmente fitti che la luce non passa, non c'è sottobosco, e il terreno è coperto solo di morbide foglie cadute. Le stelle non si vedono sopra di noi, ma si sentono i richiami notturni degli usignoli che fanno il nido qui. E quando ha avuto la possibilità di assaporare la pace di questo luogo, gli dico che non credo che ci sia nulla da temere nell'ombra della notte. Non voglio che sia turbato per qualcosa che non è colpa sua. Lui mi fa una domanda strana, ovvero se credo che gli alberi possano sentirci. Gli rispondo che credo di no, che gli alberi sentano il vento con le loro fronde, che qui sono troppo più in alto di noi. Manuela mi fa tirare i dadi, e io riesco ad ottenere che mi riveli un segreto. Takumi si toglie la benda, vedo per la prima volta, nella penombra delle luci lontane del monastero, i suoi occhi che sembrano come sbiaditi, e lui dice di aver ucciso un bambino, agli ordini del suo padrone, e di aver cominciato a perdere la vista a partire da quel giorno.
Ora, la scena dovrebbe finire qui. Ho ottenuto il segno d'affetto che volevo. Ma non posso lasciarlo così, è più forte di me, non posso accettare che lui condivida qualcosa di così importante con me senza dargli qualcosa anch'io, senza aprirmi anch'io. Agisco di nuovo d'impulso, sollevo la manica del vestito e gli mostro una lunga cicatrice lungo il polso sinistro. Tutti i monaci del tempio portano il marchio del kami della foresta. Il mio è un viticcio verde sul mio braccio, come abbarbicato alla cicatrice, prima di rendermene conto sto dicendo che anch'io ho creduto di non poter più vivere dopo aver preso una vita, ed è qui che ho imparato nuovamente a farlo.
Non sono il primo ad aver imparato il suo nome, ma sono il primo di fronte al quale si è tolto la benda. So che ora a leggere qui è difficile da capire, ma è stato un segnale di intimità fortissimo. Ed è qui che ho finalmente capito l'altra metà del gioco. Cercare di ottenere i Segni d'Affetto serve a costruire intimità. Ci sono due strade, e quella del Fascino è forse più evidente, ma quella dell'Innocenza ha esattamente lo stesso obiettivo. In quel momento solo io so il segreto di Takumi, e mi fa sentire speciale in una maniera che non riesco a descrivere.
E io mi fermerei anche qui, ma il gioco si guarda bene dall'essere finito, e la lista dei segni d'affetto da ottenere comincia ad andare decisamente in salita. E' comodo ottenerli quando hai più dadi di quelli che tira Kagematsu, ma quando cominci ad averne di meno? Potrei puntare ad ottenere un dono, contro 7 dadi. Ma sarebbe orribile. Mentre si dipana un altro giro di scene stupende, mentre devo di nuovo aspettare il mio turno, ho questo nodo dello stomaco che si aggroviglia sempre di più. La gente comincia a passare e a dirci che dobbiamo andare a cambiarci, a metterci in costume per la cena, e io avrei voglia di urlargli addosso, perché è così evidente che quello che sta succedendo qui è più importante, cavolo, come fanno a non vederlo?! (No, non ce l'ho con voi, siete stati invece gentilissimi, è che stavo proprio male). E mi rendo conto del perché. Ho un bisogno assoluto di sciogliere questa tensione. Ho bisogno di sapere che si sente così anche lui, maledetto ronin arrivato da chissà dove. Ed ecco che il gioco viene in mio aiuto. C'è, in effetti, un modo per farlo. C'è il segno d'affetto da 8 dadi. La dichiarazione d'amore.
Spero che Fabio non me ne voglia, ma ero piegato in due nell'attesa che la sua scena finisse. Finalmente è il mio turno, e devo dire che dichiarare che stavo andando per quel segno di affetto è stato come togliersi una spina. Finalmente sapevo cosa aveva fatto soffrire tanto Shinja in passato.
Shinja sta suonando, di nuovo. Suona perché con le parole è un po' un disastro, non diversamente da quel disastro che lo gioca. Suona una canzone su Takumi. Una canzone che cerca di fondere la pace della notte, il canto degli usignoli, con i colpi secchi e violenti di una lama passeggera. Suona senza curarsi del volume, per la prima volta. Poi si interrompe bruscamente, perché la canzone non ha un finale. Shinja, l'uomo che tratta il tempo come un amico, l'uomo che sa gestire il tempo di ogni cosa, ha una canzone cui non sa dare un tempo. Takumi arriva alle sue spalle. Gli dice che la sua musica è diventata violenta. E io gli spiego che è tornata violenta, perché mi sono già sentito così. Gli spiego che Shinja, in passato ha amato un musicista, l'uomo che gli insegnò a suonare. Che in cambio lui volle che gli insegnassi ad usare le erbe, erbe per togliere il dolore, per togliere la vita. Che il fatto che la loro canzone d'amore non abbia trovato un finale lo ha quasi ucciso. Takumi non capisce il senso del racconto, è quasi offeso dal fatto che Shinja gli abbia detto del suo amore passato, si sente come se fosse solo un rimpiazzo. Mi volto verso di lui, scuotendo la testa, gli appoggio per un istante le mani sul petto, in modo minaccioso, ma senza crederci davvero (è il secondo tocco). E' il contrario. Non voglio perdere di nuovo qualcuno a cui tengo così tanto. Non voglio essere spezzato di nuovo. Non mi ricordo bene le parole che sono venute dopo. So che Takumi ha accusato nuovamente se stesso di essere la causa di tutto questo turbamento, e io invece che se non sapeva guardare oltre a se stesso, a quello che stava davvero accadendo, era davvero ancora più cieco di quanto non credessi. Sono stato crudele. Odio i gesti disperati, perché sono così difficili da usare in un modo che non allontani l'altra persona, che non spezzi l'incantesimo. Forse Takumi aveva bisogno di essere messo crudelmente di fronte alla realtà. Non lo so. So che con quel dado ho ottenuto il segno d'affetto. So che Manuela ha usato un espressione per descrivere quello che stava provando Takumi, ed era esattamente quello che provavo io in quel momento. Ha detto (di nuovo non ricordo le parole esatte, se ve le ricordate vi prego, correggetemi) che lui si sentiva qualcosa dentro, di così stretto, di così forte, che non dovrebbe avere il permesso di esistere.
Takumi aveva rivelato in un altra scena che avrebbe voluto essere un musicista, ma il padre lo aveva obbligato ad abbandonare la musica e ad essere un guerriero. Quando mi ha detto che aveva ritrovato la sua musica, che pensava di aver perduto per sempre, in me... beh ok. Premete il tasto di pausa. Il mondo può fermarsi qui. Sulla scena di Shinja che accarezza appena con le dita le palpebre umide di Takumi.
E in un certo senso ha dovuto fermarsi qui, perché abbiamo dovuto interrompere per la cena.