[cite]Autore: Mauro[/cite][p]Parto dal fondo del messaggio di Pabu, perché ho fatto una scelta di termini infelice, che devo correggere prima di ogni altra cosa:
I tuoi chiarimenti - giustamente - mettono il tuo ragionamento sotto una luce tutta diversa; purtroppo sono i limiti della parola scritta. L'importante è lavorare per chiarirsi e ragionare sullo stesso argomento.
[cite]Autore: Mauro[/cite][p]Inoltre, gli improvvisatori che conosco partono senza il minimo canovaccio; e "senza il minimo canovaccio" intendo che sono sul palco, il pubblico gli dice "Siente nella rivoluzione cubana" e loro iniziano istantaneamente (caso reale).
Onestamente non so come sia la situazione dell'improvvisazione italiana, magari sono stato fortunato io nel poco che ho visto, ma gli esempi che porti sono estranei alla mia esperienza. Anzi: ho personalmente sentito insegnanti d'improvvisazione dire di non pensare alla storia, ma di fare quello che il personaggio farebbe in quella situazione. Quando parlo d'improvvisazione, parlo di questo.[/p]
Bene siamo nello stesso mondo. L'improvvisatore non ha canovaccio, se gli va bene ha avuto il 3,2,1 Impro', altrimenti neppure quello. Cosa succede dopo? Io spettatore cosa vedo?
Per favore, raccontami - anche in privato se preferisci, per non intasare il forum - lo sviluppo del "Siente nella rivoluzione cubana", perché ho la stessa identica situazione fatta ad un Laboratorio che ho tenuto a degli attori assolutamente digiuni dei mondi Impro', Match, long form e pippe varie e m'interessano punti in comune e differenze.
Gli insegnanti dicono di non pensare alla storia, però ritorniamo sempre lì: se non penso alla storia e sto nel momento, facendo vivere al personaggio la situazione allora lo spettatore dovrebbe vedere una gamma enorme di emozionie sentimenti, visto che una serata l'Impro' realizza 10-14 scene e il Match poco meno: le vedo?
Le emozioni sono grosso modo un'ottantina, riconducibili a otto famiglie principali: qualcuno vi insegna non dica a rappresentarle, ma semplicemente ve le elenca così sapete che esistono? Nel caso (una costante in vent'anni) che nessuno ve le abbia insegnate: se non le sapete riconoscere come fate a stare nella storia?
Capisci dove stanno i nodi irrisolti dell'improvvisazione teatrale? Tutto questo senza polemica verso nessuno, sia chiaro.
Nel GdR questo è differente: le emozioni le narro, non le vivo e in questo caso le precisazioni ontologiche che khana ha fatto sono importanti.
Il distacco tra il personaggio e il giocatore mi permette di agire senza pressioni nel GdR e - paradossalmente - di improvvisare di più; come riportato nel bellissimo esempio di Spiegel:
http://www.gentechegioca.it/vanilla/comments.php?DiscussionID=3487L'improvvisatore portato nel mondo GdR può avere una mente più aperta e e vedere più connessioni, ma non molto di più rispetto a un "novellino", digiuno sia di GdR che di improvvisazione, paradossalmente ritengo che un poeta, portato naturalmente all'uso della parola per creare immagini, possa dare di più all'esperienza GdR che un improvvisatore (è un discorso portato all'estremo, ovviamente).
Passo a Michele e al suo esempio.
Premessa per disinnescare in partenza un possibile flame: l'improvvisazione (teatrale, musicale o quant'altro) è l'unica espressione artistica non editabile e questo fa sì che ogni cosa fatta improvvisando sia perfetta in sé. Possiamo lavorare per migliorare ciò che faremo in futuro, ma quello che è fatto è fatto.
Detto questo: quello che accade nel tuo esempio non è
assolutamente ok per l'impro. Sarebbe ok se ti fossi limitato a una sola delle tue battute, ma tutte e tre assieme sono troppo; detta così si va oltre la Rudezza Eccessiva, è un vero e proprio colpo di stato all'interno della scena. Questo è l'esempio da manuale delle cose da non fare all'apertura della scena.
Cos'era un Match o un Impro'? Eravate nella stessa squadra o in due differenti?
All'inizio della scena devono uscire cinque informazioni fondamentali: chi sono io, chi sei tu, dove siamo, cosa stiamo facendo e quale è il rilancio; in altre parole: il Framing.
E se vogliamo restare in ambito di buona drammaturgia, devono uscire nelle prime tre battute, a meno che non stiamo facendo un long form di un certo tipo (ipotesi remota).
Quindi, se tu alla prima battuta dici chi è Claudia, dove siete e cosa state facendo, lasci a Claudia il compito di dire chi sei tu e di rilanciare; cose che, o le fa tutte e due nella sua battuta ammazzando il ritmo della costruzione della scena e vi trovate tutti e due in una scena debole, oppure lascia a te pure il quarto mattone e a questo punto se ne può andare in panchina a bere una sorsata d'acqua perché tanto la storia te la fai da te. Non contento, poi, introduci pure il Capo, che toglie focus dalla vostra relazione (che è ciò che veramente interessa al pubblico) e apre la porta all'entrata dei Guastatori che vi possono mandare in vacca quello che avreste potuto costruire da quell'inizio difficile.
Detto questo, restiamo tutti a DEFCON 5 senza flame: la colpa non è tua, ma di vent'anni di ipnosi consensuale su cos'è la buona improvvisazione. Se le scene le costruite così è chiaro che non c'è advocacy, ma non c'è neppure Teatro: c'è un tafferuglio intellettuale e basta. Il pubblico ride, ma è questo ciò che volete? Non sentite che ci può essere dell'altro? Quello che - in parte - c'è nei GdR e che nelle vostre scene manca?
Ma non per colpa vostra, ripeto. Quando ho scritto che "l'emulazione del modello del "bravo improvvisatore che fa spettacoli" è parte fondamentale della propria formazione" mi riferisco proprio al fatto che tu fai quello che fai perché lo hai visto fare e contemporaneamente c'è gente che ti guarda e ti prende a modello e questo contribuisce ad alimentare l'ipnosi consensuale da parte della comunità degli improvvisatori.
Questo è un caso lampante del contributo che i GdR possono dare all'improvvisazione: senza GdR l'advocacy non la conosceresti e neanche ti porresti il problema della sua presenza o meno quando improvvisate.
Sarebbe interessante sapere cosa ha è passato nella testa Claudia in quei momenti e come ha fatto reagire il suo personaggio a quel punto, perché sono informazioni utili per un discorso più ampio sull'advocacy.
Concludo con la ricerca della risata.
L'improvvisazione deve essere
divertente e diverte attraverso la comicità. Ho scritto prima del rapporto tra comicità, verità e dolore, aggiungendo che i personaggi, per essere comici, devono credere al dolore. Se faccio una battuta e smonto la storia non sto credendo al dolore: sto facendo del cabaret becero e dozzinale, non Teatro.
Lo faccio perché il mio ego non mi permette di mostrarmi vulnerabile, così smonto la posta in gioco e mi proteggo: la risata del pubblico a quel punto è la giustificazione che dò alla mia inettitudine; poi magari prendo il punto e mi sento ancora più sborone. Intanto gli alievi mi guardano e quando saranno nella mia stessa situazione faranno la stessa identica cosa, anche se l'insegnante dice loro il contrario, perché l'esempio vale più di mille parole.
Se quando l'attore smonta la scena con una battuta del cappero il Regista andasse da lui e invece di dirgli bravo o soprassedere gli dicesse "Sei un cog***ne: alla prossima te ne puoi stare a casa" il vento cambierebbe.
Anche qui impariamo dal GdR: mica siamo obbligati a invitare tutte le volte quel giocatore che ci manda sistematicamente in vacca - consapevolmente - le partite.
O cambiamo gioco o cambiamo il giocatore.
PS: io iniziai a improvvisare in un tempo remoto, quando le automobili erano targate Cartagine, e a quei tempi quel smontare la storia con una battuta ci veniva insegnato ai corsi, come "Gioco di Rimessa" e poverini quegli improvvisatori che non erano abbastanza pronti da farlo in scena. La colpa non era degli insegnanti, loro in buona fede ci insegnavano ciò che per loro era giusto. Il problema è che pochi si sono fermati a riflettere su ciò che veniva loro insegnato e tante cose sono diventate un tutt'uno con quella che si definisce "improvvisazione".
Vi ricorda qualcosa?