Bel thread, Paolo.
Mi piace l’impostazione.
Ho riflettuto un po’ se rispondere o se mantenermi neutrale su questa faccenda, ma poi ho pensato: “Al
Diavolo!” sono prima di tutto un giocatore, perché non dovrei farlo? E mi piacerebbe poter dire la mia in un
clima sereno, come sono certo che porterà questo thread.
Come chiedi risponderò “di pancia”, almeno per questo primo post. Ma la “pancia” di Ezio, ti avverto, è
duale pure lei (si, va bene, ora state ridendo, si, sono un ciccione, va bene :-P). In pratica: ho sempre due
opinioni e sentimenti, su praticamente qualunque cosa. Non prendere quindi il mio dualismo, il mio, se
vogliamo essere positivi, vedere due lati di una questione, come un ragionamento avanzato. È solo il mio
modo, istintivo, di vedere le cose.
Oh, e un’altra cosa. Quando lascio andare le emozioni tendo al lirico, vi avverto.
La prima emozione che mi colpisce quando penso alla questione della creazione dei giochi è paura. Ho una
maledetta paura che al Bravo MasterTM venga sostituito il Bravo SviluppatoreTM, lo ammetto. Sarà perché
io per primo ho un grande rispetto personale per chi è in grado di scrivere giochi, ovvero possiede un’abilità
che a me manca totalmente, ma ho il terrore della nascita di una “medaglia”, una caccia alla gloria e alla
fama fini a sé stesse.
Capiamoci, non sto parlando del giusto orgoglio di aver creato un gioco, ma del creare un gioco per avere
questa gloria farlocca. L’unica ragione valida per creare un gioco, a mio parere, è la stessa che potrebbe
indurre a giocarli: divertirsi nella creatività.
Scrivi un gioco e questo non viene cagato da nessuno, tranne che dai tuoi cinque amici che chiedono di
giocarlo e ci si divertono? Bene! Obbiettivo raggiunto.
Il resto è un bonus.
Essere conosciuto, essere ascoltato, innovare il campo? Tutte belle cose, ma sono extra. E’ la solita vecchia
storia: è il gruppo, sono le persone con cui giochi l’unica, vera fonte del gdr e più ci si allontana da questa
fonte peggio è.
Io ho una paura fottuta, maledetta, viscerale che, invece, questo extra, questo scrivere giochi per poter dire
in giro che si scrivono giochi, diventi la sola ragione per scrivere giochi, e se questo avvenisse penso che
sarebbe un grosso passo indietro per il nostro hobby.
La graduale emergenza di design “ibridi” o affrettati, come se si cercasse la via più semplice di
scrivere “qualcosa di narrativista”, conversazioni ascoltate alle convention (Suna, non hai idea di quanti
schiaffi ti avrei dato a Carpi: “Diventare un game designer mi ha fatto sviluppare gusto critico”. Non
prendertela amico, capisco in realtà cosa intendevi, ma l’hai detto con un tono, con una spocchia, caricando
quel “game designer” di tanto senso di superiorità che... argh! Ti leccherò in faccia, per punirti di quella
frase, sappilo :-P) e la corsa al tavolo da design per i concorsi mentre il resto del tempo la matita rimane
ferma mi fanno correre un brivido lungo la schiena.
Tutti questi atteggiamenti non sono, di per sé, gravi e irrimediabili. Sono embrioni, semi. Però sono semi che
possono germogliare e, conoscendo il carattere nazionale, temo che possano trovare terreno fertile.
Per contrastare questa tendenza io difendo le armi dell’ironia e della satira. Una presa in giro non servirà
certo a fermare chi ha un’idea, una spinta creativa seria, ma sarà come un muro di mattoni per chi invece
vuole solo mettersi in mostra, togliendogli di fatto quello che cercava.
L’efficacia della satira, l’importanza che gli si da è la cosa che in effetto, mi allarma più di tutte, ora come
ora.
Queste armi, poi, non le uso solo contro i designer o presunti tali: le uso contro tutti e tutto, da sempre.
Racconto barzellette sui Grandi GiocatoriTM e sui Bravi MasterTM e sulla SorpresaTM e sulla Grande
CampagnaTM. Non vedo perché i designer non dovrebbero beccarsi la loro brava dose di salutare ironia ;-)
D’altro canto
io sento anche come il design sia la linfa vitale del nostro hobby. Scrivere nuovi giochi,
provarli, cambiarli, trovare soluzioni innovative è fondamentale per il gioco di ruolo. Senza la creazione e lo
sviluppo di nuovi giochi staremmo ancora sguazzando nella palude parpuzia, anzi, ancora prima.
Il design, quando ha le giuste motivazioni, va incoraggiato, stimolato e fatto crescere. Non protetto. Gli spazi
protetti non servono. È nella fossa dei leoni che si cresce. Se scrivi un gioco che fa schifo meglio saperlo
subito piuttosto che avere una schiera di yes-men, no?
Non mi sentirete mai criticare l’atto del game design in sé, ma solo le motivazioni che lo accompagnano. Il
problema è distinguere tra le motivazioni percepite e quelle reali.
Vedete, io di Paolo (sorry, di Ermy) mi fido. Paolo è un vecchio amico che stimo molto, a cui voglio un
mondo di bene e verso cui nutro un debito incolmabile. E se lui mi dice che si è sentito imbarazzato o
indicato come motivo di vergogna allora mi viene da pensare che da qualche parte si sia esagerato. Se da
un lato è importante ostracizzare le germinali tendenze di cui parlo prima, dall’altro non bisogna buttare il
bambino con l’acqua sporca.
Abbiamo diverse persone, anzi... abbiamo la maggior parte della gente che crea giochi su GcG che ha valide
idee e, sono convinto, ad ora pensa prima a fare un bel gioco e a esercitare la propria creatività, e poi il resto.
Come ho detto gli atteggiamenti che giudico negativi sono ancora embrionali.
Quello che però non credo è che questa problematica e le esigenze di queste persone si risolvano chiedendo
una qualche forma di intervento speciale. Credo che basti applicare la filosofia con cui è nato GcG e
rispettare la vocazione “di servizio” di Questo l’ho fatto io.
E se questa filosofia e vocazione è un po’ venuta meno... si fa in tempo a recuperarla.
Mi rendo conto che continui ad esserci una barriera, ma questa barriera è, credo, fisiologica. Sarò brutale: se
non riuscite a trovare playtester per il vostro gioco potrebbe darsi che il vostro gioco non interessi abbastanza
e che “sul mercato” (e uso questo termine nel senso più ampio) non avrebbe proprio speranza.
Quello che posso impegnarmi a fare (e chiederei una mano nel farlo) è non rendere questa barriera più
impervia di quanto già sia in maniera artificiale.
Una cosa che mi piacerebbe iniziare a vedere sono giochi finiti e pubblicati, invece che una serie infinita di
progetti lasciati a metà.
Adesso mi rivolgo direttamente a chi sta scrivendo giochi. Siete in tanti. Perché ne vedo pubblicati così
pochi? Ragazzi, siamo la comunità INDIE! Se avete un gioco, se ha superato lo scoglio del playtest, mettete
su un sito, un blog, una fanzine e PUBBLICATELO. Io sono GcG al centro di un sistema solare di altri siti,
in dialogo tra di loro, in cui la gente possa, tra le altre cose, presentare i propri giochi, come fanno i vari
Baker o Edwards. Per questo obbiettivo posso impegnarmi e aiutarvi.
Altrimenti, onestamente, l’impressione che ne ricavo è solo che ci si voglia riempire la bocca con progetti
mai finiti e mai destinati a finire, ma iniziati solo per vantarsi.
Io voglio vedere altri Elar e Ravendeath, porcaputt..., voglio poter giocare a Beyond the Mirror o a quel
gioco coi rettili di Paolo e ai Reietti di Eden e a chissà cos’altro.
Non playtestarli, giocarli!
Non lavorarci (anche se sono disposto a farlo, in spirito di collaborazione), divertirmici! Egoisticamente è
l’unica cosa che mi interessa.
Io voglio che questo fermento e la passione che leggo in molti dia frutti, e il frutto non è la nomea di game
designer, è un gioco diffuso e giocato.
A parte i singoli titoli che ho citato, e che mi rendo conto siano ancora in produzione per difficoltà oggettive
e tempi di produzione fisiologici, credo che i tempi siano ormai abbastanza maturi per iniziare a vedere
qualcosa di concreto, no? Intendo da quando la “comunità indie italiana” ha iniziato a muovere i passi nel
mondo del design...
Lo so, lo so che per un gioco che funziona se ne buttano cento, ma credo che la noce del mio problema sia
proprio qui: noto una percentuale troppo bassa di giochi realmente pubblicati rispetto ai giochi di cui si
discute... e rinasce quella fottuta paura che si inizi a riempirsi tanto la bocca senza avere realmente nulla in
mano.
Oppure sono io che inizio a diventare uno dei “vecchi” e i tempi che percepisco sono più lunghi di quelli
reali?
In definitiva temo che crederò davvero in una comunità italiana di game designer quando questa
effettivamente ci sarà, quando avremo giochi diffusi e proposti. Quando ci saremo dati una benedetta
scantata e avremo tirato fuori le palle, difendendo i nostri giochi con la prova dei fatti e del “mercato” (di
nuovo in senso estremamente ampio), in contrasto con una tendenza (anche questa percepita e embrionale) a
voler essere protetti e favoriti “per il bene della comunità di designer italiani”.
Anche perché non credo che i “game designer” siano una comunità: siamo giocatori. Alcuni di noi amano
scrivere giochi, ma sono comunque solo e soltanto giocatori.
Nel frattempo sono più che disposto ad impegnarmi, nel caso qualcuno avesse bisogno del mio aiuto, per
ottenere questo obbiettivo per cui uso addirittura l’aggettivo “fulgido”... sempre che le paure che ho espresso
nella prima parte del post vengano calmate, sempre che possa vedere di stare lavorando per il mio obbiettivo
e non per la sua controparte.
Mi ricordo che nel playtestare Beyond the Mirror ad ArCONate mi sono sentito BENE. È stata una delle
esperienze più mentalmente stressanti della mia vita, ma sapere di aver fatto parte di una squadra di creativi
e critici per qualcosa di concreto e che sapevo si sarebbe realizzato (c’era una luce strana negli occhi di
Tazio...) è stato bello!
Se BtM rimarrà nel cassetto o salterà fuori che Tazio si sta solo riempendo la bocca per fare il Bravo
DesignerTM la delusione sarà enorme. Non voglio correre questi rischi.
Annullate quindi le mie paure e sono qui a promettervi che sfrutterò il mio poco tempo libero per provare,
parlare e criticare il vostro gioco, e supportarvi con tutti gli strumenti che ho a disposizione e tutta la voglia
che siete riusciti a farmi venire esattamente come farei con chiunque altro, di qualunque nazionalità sia.
Non mi sentirò comunque mai in dovere di provare e valutare un vostro gioco. La prima prova che dovrete
passare sarà farmi venire l’acquolina in bocca ;-)
Ecco, questo è il mio cuore, anzi, il mio stomaco. E non esagero. È un argomento a cui tengo molto e in cui
riverso molta passione.
Non vi chiedo di non giudicarlo, perché sarebbe impossibile, ma vi chiedo di tener presente che è, appunto,
emozione quasi pura, paure e speranze, idealismo, pignoleria e meschinità, tutte assieme.
Ora sono pronto ad ascoltare le vostre emozioni e poi ad usare la testa per valutare le azioni migliori e
collaborare con gli altri per il bene della comunità.
In generale mi sento molto ottimista. Non sono particolarmente dentro queste questioni sul game design,
ho letto molto superficialmente i thread che la riguardano, ma parlandone di persona credo che si stia solo
gonfiando una bolla di sapone, ci sia un rimbalzo di “sensazioni”, che è facile modificare, con l’impegno di
tutti...
Oh, un’ultima nota ;-)
Personalmente non mi sento di attribuire alla “comunità italiana” alcuno status speciale. Io non mi sento
italiano, sul serio. Io mi sforzo di chiamare “patria” il mondo intero. I confini per me contano poco e la
lingua appena di più (grazie, inglese) e non mi sento in dovere di prestare più attenzione ad un gioco solo
perché è scritto nella mia lingua: giochi italiani, francesi, americani, danesi, per me sono uguali, finché posso
leggerli.
Non chiedete una considerazione speciale perché bisogna favorire il design locare, quindi. I giochi non sono
salumi. Chiedete una considerazione speciale perché i vostri giochi sono maledettamente buoni! ;-)
EDIT: Come da richiesta di Paolo ho editato, usando il rosso, una parte del mio post per meglio evidenziare che continuo a parlare di emozioni superficiali, senza addentrarmi in ragionamenti troppo approfonditi. Paolo, so che non è tanto ma non saprei che altro fare: quelle sono veramente le mie "sensazioni", non confermate da alcun ragionamento logico, almeno per ora.