OK, iniziamo. Ho aspettato a postare perchè voglio instaurare un ritmo più lento e meditato in questo thread, senza i soliti botta-e-risposta veloci.
Quale informazione ti manca, letto tutto ciò, per dedurre come gioco a D&D?
Se possibile, puoi indicarmele?
No, come giochi si riesce già a capire. Si capiva sin dai primi post.
E' da lì che è nato il problema. Da questa conoscenza. perchè il Diavolo è nei dettagli: io e ad altri, avendo già conosciuto persone che giocavano in maniera simile (o avendo giocato direttamente noi in questa maniera), abbiamo dato un po' troppo per scontata l'aderenza a questo "modello" che conosciamo, senza più andare a cercare i dettagli che possono fare la differenza. E siamo rimasti perplessi (o almeno, io sono rimasto perplesso) di fronte ad affermazioni che sembrano, a prima vista, incoerenti o contraddittorie. Almeno per la mia esperienza personale, con lo stile di gioco che descrivi.
Per questo ho fatto questo thread. Per ricominciare da capo, punto per punto, cercando di non dare più le cose per scontate.
Necessario, per riuscirci, concentrarsi su poche domande per volta, senza farle tutte quante insieme in una volta.
Inizio dalle due cose che mi hanno colpito di più:
La prima parte dalla risposta ad una mia richiesta di fornire maggiori dettagli pratici, in cui scrivevi:
Ritengo che il mio ruolo di master sia: divertire, coinvolgere, appassionare, emozionare I pg.
Quindi più che raccontare una storia che piaccia a me, direi che i miei obbiettivi sono: collocare in un mondo fantasy medioevale degli eroi e permettere la loro interazione con quel mondo.
Per il tipo di gioco principalmente mi comporto cosi:
La sera, penso al mondo di gioco. Penso a cosa succede in una regione, in un’altra. Penso a tutti i png che hanno incontrato i pg (e caspita in 5 anni sono parecchi).
Penso a cosa succede di slegato ai pg. Ad esempio un uomo è morto nella città di x, assassinato. Magari non serve, anzi, sicuramente, ma accresce la mia visione del mondo di gioco.
E magari in taverna, i pg sentono un passante raccontarlo. I miei pg sanno che nel loro mondo, come nel nostro, il 99% degli accadimenti non è incentrato su di loro.
Non c’è altra preparazione. Sono tutti “That if” mentali. E me li metto in una saccoccia.
Nel gioco però, le azioni dei miei pg sono assolutamente slegati. Possono decidere di andare ovunque io dica si possa andare (cammino nella lava= no).
A che scopo crearmi una scaletta? Le cose accadono in un attimo, ed io devo reagire come reagirebbe un mondo. Le cose che pensavo, cambiano con loro.
Non si adattano per loro, ma a loro.
I pg aiutano un vice re a salire al potere perché costretti da un suo precedente favore e mentre stranieri ingaggiati attaccano la città, loro uccidono il re.
I pg non si rendono conto di quello che hanno fatto? Giu pesante, madri che piangono i figli morti, bambini senza genitori che vagano piangendo.
Ma poi? Il vice re ha dovuto sacrificare alcuni per il benessere di molti (a suo avviso) ed elimina l’aristocrazia, forma un sorta di maghi militari a protezione del regno e devolve i beni confiscati al popolo.
Rivela ai pg che il vecchio Re intendeva ritornare in guerra col resto delle regioni, a discapito della sua gente.
In 3 partite abbiamo. Debito, intrigo (l’entrata nel castello), divertimento + nuovi spunti (improvviso una fiera teatrale a castello, che racconta una storia), morte (l’omicidio), orrore (le vittime), senso di colpa (cosa ho fatto), rabbia (maledetto il vicere) + auto giustificazione (eravamo costretti).
Infine sorpresa e un mix di disgusto/approvazione.
Dopo 1 anno di gioco alcuni pg credono nel nuovo re, altri no. Quando questo png entra in gioco le loro facce cambiano.
I temi sono svariati e si sviluppano dai pg non sui pg.
Vanno dal sacrificio, all’avidità, dalla rottura, all’amore, dalla salvezza, alla ricerca della felicità.
Fabio interpreta titus, che voleva a tutti i costi salvare la sua città. Per farlo in due anni di gioco si è trovato costretto ad uccidere anche innocenti.
Le parole di png a lui vicini, come la madre, come un compagno del gruppo di cui nessuno si fidava tranne lui, l’hanno incominciato a spronare.
Eventi poi drammatici, la morte di quel compagno, suo sacrificio volontario per allontanare un male dal mondo, la sua richiesta di guardarsi indietro.
Lo hanno lentamente cambiato. Oggi fabio interpreta titus, un ladro che ha fatto voto di non uccidere più per ottenere qualcosa e che si è ispirato ad una dottrina filosofica.
Enhuriel, un mago il cui unico scopo era proteggere il fratello (titus) senza alcun rimorso per i mezzi, si è visto sempre più lontano suo fratello.
Una partita conosce una giovane di una regione vicina. Ci parla e ne prova empatia. Più in la si ritrovano e trascorrono del tempo insieme.
Quando ritorna per l’ultima volta scopre che è morta. Aveva un male incurabile e la madre gli rivela che non aveva detto niente per vivere con lui gli ultimi giorni felici che le rimanevano.
In Enhuriel qualcosa si rompe dentro. Stefano il giocatore che lo guida, decide che Enhuriel è ormai allo strenuo della sanità mentale. Incomincia a coltivare il pensiero che se tutti fossero non morti la morte non potrebbe più arrecare dolore. Si allontana. Diventa cupo. Ora vuole proteggere il fratello in un modo tutto suo.
I giocatori si alzano in piedi. Si afferrano. Sbattono i pugni sul tavolo. Alcune volte gli capita di piangere (e confesso anche a me, dovendo immedesimarmi in un loro caro).
Ciò che fanno i giocatori fanno i loro pg. Veniamo dai live e dal teatro, stare al tavolino immobili e dire “il mio personaggio fa…” è una pratica troppo distante.
Infine, nei live, non c’erano mezzi di convincimento terzi. Nei Live romani attuali vige la regola “nessuna verità masteriale” (ad esempio: vedere ciò che non c’è perché lo dice il master) + “quello che non sai fare non lo fai”. L’abilità del giocatore in combattimento e nel sociale diventa quella del personaggio. Ma chi interpreta bene si limita, ovviamente. Quando interpretavo “Semola” il ragazzo di bottega vestito di pochi stracci, non sapevo usare spade o armi, anche se giocando live da 10 anni con la spada Manfredi ha vinto parecchi tornei.
Il bg definisce le relazioni. O il gioco in se e per se. Se giochiamo un gioco di campali, con 100 persone ad esercito si palesa l’esigenza di dare il comando ai generali. Se siamo in un live cittadino, ognuno sceglie le sue relazioni come preferisce.
Discussioni accese tra pg? Perenni. Giocate intere forse. Nell’esempio di prima Enhuriel rimprovera il fratello di essere morbido, di perdere di vista l’obiettivo. Titus rilancia indicando gli altri membri del gruppo elencando le atrocità commesse, ricordando il sacrificio del loro compagno e formulando un voto. Enhuriel non capisce, si intestardisce e continua ad aggredirlo. E cosi via.[color](ho tenuto tutto il quote, per evitare di citare cose fuori contesto, tutta la parte sui conflitti sociali e sul convincimento la lascio da parte per ora, la riprenderò poi)
Vorrei approfondire adesso gli aspetti pratici. Inizio dalla mia esperienza personale.
La mia esperienza personale, è che il creare un "mondo" così ricco attorno ai personaggi, lasciandogli poi libertà di andare ovunque, è una quantità
mostruosa di lavoro. Che gran parte va assolutamente sprecato perchè i giocatori, se lasciati totalmente liberi, non visiteranno mai gran parte dei luoghi e delle persone dettagliate.
Cosa ho visto, per ridurre questo problema nelle partite che ho visto? (alcune fatte da me come GM, altre viste usare come giocatore, in quasi vent'anni di esperienza in D&D, a cui ho iniziato a giocare nel 1985):
- si tirava soprattutto a limitare questo lavoro, creando solo l'illusione che il mondo fosse così dettagliato, integrando le parti preparate con ampie dosi di improvvisazione sul momento.
- Si riutilizza il materiale: se si creava un luogo o un incontro, per non sprecarlo si faceva sì che i personaggi lo incontrassero dovunque andassero.
- di faceva capire chiaramente ai giocatori dove ci si aspettava che andassero i loro personaggi, o con informazioni date nella fiction, o con voce ed espressione fuori dalla fiction.
- Si rallentava con ogni mezzo l'avventura quando i personaggi andavano in posti non dettagliati, per avere il tempo di dettagliarli per la volta successiva.
Nonostante questi metodi, la progressione che ho sempre visto (anche in me stesso, ma non solo) era ridurre continuamente questo lavoro di preparazione, sentito sempre di più come gravoso, e spesso inutile, aumentando sempre più l'uso di trucchi e tecniche per compensare, fino ad arrivare all'estremo di alcuni, del non preparare nulla e andare sempre "a braccio".
Vorrei sapere se usi qualcuno di questi metodi, quali, e quanto tempo dedichi alla preparazione delle partite. E che percentuale (approssimativa, non chiedo di mettersi a fare i conti...) di questo lavoro riesci a sfruttare in gioco.
(qui per ora parlo solo di luoghi e personaggi, non si situazioni che si evolvono, che tratterò poi)
La seconda domanda riguarda una cosa che hai scritto che mi ha lasciato molto perplesso:
Quando ho spiegato CnV alla mia ragazza (non viziata da gdr parpuziosi, visto che ci si è affacciata da poco), ha "sentenziato":
"Questo gioco non ha nulla di cinematografico".
Non intendeva ovviamente dire che le scene non venissero belle esteticamente, bensì che nel cinema c'è una sceneggiatura e quella è. Piuttosto cani nella vigna le appariva come uno dei giochi che si fanno a teatro per stimolare la capacità di improvvisazione + uno dei giochi per stimolare l'immaginazione come "c'era una volta".Se come dici giochi senza avere una storia già tracciata da seguire... di che "sceneggiatura" parla la tua ragazza? A cosa si riferisce?