Autore Topic: Il valore del Pericolo  (Letto 2734 volte)

Alessandro Piroddi (Hasimir)

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Il valore del Pericolo
« il: 2009-02-17 20:41:49 »
Parliamo di situazioni di gioco "pericolose" ... ovvero quelle situazioni che se vanno bene, bene, mentre se vanno male rischio qualcosa a cui tengo.

L'esempio più lampate è la morte del PG.
Stikazzi che la trama generale degli eventi verrà arricchita da un incidente così drammatico ... non è questo il punto.

Il punto è che il mio PG è morto e non potrò più giocarlo.
Fine della sua storia personale.
Fine dell'esplorazione della sua identità, dei suoi dilemmi.
Fine.

Esistono infinite situazioni che potrebbero "compromettere" un Personaggio.
Infiniti "pericoli" che magari non sono così totali e permanenti ... ma comunque rappresentano qualcosa che il Giocatore non vuole.

Eliminiamo quindi l'idea di andare in contro al rischio per il gusto di vedere che succede nella storia.
Questo sarebbe qualcosa che il giocatore vuole!
Il mio discorso riguarda le situazioni in cui io giocatore NON VOGLIO la tal cosa ... ed una situazione che "se perdo" la fa accadere, per me è rischiosa.

. . .

Chiarito di cosa stiamo parlando, io faccio un'osservazione.
C'è un valore nel RISCHIO.
Io non voglio che il PG muoia ... ma trovo divertente cimentarmi in sfide che percepisco come pericolose.
Se la sfida non fosse pericolosa, perderebbe di fascino e mordente.

Questo ovviamente non è un sentimento universale, ma è certo un qualcosa che esiste ed è diffuso.

Di contro c'è tutta la filosofia che elimina l'elemento di pericolo (o lo riduce moltissimo) sostituendolo con la SCELTA.
Se non voglio vedere morire il mio PG, lui non morirà ... morira solo quando lo troverò appropriato/divertente/desiderabile.

. . .

Possiamo dire che questi diversi approcci al RISCHIO siano strumenti di pari utilità che spingono verso diversi obbiettivi di gioco?

O c'è un errore di fondo?

E' possibile una sintesi fra le due cose?

Il "rischio calcolato" derivante da un sistema dove tutto è volontario può dare lo stesso brivido e sensazione di un "rischio incontrollato" ?
Si...?
No...?
No...ma in fondo il gioco non vale la candela?

. . .

Esempio pratico.
In PsychoSys stai facendo un conflitto...e diciamo che la posta in gioco è qualcosa che non vorresti ti accadesse, ma davvero davvero davvero.
(Morte del PG, per un esempio banale ma chiaro)

Stai soccombendo, le risorse scarseggiano, hai avuto sfiga coi dadi, l'avversario è spietato ... BAM ... usi una Memoria e sei salvo.

Ora.
Scrivendo l'esempio io ho immaginato la tensione di chi arriva alle strette e si salva in corner grazie al proverbiale colpo di reni (che comunque HA conseguenze).

Ma ad esempio mi è stato fatto notare anche il contrario.
Cioè: sapendo che in caso di bisogno ho sempre le Memorie, viene meno la tensione ... il brivido del rischio ... l'incertezza di non sapere se ce la fai o non ce la fai.

Che valore hanno queste osservazioni?
Si perde davvero qualcosa?
O è un'irrisolvibile questione di gusti?
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Moreno Roncucci

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« Risposta #1 il: 2009-02-17 21:01:11 »
Il punto dei giochi dove "muori solo se il conflitto per te è così importante da metterci in gioco la vita" (come in CnV), non è di fare partite dove il personaggio non rischia niente. E' di (1) obbligare il GM a mettere sulla strada del PG cose "per cui valga la pena morire", e non il solito, stupido "agguato di nemici vaganti", e (2) dare al GM una maniera infallibile di stabilire l'interesse dei giocatori (quanto e cosa rischiano) senza dover tirare ad indovinare su quanto siano interessanti i suoi "nemici in agguato"...
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Moreno Roncucci

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« Risposta #2 il: 2009-02-17 21:07:46 »
Aggiungo una cosa... i soliti sistemi del "gdr classico" per salvare i PG dalla morte in genere sono cure peggiori del male. Per esempio le cose tipo i "punti fato" che possono essere spesi per riuscire in un tiro e salvarsi... portano da una parte il GM a non preoccuparsi troppo di mandare agguati e trappole letali, e dall'altra rendono impossibile "rischiare veramente" in situazioni in cui ne varrebbe la pena... sono una certificazione meccanica, del gioco, che dal punto di vista del gioco morire per aver fatto un fumble mentre davi un calcio ad un gatto è esattamente la stessa cosa che il frapporsi fra la Principessa Eliana e la lama mortale.

Se non ci fossero, il PG potrebbe contare sulla fortuna per salvarsi dal gatto (che si spera sia un evento molto improbabile) e rischiare veramente per salvare la principessa. Ogni meccanismo di "rewind" come quello visto sopra, rende i due eventi esattamente identici: rischio di morte zero.

Come ha detto Vincent nel quote che ho postato nell'altro thread: "Traditional Role-playing can't do it, I am sorry".
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Il valore del Pericolo
« Risposta #3 il: 2009-02-17 21:20:56 »
Io ho notato che in giochi in cui i pg non possono morire, se non per scelta dei giocatori, il mordente non cala né le situazioni vengono percepite meno pericolose. Questo perché i giocatori spostano l'attenzione sulla possibilità di perdere l'incontro o la sfida.
Loro sanno che i loro pg non possono morire, ma ad esempio il loro nemico numero uno potrebbe fuggire a causa di un conflitto perso o potrebbero essere catturati o potrebbero non riuscire a difendere un amico png.

Personalmente (ma è solo un mio modo di giocare) odio uccidere o salvare i pg e per questo cerco regolamenti in cui questa scelta sia vincolata esclusivamente a loro.
Di contro invece amo terribilmente metterli a dura prova, porre contropartite interessanti, vedere fino a che punto si spingono.
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Gabriele Pellegrini »

Alessandro Piroddi (Hasimir)

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« Risposta #4 il: 2009-02-17 23:35:00 »
@ Gabriele
Il tuo discorso non si applica perchè io parlavo non SOLO del potere di "morire" ... ma in generale di vincere quelle sfide che il giocatore davvero non vuole perdere.



@ Moreno

Insomma dici che la questione è irrilevante perchè non si applica.
Nei giochi dove hai quel genere di potere lo scopo non è superare la sfida... ma incontrare la sfida che ti tocca con tale forza da farti scegliere la sconfitta.

E' questo che dici?
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Eishiro

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« Risposta #5 il: 2009-02-17 23:47:44 »
in D&D 4 edizione il rischio di morire è veramente basso (ma anche di perdere in generale), eppure non è che perde mordente
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Alessandro Piroddi (Hasimir)

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« Risposta #6 il: 2009-02-17 23:54:58 »
Citazione
[cite] Eishiro:[/cite]in D&D 4 edizione il rischio di morire è veramente basso (ma anche di perdere in generale), eppure non è che perde mordente


E come mai?
In che modo?
Per effetto di cosa?

O c'è una falsa percezine che lega Rischio e Tensione?
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Moreno Roncucci

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« Risposta #7 il: 2009-02-18 00:00:12 »
Citazione
[cite] Hasimir:[/cite]
@ Moreno
Insomma dici che la questione è irrilevante perché non si applica.


Più che altro, è malposta. Perché non considera l'effetto in gioco delle regole.

L'esempio che faccio, nel gdr "tradizionale", di questa sindrome molto comune, è il famoso "tiro di taglio / tiro di punta" con la spada in GURPS.  Una regola messa perché a leggerla pare "realistica" senza considerare (o fregandosene) che in gioco l'effetto è addirittura comico da quanto è irrealistico (gente che per tutto un combattimento cerca di punzecchiarsi sempre di punta senza mai dare un fendente manco per sbaglio...)

Come si applica questa "sindrome" a questo tema?

Nel gdr "tradizionale", visto che tutto verte sulla sopravvivenza del personaggio (visto come scopo principale e spesso unico, anche nei giochi che si autonominano "narrativi"), c'è l'abitudine per il GM di mettere "pepe" nel gioco mettendo, appunto, in pericolo questa sopravvivenza. Ma se il pericolo è reale, c'è il rischio che poi veramente i personaggi schiattino. Insomma, sono giochi in cui fare la cosa che dà più emozione in gioco rischia di rovinare il gioco (e poi c'è chi nega che siano fatti male...), e da qui, certe tradizioni di illusionismo in cui il GM fa sempre "bubusettete" con mostri in agguato facendo paura ai giocatori ma in realtà gli fa solo perdere tempo per ore tirando dadi superflui in battaglia finte

Se elimini la possibilità di morte a causa di Renato, il Goblin ben camuffato, il GM "tradizionale" che per tutta la sua "carriera" ha fatto conto su di lui va nel panico, immaginandosi partite intere dove i PG camminano per la foresta, invulnerabili, senza rischiare niente. Una noia.

Invece, quando lo provi in partita, vedi che l'effetto è che semplicemente non si sta più a perdere tempo a fare le battaglie finte con Renato e si va dritti al sodo, alle battaglie e agli scontri importanti per i PG. E non hai più il problema del doverti trattenere, perché per il PG "è un buon giorno per morire".

Citazione

Nei giochi dove hai quel genere di potere lo scopo non è superare la sfida... ma incontrare la sfida che ti tocca con tale forza da farti scegliere la sconfitta.

E' questo che dici?


Assolutamente no.  E' incontrare la sfida dove VINCERE E' IMPORTANTE.  "scegliere la sconfitta" porta ad un gioco normalmente molto "moscio" e ben poco drammatico.  (è una tecnica a cui molti giocatori sono ancora affezionati perchè nei gdr tradizionali, spesso era l'unica maniera di avere un po' di dramma. Visto che il GM non capiva come doveva minacciare le cose importanti per il PG e invece mandava sempre il solito Renato, molti giocatori a cui sarebbe piaciuto un gioco più drammatico hanno preso l'abitudine di far fallire apposta i loro personaggi in situazioni di importanza personale o sociale, per crearsi da soli quello che manca nel gioco.  Questa forma di "gioco solitario" è diventata tanto associata al "buon gioco" che sono veramente tanti i giocatori che al primo impatto con un gioco narrativista mi chiedono come possono fare per far perdere i loro personaggi. E ci vuole un po' per fargli capire che (1) non ne avranno più bisogno, e (2) ci sono alternative migliori al gioco solitario...   8)   )

Chiarito questo... è OVVIO che la posta in gioco, il motivo per cui si combatte, deve essere importante, e quindi il giocatore deve aver paura di perdere, per dare drammaticità alla scena. Poi le tecniche variano da gioco a gioco (in CnV si consigliano poste piccole perché il gioco si basa sull'equilibrio cedo/continuo, e poste eccessive lo sbilancerebbero.  In LMVcP la posta è fissa, etc.).  Dei problemi portati da meccaniche tipo i "punti fato" ho già parlato nell'ultimo post.
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« Risposta #8 il: 2009-02-18 00:28:37 »
Citazione
e quindi il giocatore deve aver paura di perdere


mmm...più che rappresentare un'effettivo rischio di sconfitta, dunque, si parla di una motivazione abbastanza forte da spingere all'INVESTIMENTO.

Se non investo (se non "spendo" impegno, risorse e coinvolgimento) allora perdo... e siccome ci tengo a non perdere, allora investo.

Prendere Fallout invece di cedere.
Spendere una Strength invece di perdere.
Etc...

Stavolta ci ho preso meglio?

[Edit]
Il tutto, ovviamente, presupponendo un impianto di regole adeguato ... non la solita struttura Tradizionale :P
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« Risposta #9 il: 2009-02-18 00:46:12 »
Esatto!

Le forme che può prendere questo "investimento" sono veramente tantissime, e a volte non mettono in pericolo il personaggio ma altre cose (risorse limitate, relationship, un esito finale a cui tieni, etc.) ma tutto si basa comunque su questo: il giocatore deve INVESTIRE nel proseguo dell'azione, di sua spontanea volontà.
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« Risposta #10 il: 2009-02-18 00:51:36 »
Questo non è limitato al narrativismo: c'è una forma (diversa) di investimento del giocatore anche nel gioco gamista, e un'altra forma (diversa ancora) nel simulazionismo. NESSUN gdr può dirsi veramente riuscito senza questo investimento. Nemmeno quelli tradizionali.

L'errore dei gdr tradizionali da questo punto di vista era il dare questo investimento per scontato, o dare per scontato che il GM avrebbe saputo evocarlo. Senza un sistema che lo aiutasse minimamente.

Portando "allo scoperto" questo investimento (non devi più guardare la faccia del giocatore e cercare di capire dalla sua espressione quanto ci tenga a vincere lo scontro, lo vedi da quello che mette in gioco) rende molto più facile per il GM vederlo, misurarlo e quindi capire come provocarlo.

(In AiPS è addirittura una cosa globale e diretta: più giochi bene più fan mail prendi, più ti interessa il conflitto più fan mail spendi...)
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Alessandro Piroddi (Hasimir)

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« Risposta #11 il: 2009-02-18 01:09:34 »
Esempi pratici citando qualche gioco per ogni CA?

AiPS e Dogs direi che coprono il lato Nar ... e li conosco.
Ok.

3:16 lo potremmo mettere fra i Gam?
Altri esempi?

Il SS (ed il suo BDtP) come si colloca?
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Niccolò

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« Risposta #12 il: 2009-02-18 01:34:02 »
ss è narrativista

simulazionista... pendragon? anche eoris essence pare avere una certa coerenza simulazionista. vedremo.

agòn gamista, così come 1001 nights.
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Domon »

Moreno Roncucci

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« Risposta #13 il: 2009-02-18 02:12:42 »
Citazione
[cite] Hasimir:[/cite]Esempi pratici citando qualche gioco per ogni CA?

AiPS e Dogs direi che coprono il lato Nar ... e li conosco.
Ok.

3:16 lo potremmo mettere fra i Gam?


No, 3:16 è NAR.  Si presta superficialmente ad essere giocato in maniera gamista, ma così ti stufi subito, non ha abbastanza "crunch" da sostenere l'interesse. Tutte le parti di gioco lungo (la carriera, con la decisione sulle missione, "hate for home", the device, etc.) sono tutte narrativiste.

Il tipo di "investimento" del gioco gamista lo conosci già, l'hai visto tante volte... quanto tempo e sforzi hai impiegato per ordire le tue trame nei confronti degli altri personaggi, quando giocavi a Vampire, prima ragionandoci su e poi con il GM? Non te ne fregava nulla se riuscivano o meno, o ce la mettevi tutta per non farti beccare e allo stesso tempo per cercare di scoprire e volgere a tuo vantaggio le trame degli altri?

L'investimento nel gioco gamista è questo. L'agonismo, la voglia di dimostrarsi il migliore. "gli occhi della tigre" 8)

Si somigliano abbastanza, nel fatto che sono concentrate su quello che IO (giocatore) porto al tavolo.  Le mie scelte tematiche, o le mie scelte strategico-tattiche. E richiedono sforzo, o mentale o emozionale.

Il simulazionismo è diverso da entrambi, lo sforzo non è per "andare più in là" ma per "andare proprio lì", la fedeltà al modello (che può essere anche la realtà o il sistema di gioco). Tutti devono avere a cuore (evere un investimento) nella solidità del "sogno", basta uno che se ne freghi e cominci a inserire elementi incongrui per rovinare tutto a tutti quanti.

Citazione

Il SS (ed il suo BDtP) come si colloca?


Come ha detto Domon, narrativista spinto.

In generale, una buona maniera di distinguere al volo i giochi narrativisti da quelli simulativi (anche se non è una definizione usabile per definire la categoria) è che nei primi i personaggi CAMBIANO, e praticamente tutti i reward system sono centrati su questo cambiamento, mentre nei simulativi i PG tendo a rimanere sempre fedeli al modello iniziale.

In un gdr simulazionistico hai di solito un sacco di meccanismi per "non farti uscire dal persoaggio", tiri per fare questo o quest'altro, allineamenti, tratti di personalità. Se sei avaro, devi giocare da avaro, o non giochi bene.

In un gdr narrativista, come tSoY, il sistema ti premia con un sacco di punti se ad un certo punto smetti di essere avaro e cambi key. Oppure il premio per il gioco è poter cambiare quel tratto (come in Sorcerer)
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Moreno Roncucci »
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