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[INCbook 2011] I nemici del gioco appassionato.
Mattia Bulgarelli:
Questo è il mio articolo uscito sull'INCbook 2011. Qui lo riporto con modifiche non sostanziali, es.: correzioni di errori di battitura se li vedo, ecc.
Rilascio questo articolo sotto questa licenza: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/deed.it
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Mattia Bulgarelli:
I nemici del gioco appassionato:
pigrizia, tradizionalismo, pregiudizio, vergogna, e ancora pigrizia.
Di Mattia Bulgarelli
In questo articolo, per prima cosa traccerò una distinzione tra “giocatori con esperienza” e “giocatori senza esperienza” e distinguerò tre grandi famiglie di design per i giochi di ruolo.
Fatto ciò, analizzerò come i giocatori “con esperienza” siano un gruppo con caratteristiche ben definite, auto-selezionatosi nel tempo, e perché le loro esperienza è un ostacolo nell'approcciare giochi di design moderno. La natura di questo ostacolo è essenzialmente emotiva, laddove una reazione logica sarebbe d'aiuto.
Infine, analizzerò alcuni motivi per cui un giocatore,con o senza esperienza, potrebbe essere tentato di “tirarsi indietro” di fronte ad un gioco emotivamente coinvolgente.
Perché due tipi di giocatori?
Sono sinceramente convinto che sia necessario tracciare una distinzione tra giocatori con e senza esperienze precedenti di gioco di ruolo (GdR da qui in poi nel testo), alla luce delle numerose testimonianze su come ci siano delle “reazioni tipiche” riconoscibili nelle due categorie.
Sui giocatori “nuovi” non c'è molto da dire in partenza: sono persone comuni, senza esperienze legate al mondo ludico se non una qualche rara partita a Risiko o Monopoli.
Sono le persone che talvolta vengono chiamate “babbani”, con terminologia derivata dalla serie di libri Harry Potter, in cui gli abitanti del mondo magico, pieno di abitudini bizzarre, indicano così i normali umani senza poteri.
Secondo alcuni la definizione è offensiva e sottintende un “orgoglio di giocatore”, un'appartenenza ad una casta superiore (e vedremo dopo da dove deriva). Secondo altri (tra cui il sottoscritto), è solo un riconoscere che queste persone non hanno mai assaggiato qualcosa che, nella metafora, è bello, quasi magico, per quanto strano rispetto alle loro esperienze.
I giocatori che hanno esperienze precedenti hanno reazioni che dipendono molto dal tipo di giochi a cui sono abituati.
A questo punto, è necessario (e si vedrà dopo perché è necessario) distinguere quali sono i tipi di giochi che generano aspettative diverse.
Il design crea il gioco, il gioco crea il giocatore.
Esistono, secondo una mia analisi in prospettiva storica, tre grandi correnti di design.
Sono perfettamente consapevole del fatto che non c'è un confine cronologico netto, a livello di giochi prodotti nel corso degli anni, e che molti giochi che escono ancora oggi sono figli di filosofie di design che hanno già mostrato di non risolvere o addirittura generare problemi di gestione del gioco, perciò questa classificazione è da prendere con le dovute cautele.
Il design dei primordi, figlio del wargame, vedeva i regolamenti come dei metodi per aggiudicare la probabilità di riuscita in un'azione da parte dei personaggi. In breve, rispondevano a domande tipo: che probabilità ho di colpire quel mostro? Quanto male posso sperare di fargli? Quanto lontano può saltare il mio personaggio? Eccetera.
La volontà di creare mondi di gioco sempre più interattivi genera la necessità di aggiudicare situazioni sempre più complesse. La risposta, secondo questa filosofia, è creare regole nuove per ogni situazione, fino a dei livelli di complicazione notevoli (si vedano Rolemaster o GURPS) che, comunque, generano la necessità di un arbitro finale per stabilire gli inevitabili casi dubbi[1].
Storicamente, la figura del GM, già responsabile della preparazione e della gestione di un'avventura, ha incorporato anche questa responsabilità.
Una seconda filosofia di design, figlia della precedente e solo apparentemente in contrasto con essa, consiste principalmente nel rinunciare ad ogni pretesa di design vero e proprio e di affidarsi al giudizio di un “giocatore speciale” per valutare la probabilità di riuscita dei protagonisti, dandogli il potere non solo di fissare tutti i parametri del mondo di gioco, ma anche, spesso, la facoltà esplicita di cambiare le carte in tavola.
Si accetta, a questo punto, che un mondo di gioco non sarà mai e poi mai regolabile “oggettivamente” da regole probabilistiche. Si era già osservato come una bella storia, spesso, prevedesse colpi di scena improbabili.
Di nuovo, si accetta di dare tutto il potere ad un singolo giocatore, non più, però, con il compito di dare risposte quanto più oggettive possibili, ma con quello di dare risposte interessanti o belle.
Alcuni manuali suggeriscono addirittura di applicare questo potere di nascosto dagli altri giocatori, trasformando il GM in una black box in cui i giocatori immettono degli input e ottengono dei risultati, all'oscuro dei metodi utilizzati: dadi lanciati dietro uno schermo (il cui risultato, cioè, non viene mai rivelato) o decisioni arbitrarie (i cui motivi non vengono rivelati).
A questa categoria di design appartengono i principali giochi della White Wolf (Vampiri, Werewolf, Mage...) e moltissimi giochi “light”, in cui in poche pagine si fornisce un sistema completo, consci che il sistema di gioco, tolti gli orpelli, si riduce a linee-guida per un GM dotato di ogni autorità.
Una terza filosofia deriva dalle scuole di pensiero che hanno deciso di adottare l'osservazione del caso pratico come elemento fondante del design e tecniche innovative, talvolta al punto di essere l'esatto contrario della prassi stabilita dai giochi precedenti.
Non più una persona sola a stabilire le probabilità di riuscita di un personaggio, ma regolamenti in cui tutti i giocatori siano chiamati, in tempi e modi profondamente diversi tra di loro, a contribuire al gioco.
Questo contributo può essere un momento di accordo, un momento di conflitto, una decisione univoca da parte di qualcuno, una decisione casuale con o senza la possibilità di qualcuno di alterare la probabilità. Questi modi di contribuire possono essere anche diversi, in diverse fasi del gioco.
Le forme in cui i GdR più recenti si sono espressi e moltiplicati li rende tanto vari quanto difficili da classificare.
La selezione darwiniana del giocatore “esperto”.
Ci sono due paradossi creati rispettivamente dalle prime due filosofie di design:
1- regolamenti puntati ad essere simulazioni “oggettive” che finiscono in mano all'arbitrio di un solo giocatore. Questi regolamenti sono intrinsecamente incompleti, e lasciano al GM il compito di dirimere i casi dubbi.
2- regolamenti tesi a riportare nel gioco il “fattore umano”, accettando che la simulazione “oggettiva” è una strada fallimentare, ma che ricadono nell'errore di dare tutto l'arbitrio ad un solo giocatore. Questi regolamenti sono dichiaratamente, a volte orgogliosamente incompleti, all'insegna del “ma tanto ci pensa il GM”.
La vecchia filosofia del puntare ad una simulazione quanto più definita possibile del “mondo di gioco”, in termini di regole, formule matematiche, probabilità ha compiuto un lavoro di selezione tra i giocatori.
Solo giocatori con una ottima capacità di astrazione logica potevano macinare le decine (centinaia) di pagine di formule richieste dalle varie edizioni di D&D, da Rolemaster, o dai loro cugini. Da qui, una prima selezione, all'interno dell'hobby, verso persone inclini a considerarsi intellettualmente superiori alla media, spesso anche a ragione, perlomeno nell'area logico-matematica.
La seconda filosofia porta invece a selezionare giocatori disposti, più o meno inconsciamente, ad accettare che il loro contributo creativo al gioco venisse vagliato da una persona, e sempre quella, per tutta l'avventura o addirittura per un'intera serie di avventure.
I giocatori più attivi, se GM, sono inclini al cosiddetto “GM burnout”, ovvero l'esaurimento della spinta creativa, logorati dalla necessità di dover guidare il gruppo in nuove avventure ogni partita, studiare le regole, aggiudicare i casi dubbi ma, soprattutto, dalla necessità di scrivere loro stessi l'avventura, già sapendo come inizia, in quali modi può svolgersi, e come finisce.
Se non-GM, il giocatore di lungo corso s'è ormai abituato ad essere passivo, a giocare in modo cauto, sapendo che nel migliore dei casi il suo contributo sarà accettato o cassato per confronto con le idee preesistenti del GM, e nel peggiore tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lui.
Quindi, la terza generazione di GdR ha affrontato e risolto i “problemi tipici del GdR” con soluzioni all'esatto opposto di ciò che le due precedenti generazioni avevano fatto: distribuire le autorità anziché accentrarle.
Fatti i giochi, però, restano da fare i giocatori, e questo è doppiamente valido se si esaminano i forum online, dove si trovano, di solito, una selezione di giocatori di lungo corso, ormai già selezionati e immuni ai difetti dei GdR delle vecchie generazioni... Al punto di non vederli.
Cambiare gioco vuol dire cambiare mentalità. Ed è più difficile che cambiare cellulare.
In questo caso, per “cambiare gioco” intendo “passare da un gioco basato su una filosofia di design ad uno basato su un'altra filosofia”.
L'autostima del giocatore, se legata al suo definirsi giocatore, è un primo fattore-chiave: se “io giocatore” ho legato lo status delle mie relazioni nel gruppo al fatto che occupo una nicchia ben definita, scavata in anni di convivenza ludica, difficilmente vorrò metterla a rischio affrontando un gioco nuovo, che mi richieda di ridefinire il mio ruolo nel gruppo.
Se, per esempio, il mio ruolo nel gruppo è quello di essere “il GM” e ciò è riconosciuto a livello sociale, extra-gioco, cosa mai mi potrà convincere ad affrontare un gioco in cui la figura del GM nemmeno esiste? Soltanto la voglia di liberarsi di quell' “investitura”. Ma un giocatore che si trova bene o abbastanza bene nel suo ruolo di GM non rischierà mai il suo ruolo sociale per un salto nel buio. E se non si fosse trovato almeno abbastanza bene, avrebbe già smesso di giocare, nell'ignoranza delle più recenti innovazioni.
Questo problema va in coppia con un altro: il ragionare in termini di “il GdR” (singolare) invece di “i GdR” (plurale).
Come se i GdR, tutti quanti, costituissero un blocco di ghisa, identico a se stesso ovunque lo si voglia mettere in pratica, da prendere per buono o lasciare, come se non potessero esistere giochi diversi, che possono piacere di più o di meno. Questa mentalità è figlia, in effetti, di 20 o forse 30 anni di giochi basati, alla fine dei conti, sulla stessa struttura: un GM che organizza ed il gruppo che viene guidato nell'avventura.
Un giocatore sarà in grado di affrontare un gioco di nuova generazione solo in proporzione a quanto avrà conservato una mentalità aperta a nuove forme ludiche. Una lunga esperienza con GdR precedenti tenderà a imprimere a fuoco alcune aspettative e alcune procedure come parte integrante del concetto di GdR: che ci sia un GM, che sia lui a guidare la storia, che i giocatori debbano seguirla e perfino che sia lui a fare le regole e non il regolamento concordato! Ricetta infallibile per far fallire un gioco moderno, basato sulla distribuzione di autorità e su regole inusuali ed originali.
Prendendo giocatori di lunga data e facendo loro provare giochi moderni, le reazioni sono le più disparate.
Nel migliore dei casi, ci sarà una sensazione di spaesamento. Ricordo bene un giocatore che, dopo una dimostrazione di Cani Nella Vigna, mi chiese chi fosse il vero “cattivo” dell'avventura, e quando gli risposi che non ce n'era uno, essendo un gioco basato su situazioni moralmente difficili da aggiudicare, il suo sguardo fu di stupore e, credo, di interesse per la novità.
Altri reagiscono con aria di sufficienza, come se “il GdR” (blocco di ghisa, ricordate?) ormai non avesse più segreti, e si rifiutano di provare, oppure manifestano una disincantata aria di sufficienza.
Altri ancora sovrascrivono con le loro abitudini le regole del gioco che provano, arrivando poi a concludere che il gioco sia “difettato” perché non segue la tradizione oppure che non funziona... dopo averne loro stessi modificato il funzionamento![2]
Esistono numerosi casi di giocatori che hanno superato lo spaesamento iniziale e che hanno abbracciato giochi moderni. Anzi, gran parte dei primi pionieri dei giochi di terza generazione sono giocatori con esperienza.
La probabilità di fare il “salto di qualità” e di accettare nuove filosofie sottostanti i giochi sembra essere legata in modo diretto all'esperienza con altri tipi di giochi diversi dal GdR, all'aver toccato con mano i problemi dei GdR di vecchia concezione, e al non avere una lunga esperienza di gioco pregresso che crea i preconcetti su come “deve” essere un GdR.
Il problema del “non c'è problema”: l'isteria della Rete e l'asimmetria del problema.
Come accennava Michele Gelli in chiusura del suo articolo[3] sull'INCbook 2010, la reazione dei forum di GdR italiani è stata (ed è ancora), col senno di poi, apparentemente incredibile.
L'introduzione in Italia di giochi che affrontavano e finalmente risolvevano molti problemi del GdR, da decenni insoluti e considerati insol ubili, non è stata quella che ci si poteva attendere.
Chi ha esperienza con GdR delle prime due generazioni ha sicuramente familiarità[4] con i problemi legati:
- al tempo di preparazione della giocata per il GM e dei PG per i giocatori ;
- alla possibilità di "rovinare la giocata" per cattivo bilanciamento dei personaggi e al c.d. min-maxing;
- alla difficoltà dell'avventura e, correlato, al Killer-Master;
- al c.d. Powerplay;
- al c.d. Railroading ;
- alla poca partecipazione dei giocatori;
- alla difficoltà ad avere un GM per il carico di lavoro richiestogli;
- all'impossibilità di mettere in scena certi generi con le loro caratteristiche;
- alla paura che lo scambio di informazioni (c.d. metaplay) tra giocatori rovini il gioco;
- al costo dei manuali troppo alto;
- al rapporto tra pagine stampate e materiale utile al gioco, troppo alto.
Ora questi problemi sono storia passata, per chi ha un minimo di cultura nella terza generazione di GdR, e ci si sarebbe potuti aspettare un accoglimento a braccia aperte delle soluzioni a problemi che chiunque ha sentito sulla sua pelle.
Le community online italiane hanno invece eretto un muro: su alcuni forum sono state create sezioni ad hoc per tenere le novità (e, quindi, le soluzioni!) lontane dal cuore del forum. Per il newsgroup IHGG le discussioni su come funzionano i giochi di nuova generazione sono state l'ultimo chiodo nella bara, infitto da pochi ma accaniti troll che si sono spinti fino a pseudo-recensioni contenenti gravi, e soprattutto intenzionali, inesattezze.
Il negazionismo è stato all'ordine del giorno: i problemi decennali di cui sopra venivano, da alcuni alfieri dei “bei tempi andati”, descritti come minori se non inesistenti. I giochi di nuova generazione attaccati frontalmente e descritti come “un nuovo modo di giocare”, quando, come dicevo, sono profondamente diversi tra di loro al punto di essere difficilissimi da classificare tra di loro.
In effetti, non ci si poteva aspettare molto da un ambiente carico di quel malsano “orgoglio di giocatore” e pieno di sopravvissuti a regolamenti pessimi che loro stessi hanno fatto funzionare con gravi sforzi. Ad un veterano del Vietnam non puoi raccontare “guarda che se stavi a casa stavi più comodo”: la sua fatica inutile è la ricompensa di se stessa.
[CONTINUA]
Mattia Bulgarelli:
I non-giocatori: il problema della reputazione.
Un primo problema, nell'approcciare nuovi potenziali giocatori, è costituito dall'eredità dei GdR del tempo che fu in termini di reputazione.
Nominare i GdR all' “uomo della strada” porterà, nel migliore dei casi, a facce stupite. Talvolta l'interlocutore ricondurrà ai giochi di miniature o al molto più famoso Magic[5] quello che stiamo tentando di spiegargli. Talvolta gli si formerà l'immagine mentale di una cosa strana, esoterica, per gruppi composti da nerd che non hanno visto la luce del sole negli ultimi anni. Più raramente, qualcuno conserverà vaghi ricordi delle campagne diffamatorie che hanno colpito l'hobby nell'estate del 1996[6] e, meno intense, in tempi successivi.
Capirete che non si tratta in nessun caso di un gran punto di partenza, se l'idea che si vuol far passare all'interlocutore è di venire a fare qualcosa di divertente.
La confusione è ancora più grande se poi ci si mettono di mezzo i videogiochi, che col GdR hanno una complessa parentela[7].
Perfino chi ha una cultura specifica in campo ludico può avere l'immagine mentale del tomo di regole di centinaia di pagine, di regole numerosissime e complicate, adatte a quel tipo di pubblico che abbiamo descritto.
Il termine GdR stesso è una “parolaccia”, conteso tra chi quell'immagine nefasta la vuole distruggere e chi la vuole “salvare” dall'innovazione, sempre in nome di quella “cultura dell'elite” che difende le vecchie filosofie di design.
Il problema della vergogna: tu sarai giudicato.
Una volta aggirato in qualche modo l'ostacolo della “parolaccia” GdR, arriviamo ad un secondo problema: far passare il concetto di un gioco in cui si mette in scena la propria creatività.
Qui si va a toccare una corda molto, molto delicata: quella dell'accettazione sociale. Qualunque sia il metodo con cui si presenta il GdR ad una persona, prima o poi deve saltare fuori il cuore stesso del gioco, ovvero la gestione di uno o più personaggi in un'ambientazione costruita nell'immaginazione dei giocatori.
Giocare ad un gioco di ruolo, al pari di qualsiasi altra attività creativa, ci espone.
Ogni persona che si cimenti in un atto creativo espone qualcosa di sé, intenzionalmente o meno: gli psicologi fanno scrivere o disegnare le persone per capirle. Gli artisti lo fanno con l'intenzione, precisa e consapevole, di comunicare ciò che pensano e provano. Al contrario, la burocrazia ha inventato, col preciso scopo di spersonalizzarsi, una quantità di termini asettici al punto di diventare, talvolta, una mostruosa parodia di se stessa.
Quando l'atto creativo avviene in gruppo, il contributo personale diventa molto più esplicito: bisogna rendere gli altri partecipi di ciò che si vuole dire, e questi altri co-autori devono essere coinvolti quanto o più di un osservatore esterno. Per esempio, lo sceneggiatore di fumetti deve considerare il disegnatore suo complice ancora più di quanto lo debba essere il lettore; lo sceneggiatore di una serie TV deve fare lo stesso con registi ed attori.
Tornando al GdR, una parte importante della questione è stata analizzata da Jesse Burneko[8]: chi gioca ad un GdR in modo attivo si espone al giudizio degli altri, che valuteranno il suo contributo in termini di “mi piace / non mi piace”, e non ci sono “spettatori”, sono tutti co-autori!
Il fenomeno del giocatore-pagliaccio nasce come difesa spontanea dall'impegno emotivo.
Parlo di quel giocatore che non affronta le premesse del gioco, ma cerca sempre di svicolare, di “mandare in vacca” il gioco, sospendendolo con battute e comportamenti che generano distrazione e, quindi, distruzione della partita.
Per poter creare qualcosa, sia pure di effimero come una breve storia di un paio d'ore, è necessario avere una volontà di collaborare e di contribuire.
Tanto il non-giocatore quanto il giocatore con esperienza possono essere spiazzati dalla necessità di intervenire, di dire la propria, di partecipare.
La differenza tra muovere una pedina su un tabellone e muovere un personaggio dotato di un'identità a dei desideri, per quanto fittizi e sotto il controllo del giocatore, è una differenza talmente forte da essere apparentemente insormontabile per alcuni. Inclusi, ripeto, anche giocatori con esperienza, che magari finora s'erano rifugiati in uno stile di gioco passivo o prettamente tattico[9].
Per quanto un investimento emotivo su un personaggio sia possibile, a determinate condizioni, in qualsiasi GdR di qualsiasi generazione, alcuni giochi di terza generazione facilitano o richiedono questo tipo di comportamento. Là dove un giocatore-pagliaccio può essere messo a bada con un gioco emotivamente distaccato dove possibile, dove ciò non è possibile il pagliaccio diventa un ostacolo insormontabile, con il vantaggio però che è evidente da subito chi sta “remando contro”.
Il problema del gusto, ovvero: esiste “il vero gusto del gelato”?
Anche accettato il concetto di avere uno o più personaggi e decisioni da prendere, anche accettato il fatto che gli altri giocatori prenderanno quello che dico e lo giudicheranno nella loro testa e nel loro cuore, resta un altro concetto fondamentale: a che cosa voglio giocare?
In passato i generi rappresentati nel GdR erano pochi, o forse fondamentalmente uno solo: la storia avventurosa per un piccolo gruppo compatto di eroi. Che si trattasse di una storia fantasy, nello spazio, o in altra ambientazione, lo schema di fondo era sempre quello.
La seconda generazione di giochi ha aperto la strada a storie più complicate, che però necessitavano dell'impegno personale del GM per coordinarle, ed era necessario scegliere: o si riduceva al minimo l'apporto creativo dei giocatori, che avrebbero rischiato di far deviare la storia precotta dai suoi binari, o il GM doveva fare lo sforzo extra di improvvisare ai cambiamenti introdotti dal giocatore (riscrivendo la storia oppure riportandola allo svolgimento originario in modo più o meno palese).
La terza generazione ha aperto numerose nuove possibilità di generi che possono essere messi in scena in una partita.
Come in ogni medium narrativo, è lecito aspettarsi che ci siano generi che piacciono ed altri che non piacciono. Sembra una cosa scontata, banale.
Perché non lo è? Ancora una volta, nei giocatori con esperienza, l'eredità del blocco di ghisa fa sì che ci sia un'aspettativa su come i GdR “dovrebbero essere”. Il giocatore abituato a vedere definito il GdR in un certo modo reagirà male a vedere i giochi della generazione successiva infrangerne i canoni. È una persona che ha assaggiato solo il gelato alla panna in vita sua, ed il “vero gelato” sarà solo ed esclusivamente quello alla panna. E forse, sentendo un sapore diverso, la prima reazione sarà “fa schifo perché è diverso”.
Ho un'età sufficiente da ricordare le infinite polemiche tra i giocatori portabandiera della prima generazione e della seconda generazione, verso la metà degli anni '90. Fanti delle regole contro paladini dell'interpretazione del personaggio. Polemiche inutili e basate su aria fritta esattamente come quelle tra i sostenitori del “vecchio” contro il “nuovo”, con la differenza, però, che ora i sostenitori dell'innovazione sanno di non essere arrivati ad una conclusione, ma di essere arrivati ad alcune conclusioni, che saranno fonte di ulteriori innovazioni.
Il passaggio, nel design quanto nel gioco praticato, è simile a quello da una credenza superstiziosa e dogmatica ad un metodo scientifico, di prova-ed-errore, e non è simmetrico come si potrebbe pensare in un primo momento.
La grande varietà di generi oggi disponibili nel GdR, inoltre, porta anche i giocatori con esperienza ad auto-ingannarsi, anche quelli più volonterosi e meglio disposti, e a credere che un genere nuovo (o un singolo gioco “nuovo”!) sia rappresentativo dell'intera gamma delle innovazioni possibili. Dopo anni di gelato alla panna, assaggia quello alla fragola e pensa di avere una panoramica completa su tutti i gusti disponibili oggi. Non si tratta di ristrettezza di vedute, sia chiaro, ma solo e semplicemente di esperienza personale!
Col giocatore senza esperienza di GdR in assoluto, si corre un rischio simile: il primo assaggio (panna o fragola che sia) rischia di diventare, nella sua mente, rappresentativo di tutti i GdR possibili.
Un metodo che deriva dall'esperienza di molti giocatori e che può evitare questo problema è quello chiamato “dei manuali sul tavolo”: mostrare un'ampia varietà di manuali ai giocatori che vogliono iniziare una partita, e lasciare che siano essi a rendersi conto della varietà dell'offerta disponibile e a scegliere che cosa provare. Questo metodo ha anche un valore aggiunto: i giocatori, avendo scelto essi stessi cosa giocare, affronteranno il gioco con maggiore entusiasmo rispetto ad una proposta esterna già preconfezionata, saranno responsabilizzati e partecipi della scelta.
Conclusioni: siate curiosi.
Davvero, non ho altro da aggiungere.
Il GdR è un hobby basato sulla creatività. Esploratelo, incrociatelo con altre esperienze, provate cose nuove e diverse.
Il singolo GdR può piacere o non piacere, ma raramente sentirete una persona dire “non mi piacciono i film” o “non mi piacciono i libri”, perché nella sua testa e nel suo cuore c'è la certezza che ce ne sono a sufficienza per poterne trovare uno adatto ai suoi gusti.
NOTE:
1: Questo meccanismo che ho appena riassunto è analizzato in dettaglio da Michele Gelli, nel suo articolo “I Dadi Non Hanno Senso Estetico”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010), scaricabile qui: http://www.internoscon.it/pdf/INC_Book_2010.pdf
2: Per un esempio meno estremo di quanto possa sembrare, ecco una cronaca di prima mano su come alcuni giocatori, dotati di una ferrea convinzione su quale sia il “giusto” modo di fare GdR, riescano ad ignorare le regole esplicite di Polaris, un gioco estremamente diverso da tutto ciò che avevano conosciuto fino ad allora: http://www.gentechegioca.it/smf/index.php/topic,1979.0.html
3: Cfr. nota 1.
4: Sulla concretezza di questo tipo di problemi, un'ampia documentazione si trova qui: http://www.gentechegioca.it/smf/?topic=1914.0
5: La stessa ludoteca di cui faccio parte è presentata, nell'anno 2011, nei volantini del circolo che ci ospita, come un gruppo che pratica “Magic ed altri giochi di ruolo”, anche se la nostra attività principale sono... giochi da tavolo!
6: Cfr.: http://www.gdr2.org/
7: Si veda il mio articolo “Figli di un D&D minore”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010). Cfr anche nota 1.
8: Si veda “Gioca con passione - I rischi sociali della creazione di storie”, contenuto in Riflessioni Appassionate (INCbook 2010). Cfr anche nota 1.
9: Ho una testimone oculare che mi parlava di un giocatore che aveva addirittura tenuto il suo personaggio di AD&D senza nome per mesi interi. L'idea che mi sono fatto è che dare un nome ad un personaggio significa contribuire, seppure in minima parte, a renderlo “personaggio” anziché “pedina”, e tanto basta per tirarsi indietro. In un altro caso, ho visto io stesso giocatori di lunga data bloccarsi alla richiesta di prendere decisioni “personali” per il personaggio invece di decisioni “tattiche”.
Mattia Bulgarelli:
I commenti vanno qui, se diventano tanti li sposto in un altro thread.
Mi auto-commento dicendo che purtroppo a questo articolo avrei voluto dedicare più tempo e raffinarlo un pochino, alcuni passaggi mi sembrano poco chiari. ;__;
Suna:
Mattia, ti accontenti di commenti che riportino (magari in breve) l'opinione personale della persona o vuoi una critica quanto più possibile obiettiva e spassionata?
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