Non so come mai questa riflessione mi è venuta in mente proprio ora. Forse dipende dal fatto che sto giocando una serie di campagne di AiPS e iMdA fitte di sdilinquimenti sentimentali (e posso confermare che sono giochi OTTIMI per giocare questo genere di cose). Chissà.
In ogni caso la riflessione che volevo fare parte dal passato. Non so se da bambina ero un maschiaccio, per certo mi piacevano le Barbie e le pistole da Cowboy, i Lego e gli archi giocattolo. Ma all'epoca mi importava poco delle aspettative sociali nei miei confronti, quelle hanno cominciato a diventare più rilevanti nell'adolescenza.
Cut su tutti i miei sturbi adolescenziali sul ruolo sessuale e passiamo a quando ho cominciato a giocare di ruolo. Tardino rispetto a parecchia gente che posta qui, avevo una ventina d'anni i miei gusti in fatto di fiction cominciavano ad essere formati.
Ora, giocare significa raccontare storie. Si può trattare di intrattenimento superficiale ma può essere anche un atto molto personale e rivelatore. E' facile sentire l'ansia del giudizio altrui quando si produce fiction al tavolo.
A posteriori mi sono resa conto che, i primi tempi, io mi autocensuravo. Il mio dilemma nasceva dal fatto che, in realtà, io ho alcuni gusti che rientrano meravigliosamente nello stereotipo femminile. Nella fattispecie i giochi con molto crunch mi fanno scendere la catena, e faccio fatica a capirli, Inoltre ho una passione per le storie che parlano di relazioni e sentimenti con un particolare penchant per quelle piene di sdilinquimenti sentimentali e amori contrastati.
Insomma, proprio robe da donna.
A mia discolpa posso solo dire che mi trovavo a giocare in tavoli a grande maggioranza maschile e mi dispiaceva andare involontariamente a rafforzare certi luoghi comuni. Quindi, in pratica, giocavo col freno a mano tirato sulle melensaggini che mi venivano spontanee. Bisogna dire anche che, nell'evitare certi argomenti, ricevevo un aiutone dai sistemi di gioco che si usavano all'epoca: robe ottime per mazzuolare colboldi ma che non favorivano in nessun modo l'affrontare altri argomenti.
Comunque, poi sono successe due cose che mi hanno fatto cambiare atteggiamento:
1) Io sono cresciuta e, con l'età, è arrivata anche la voglia potente di fregarsene alla grande e giocare quello che mi andava. Se chi era al tavolo con me traeva qualche giudizio sulle esponenti del mio sesso in base a quanto ero impedita con i numeri e alle storie che mi piaceva affrontare, buon pro gli facesse e tanti saluti.
Probabilmente un buon incoraggiamento è venuto anche dal fatto che ho iniziato a giocare spesso con Michele, l'uomo più romantico del mondo, e uno che, in quanto a passione per le storie melense, può darmi le paste mattina, mezzogiorno e sera.
2) Ho iniziato a trovare una marea di sistemi con poco crunch che promuovevano e supportavano certe tematiche. Voglio dire, come cavolo si fa a non esplorare sentimenti e relazioni in certi giochi?
Morale della favola: eccomi qui adesso a giocare con gran soddisfazione le storie che mi piace giocare con i giochi che le supportano. Però è proprio triste che uno stereotipo ti venga a rompere le scatole sia quando ci rientri che quando tenti di uscirne!
A qualcun’altro è capitato mai qualcosa del genere? Le aspettative sul vostro ruolo sociale hanno mai influenzato il vostro gioco?