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Spione - PbF2 - FICTION: David Holly (& riassunto veloce puntate perse)

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Luca Veluttini:
[size=20]FASE 10: CRISI (Parte 1)[/size]

Le sirene della polizia sono la nuova musica, come la chiusura di un film. La gente, dopo la curiosità iniziale, si allontana terrorizzata per lasciare far tutto ai tutori della legge. David sente quasi il battito del cuore del suo ostaggio.
"Hai ragione, Dave, chiedo troppo. Non ho bisogno di cercare di ucciderti, quello possono farlo anche altri. Ma per cominciare ci sono vendette migliori."
Fa per muoversi di scatto, il che probabilmente mette David in tensione. E uno sparo echeggia nell'aria, non da davanti. Sente la detonazione vicina, ma non è diretta a lui.
Chi diavolo..?
Ora si sentono le macchine della polizia circondarli proprio ora che altro sangue cade sull pozzanghera davanti a David, e l'uomo la cui vita stava usando per contrattare... cade privo di vita sul marciapiede col tonfo di un albero tagliato.
"Ora sei un assassino", è il sussurro del suo migliore amico.
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E chissene frega! - pensa David - Chissenefrega, per Dio! Che venisse pure la polizia, che lo arrestassero, che facessero ciò che volevano: Aston era a terra morente, e nessuno stava facendo nulla...e più il tempo passava, più svanivano le speranze di salvarlo.
Le portiere delle volanti si aprirono, gli agenti li circondarono.
David non pensava a cosa avrebbe fatto o detto. Non gli interessava. Aveva la testa completamente annebbiata, dall'angoscia, dall'odore del sangue, dall'odio che una persona che aveva amato tanto provava per lui.
"AIUTO!" esclamò, appena i poliziotti furono vicini "Serve un'ambulanza! C'è un uomo gravemente ferito! Chiamate subito un'ambulanza!!!"
Uno degli agenti si chinò sui feriti.
Constatò il decesso dell'uomo e sentì il debole battito dell'altro.
"Uno è ancora vivo" disse ai colleghi "Servono soccorsi"
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Luci che lampeggiano riempono in poco tempo l'area dove c'è David. Degli infermieri raccolgono Anston, e lo caricano su una ambulanza. Altre luci arrivano, e in poco tempo l'area diventa piena di persone che si muovono, corrono, parlano, urlano...
E in lontananza Jesse e gli altri uomini, da dietro una folla di gente. Jesse guarda David, e fa il gesto di sparargli con una mano. Poi soffia sul dito e inizia ad allontanarsi. Apparentemente nessuno sembra fermarlo.
David prova a muoversi, ma tre o quattro poliziotti lo prendono. "Stia fermo e non si muova. Per ora è in arresto, poi vedremo in centrale. Innanzitutto ci dica chi è, e prepari i documenti se ne ha. E le consiglio di trovarsi un buon avvocato." dicono in tedesco.
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La sala interrogatori in quel momento gli appariva rassicurante.
Aston era in ospedale, forse ce l'avrebbe fatta...Avrebbe voluto chiedere al poliziotto che sedeva davanti a lui, ma prima doveva rispondere alla sua domanda.
Cosa era successo? Chi era il morto? Chi aveva sparato?
Essendo stato trovato con una pistola in mano - nonché l'unico rimasto in piedi - era per forza di cose il primo sospettato.
Non aveva paura. L'idea della galera non lo spaventava affatto. Pochi minuti prima aveva vissuto quanto di peggiore potesse immaginare: il suo migliore amico che cercava di ucciderlo...il suo socio e amico leale che si prendeva una pallottola al suo posto...Cos'altro lo poteva spaventare?
Con voce chiara e il volto tranquillo cominciò il suo racconto.
"Come avete potuto verificare dai miei documenti, sono a Berlino per lavoro. Sono dirigente, insieme al mio socio alla pari Aston Klein, l'uomo che avete soccorso, della K&H, ditta di import export. Io e Aston stavamo semplicemente andando a berci una birra, quando quell'auto si è accostata...Non so chi fossero gli uomini che sono scesi, anche se in realtà non mi sono stupito: di nemici ne abbiamo, di minacce ne abbiamo ricevute...Nel mondo degli affari nessuno è uno stinco di santo, ed io e Aston abbiamo fatto i nostri giochi sporchi, come molti altri. Di gente che vorrebbe vederci sul lastrico ce n'è a bizzeffe. Ma che provassero a ucciderci...beh, questo non me lo aspettavo. Erano in tre, uno ha estratto la pistola ed ha sparato a me...Non so bene cosa sia successo...credo che Aston mi abbia fatto da scudo...un attimo dopo era a terra in un lago di sangue" fece un pausa e guardò negli occhi l'agente "Ma lei vuol sapere perché ero armato. Bene. L'arma non è mia, è del mio socio. Appena ho realizzato che ci avrebbero ammazzati entrambi, mi sono buttato su di lui e l'ho presa...Ho colto alla sprovvista uno di loro, ho cercato di usarlo come ostaggio. Non è servito a molto...il suo complice ha sparato. Penso che il secondo colpo sarebbe stato per me...ma siete arrivati voi, e sono fuggiti. Quanto all'arma di Aston...so che adesso vorrete sapere perché ne possedesse una. Suppongo che non abbia alcun porto d'armi, in effetti. Ma spero che comprenderete: Aston è ebreo, ha vissuto l'esperienza dei campi di concentramento...ha visto la sua vita appesa ad un filo...e nonostante adesso avrebbe tutto il diritto ad una vita serena, già più di una volta si è trovato sulla strada dei neonazisti o semplicemente dei fanatici che lo hanno minacciato. Magari sono solo parole al vento...ma provate a mettervi nella testa di un uomo che ha vissuto un'esperienza come la sua. Era ovvio che avesse paura, e volesse sentirsi sicuro: portare un'arma lo faceva sentire tranquillo..."
Il poliziotto annotava scrupolosamente le parole di David.
"Comprendo, herr Holly. Per stanotte dovermo trattenerla: ma penso che, se non ci saranno testimonianze contrarie, appena sbrigata un po' di burocrazia, lei sarà rilasciato"
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Luca Veluttini:
[size=20]FASE 10: CRISI (Parte 2)[/size]

Qualche giorno dopo. Un ospedale della capitale. Una stanza con macchinari che con un ritmo costante emettono rumori e suoni.
Su quel letto, Anston, ancora avvolto in bende e poco cosciente. Dorme tranquillamente.
Vicino la porta, un'infermiera nel suo vestito bianco, corti capelli neri, alta, che parla con una persona vestita di nero, molto elegante. Sta esaminando un documento.
"Si, sembra tutto in regola, ma sicuri che possa essere trasferito senza rischi per la sua salute"
"Così ha giudicato un medico di questo stesso ospedale, quindi si. Ha ancora altre obiezioni?" il tono era autoritario.
"Va bene, non posso che attenermi ai regolamenti." dice firmando il documento.
"Non si preoccupi, l'ambulanza lo aspetta qui fuori. Il trasferimento sarà rapido e senza problemi"
Due infermieri vestiti di bianco portano velocemente via Anston. Non sembrano avere troppe attenzioni per lui, e lo sedano appena prima di portarlo via.
Lo infilano in una ambulanza, che parte via veloce.
Dopo un po' l'autista dice agli altri due "Sapete cosa voglio. Due persone sempre davanti la sua porta ora che lo abbiamo. E che sia curato bene. Poi gli chiederò perché si è impicciato di affari che non lo riguardavano e nel caso capirà che ha fatto un errore stupidissimo". La voce di Jesse è chiara e cristallina, quasi infastidita.
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Lei sarà rilasciato appena risolta un po' di burocrazia, dicevano; e dopo una buona manciata di ore David è ancora nella stanza degli interrogatori.
La porta si apre di nuovo; entra lo stesso ufficiale, corrucciato in volto. Tiene una sacca in mano.
"Credo che ci siano state delle complicazioni, signor Holly." Tira fuori il contenuto: documenti vari, fitti di righe che non riesce ancora a leggere, e una tessera del KGB.
Cazzo, quella di Anston.
"Le classiche telefonate anonime a volte funzionano, sa? Questa volta ci ha indirizzato alla vostra società, e guardacaso abbiamo trovato questo." Si siede sospirando con un che di scocciato, quasi intimorito. "Questa è una complicazione grossa per il suo rilascio breve, se non ha un'altra spiegazione. Ma ora deve spiegarmi parecchie cose, signor Holly."
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"E ora passerete alle torture?"
In realtà Anston non è legato. E' messo su di un letto, nutrito decentemente, e uno degli sgherri di Jesse pare essere un medico. O avere abbastanza conoscenze per prendersi cura di lui - per quanto ci si possa prendere cura di un prigioniero. Ci sono sempre uomini che sorvegliano, e quindi è una prigione soffice e luminosa.
Quando allora arriva il Grande Capo a trovarlo, quella è la prima domanda.
"Oh, non ce ne sarà bisogno."
Jesse non sorride, ma ostenta tranquillità; prende una sedia, si posiziona vicino ad Anston; incrocia le braccia.
"Non vi parlerò in nessun caso, qualunque cosa stiate cercando di estorcermi."
"Oh, ma qui si parla giusto di chiarire le posizioni, herr Klein." L'uomo della CIA sembra non perdere quel contegno serafico. "Per esempio, credo che tu non abbia bene compreso come sei stato manipolato fino ad ora."
Silenzio. Lo sguardo di Anston è di attesa.
"Parliamo dell'Agenzia. Un nome, ad esempio..."
"Senti, cosa credi di..."
"Gombrich."
Qui tutto si ferma, e qualcosa nell'esperto imprenditore si incrina.
"Già, la nemesi di ogni ebreo e filo-russo in questa città-lebbrosario." Il gesto di Jesse è di accendersi una sigaretta inesistente. "Chi credi ce l'abbia messo lì? E soprattutto, chi credi che sia stato messo proprio accanto a uno dei suoi avversari, un coriaceo ebreo da battaglia ancora più battagliero negli affari?"
"Smettila..."
"Avanti, Klein, accetta i fatti." La finta sigaretta viene alzata verso il cielo. "Tutti i discorsi sull'amicizia e lo spirito di cooperazione che dovete avere fatto tu e David sono nient'altro che un ottimo addestramento da spia. Una talpa per tenere sotto controllo la libera imprenditoria emergente della città. Uno dei migliori agenti, astuto fino alla fine." Anston si nasconde il volto, lo si sente respirare rumorosamente balbettando "Non è v...". Lo sguardo di Jesse verso la finestra aperta è quasi di trionfo.
"Ma adesso lo possiamo fermare e fare giustizia, con una mano."
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Qualche ora dopo David uscì dal quel commissariato di polizia. Iniziò ad avviarsi verso casa, senza apparentemente nessuno che lo seguiva.
Tutto sembrava tranquillo e sereno. Anche il cielo era più tranquillo, si era schiarito dopo la pioggia, e ora un bel tramonto iniziava a colorare di rosso tutto.
Quando però aprì la porta di casa vide uno spettacolo inconsueto.
Dove era casa sua, dove aveva abitato in questi ultimi tempi... non c'era più nulla. Niente mobili. Niente quadri. Niente di niente. Solo un pavimento vuoto e ben lavato. Neanche il letto era rimasto.
E dietro la porta, appese rapidamente con dello scotch adesivo, tre foto, in cui si vedeva David che raccoglieva una pistola. Poi con un ostaggio. E poi l'ostaggio a terra afflosciato davanti a lui.
E dietro una di esse, una scritta a matita "Addio David. Jesse."
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"...ma adesso lo possiamo fermare..." stava ancora dicendo Jesse, davanti allo sguardo incredulo di Aston, quando la porta si aprì.
Jesse si voltò, e fu in quel momento che Aston vide per la prima volta lo sguardo di quell'uomo cambiare, perdere quella maligna sicurezza e diventare ombroso, preoccupato.
Jesse non parlò. Rimase immobile, con la sigaretta accesa a mezz'aria, a osservare la persona che era appena entrata.
Capelli biondi, inverosimilmente alto, occhiali di tartaruga e quel viso severo, da intellettuale, che lo aveva colpito la prima volta che si erano parlati: Brian Champbell.
"S-signore..." fece per dire. Ma lui lo fermò con un cenno lento della mano. Dietro di lui erano comparse altre due persone.
"James Dombrowsky" esordì "Ciò che ha fatto è estremamente grave, e mi stupisco che lei abbia pensato che nessuno se ne risentisse"
fece una lunga pausa, in cui posò il suo sguardo anche su Aston.
"Lei" scandì "Ha usato la ditta per portare avanti una sua vendetta personale. Ha fatto gestire informazioni importanti ad un ragazzetto sprovveduto di cui in verità non si fidava, con il solo scopo di farlo uccidere. Ha per questa ragione coinvolto altri membri della ditta che erano sotto la sua responsabilità, ed uno di loro ci ha rimesso la vita" gli sbattè davanti le foto di David e del morto "Pensava veramente di usare me, la mia posizione, la ditta, per le sue scaramucce personali? Pensava che nessuno la controllasse? La facevo più intelligente"
Jesse, paralizzato, azzardò un: "Mah..." che fu subito troncato da un nuovo gesto di Brian "Ne riparleremo in sede di interrogatorio, e vedremo che fare..." e fece cenno ai due uomini che lo seguivano di accompagnarlo fuori.
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Luca Veluttini:
[size=20]FASE 11: MANOVRE[/size]

Le settimane proseguirono tranquille. Anston si riprendeva, vecchia pellaccia, e la vita di David proseguiva normalmente. Non aveva più avuto notizie da James, e la CIA non lo aveva contattato. Curava i suoi affari, cercando di riprendersi dal colpo infertogli da Gombrich, aspettando che questo stato di cose cambiasse. Sapeva che quello che era successo in quel vicolo era grosso, e qualcosa doveva succedere.
Anston si fermava a fare lunghe chiaccherate. Parlavano della guerra, di come Berlino si avviasse a diventare un'enclave occidentale circondata dalla nuova germania sovietica, del tempo e della pioggia, mai di quello che era successo.
Anston commentava i giornali, gli parlava di come i sovietici stessero consolidando il potere in tutto l'est europa, di come gli americani stessero riversando capitali all'ovest e della lotta per la conquista dell'Italia. Alla fine sospirò e, abbassando il giornale, glie lo chiese. Gli occhi erano tristi, pieni di lacrime e preoccupazione, e a David non era mai sembrato tanto paterno e onestamente preoccupato. Gli disse che presto sarebbero venuti, che avrebbero spazzato sotto il tappeto ogni errore, ogni scivolone, e che lui sarebbe stato la vittima sacrificale. Probabilmente la CIA aveva già fatto saltare la testa di James e lui, un povero illegale senza contatti, assegnato ad una missione tanto delicata, non aveva la minima speranza.
Gli mise le mani sulle spalle e, paterno, gli promise di aiutarlo. Se solo fosse venuto dalla sua parte tutto sarebbe andato a posto, avrebbero potuto salvarlo.
Glie lo chiese per favore, con le mani strette sulle spalle e le lacrime agli occhi.
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L'attenzione di David venne improvvisamente catturata da un titolo su una colonna in una pagina centrale, molto defilato e decisamente breve: "Scomparsa giornalista italiana".
Per un attimo si dimenticò delle lacrime di Anston. Per un attimo si ricordò delle sere e del calore di Bianca mentre giacevano insieme a letto. Un brivido gelido gli percorse la schiena. Una brutta sensazione.
Perchè?
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Lo sapeva che prima o poi le cose sarebbero precipitate. E non aveva nemmeno fatto nulla per evitare che precipitassero. Aveva solo atteso, come aveva fatto sempre nella sua vita. Aveva guardato Aston riprendersi, aveva lavorato come se nulla fosse...aveva lasciato, come in ogni singolo momento della sua esistenza, che la vita gli scivolasse addosso. Forse, quel giorno davanti a Jesse che gli puntava una pistola contro, era stato il solo momento in cui aveva davvero agito.
E non era servito a ganchè.
Il suo ex migliore amico forse era morto, e lui non ne avrebbe mai saputo niente.
La donna di cui si era innamorato, pur nella lucida coscienza che lei lo stesse sfruttando e manovrando, era scomparsa.
L'unica persona che si era presa cura di lui gli annunciava che lo avrebbero ucciso e che non poteva fare nulla per proteggerlo.
Che doveva fare?
Dire sì, e ancora sì, e lasciare di nuovo che gli altri trascinassero la sua vita a largo, senza poter fare niente?
Finire dalla CIA al KGB, in quel gioco sporco e assurdo che detestava, e in cui si era infilato solo per senso di colpa?
Sarebbe andata di nuovo allo stesso modo: prima per Jesse, poi per Bianca, ora per Aston...
Si sarebbe fermata mai quella corrente? Fino a che punto era disposto a farsi trascinare dalla gente, anche se era gente che amava...?
L'affetto gli diceva che avrebbe dovuto accettare l'offerta di Aston, provare a mettersi al sicuro: sarebbe stato dalla stessa parte di Bianca, avrebbe potuto cercarla...cercare di scoprire che le era successo...e avrebbe lavorato accanto ad Aston, senza più dover nascondere niente, senza il rischio continuo di trovarsi su due diversi lati della barricata.
Sì, era una scelta sensata, conveniente, decisamente un'offerta che non si poteva rifiutare.
Ma lui…
"Mi dispiace" disse "Mi dispiace Aston, ma voglio uscire da tutto questo. Voglio uscire da questa storia...voglio uscirne...che io ne esca respirando o meno..."
Guardò negli occhi il suo amico, gli rivolse un sorriso triste.
"Ti ringrazio di avermelo chiesto. Sei stata la sola persona che mi ha dimostrato di tenere a me e non lo dimenticherò" scosse la testa, distogliendo lo sguardo "Sai, la verità è che della CIA, del KGB, di questa città, della guerra...non me ne importa nulla. Non me ne è mai importato maledettamente nulla. Ho sempre pensato che al di là del torto o della ragione, e degli schieramenti, per me contano solo le persone. Conti tu, contava Jesse, contava Bianca. E adesso - adesso - voglio contare un po' anche io. Perché non l'ho mai fatto, Aston: sono sempre stato uno stupido ragazzino debole che ha bisogno di farsi proteggere dagli altri..."
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Anston alza la testa. Assieme alle lacrime sono soprattutto le rughe a solcargli il viso. Per un momento David lo vede guardare di lato e sospirare, poi sente i denti che digrignano.
"Questo non aiuta a risolvere i miei dubbi. Non aiuta." Lo fissa negli occhi, e David può vederli quasi incattiviti. Sa che è doloroso e che comunque deve accettare di fare il torto all'amico, ma può arrivare a tal punto la disperazione? "Come posso sapere che non è un'altra parte che reciti?"
Qualche secondo di silenzio e sorpresa. "...come?"
"David." La voce dell'uomo più anziano è rotta, ma ha la pesantezza di un macigno sul giovane. "Come posso sapere che la nostra amicizia non è stata per anni la tua missione per la CIA? Che io non sono stato la pedina di giochi di potere tra te, il tuo socio yankee e il nazista? E che ora che tutto è esploso non stai solo abbandonando un campo pericoloso per andare a riprendere da un'altra parte?"
E' disperato, pensa David mentre cerca invano di articolare una frase. Ma non riesce a dire nulla.
"Dimmelo, David, AMMETTILO! Un lavoro che doveva essere facile, poi sono stato una complicazione e ho finito pure per mettermi in mezzo, e magari ora la buona coscienza ti dice che quel poveretto che è quasi morto per te non serve più, puoi lasciarlo a raccogliere i pezzi..."
Quasi balbetta, parla confusamente ad alternanza di singulti e mezze grida. E solo in quel momento l'americano si accorge che un tagliacarte è rimasto sul tavolo, e una mano convulsa di Anston lo afferra.
“N-no, Anston, calmati...” Non sa se indietreggiare o cercare di raggiungerlo. Per un attimo l'uomo muove l'oggetto verso il proprio volto, poi tende del tuo il braccio puntandolo verso David..E' rosso in volto, piange come un bambino.
“Ridammi la mia vita, CAZZO!” E si lancia verso di lui.
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Luca Veluttini:
[size=20]FASE 12: CRISI (Parte 1)[/size]

Il primo assalto, per fortuna, va a vuoto; Anston è meno allenato rispetto a una volta, sta invecchiando, e ora sembra poco padrone di se; incespica contro una sedia, sbilanciandosi verso il terreno.
"A-Anston, ascolta..." Ma l'uomo più anziano, mentre tira su col naso e altre lacrime gli arrossano il volto, si rialza a fatica tenendo di nuovo il taglierino proteso verso David. Farfuglia qualcosa.
E' in questi momenti che non hanno sentito la macchina che si fermava fuori dall'ufficio, il rumore di svariati passi veloci sulle scale. Ma la porta presa a calci e spalancata la sentono.
"Cos..?" Probabilmente sono entrambi storditi quando i quattro uomini vestiti di scuro, uno molto alto, tutti con cappelli e occhiali da sole come i peggiori romanzi pulp o film di gangster, si fanno largo nell'ufficio. Ognuno è armato.

L'uomo alto va avanti, fronteggiando i due colti di sorpresa.
"Signor Holly." Brian Campbell sembra fuori ruolo a sporcarsi le mani, con quel vestito da azione, ma tant'è. Si sistema gli occhiali con un gesto infastidito. "E anche il signor Klein da parte dei russi. Avrei preferito prendervi uno alla volta ma, capirete, siete alla fine di un gioco più grande di voi." E fa segno ai suoi di farsi avanti.
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Anston rimase come paralizzato all'ingresso degli uomini. Poi disse solo "oh". Fece cadere il temperino, e si lasciò cadere su una sedia.
Poi fece un applauso a David. "Bravo. Sei stato veramente bravo."
Si alzò poi, lentamente. Guardò David "E pensare che ho preso anche una pallottola per te." poi si rivolse agli uomini "Non farò resistenza, andiamo."
Ma lo sguardo che aveva rivolto a David faceva più male di una coltellata.
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I due uomini afferrarono anche David, che non fece resistenza.
In pochi istanti era sul sedile di una volkswagen grigia, che avanzava traballante per le vie di Berlino. Campbell guidava, fischiettando una marcetta, mentre lui e Anston erano ammanettati sul sedile posteriore. Il compagno di Campbell, sul sedile del passeggero, gli aveva deliberatamente mostrato la luger che portava sotto la giacca. Anston fissava il vuoto dal finestrino, ignorando David, le mani legate dalle manette abbandonate senza forza sulle ginocchia.
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La sola cosa che avrebbe voluto fare David in quel momento sarebbe stata parlare.
Parlare davanti a quello sconosciuto e davanti a Aston di tutto quello di cui era venuto a conoscenza fino a quel momento: parlare di Magnum, dello spionaggio ai danni degli inglesi, delle minacce dell'HVA e del coinvolgimento di Harper
Solo per far capire ad Aston che non era mai stato lui il bersaglio della sua missione.
Solo perché lui sapesse che non aveva mai nemmeno sospettato di lui, e che quando aveva scoperto che era una spia del kgb era caduto dalle nuvole.
Ma purtroppo non era la cosa giusta da fare.
Se Aston fosse venuto a sapere quelle informazioni, le possibilità che la CIA lo lasciasse vivo erano nulle.
Se voleva provare a salvargli la vita - o almeno a salvarlo da quella situazione - doveva arrendersi all'idea che lo ritenesse un traditore.
Era un pensiero che gli faceva male.
Alla fine, tutte le persone a cui voleva bene, sarebbero uscite dalla sua vita odiandolo.
Pazienza. Non gli pareva di avere più molto da perdere, e una strana rassegnazione si era impadronita di lui. Che finisse pure lì. Che lo ammazzassero pure.
Ma con la coscienza pulita, almeno.
"Senta, io non so chi lei sia" disse, rivolto a Campbell, sfoderando un'improvvisa, calma decisione "Anche se lo posso immaginare. E se lei è chi io immagino, beh, probabilmente ci sono un bel po' di cose che lei vorrebbe sapere da me. Poi, una volta che gliele avrò dette, lei mi ucciderà"
Parlò senza guardarlo negli occhi, con lo sguardo perso fuori dal finestrino, come se, davvero, del suo futuro non gli importasse niente.
"Quello che lei non considera è che ha di fronte una persona che ha perso tutto ciò per cui è finita in questo 'gioco più grande di lui': il mio migliore amico, Jesse, potrebbe essere morto e prima di sparire dalla mia vita ha cercato di uccidermi. La donna che amavo non mi amava, ed ora è sparita anche lei. La persona che è seduta con me in questa macchina mi crede un traditore. Non ho figli, non ho rapporti da anni con la mia famiglia, gli affari non erano il sogno della mia vita: che ho da perdere? Pensa davvero che parlerei sotto minacce di morte? Pensa che sia troppo debole per sopportare le torture? Questo lei non può saperlo. Invece le offro una certezza: lei fa scendere il signor Klein da questa macchina e accetta di rimandare la faccenda con lui a dopo che avrà sistemato quella con me, ed io le offro collaborazione totale. Siete agenti della CIA, no? Non credo che vi mancheranno occasione di sistemare le cose altrimenti, tra voi 'spie professioniste'. Ed io non voglio che il signor Klein ascolti ciò che ho da dirvi, nè voglio sentirmi responsabile per ciò che accadrà tra lui e voi. Se non acconsentite alla mia richiesta, io non pronuncerò più da ora in poi una sola parola. Come vi ho detto: non ho proprio nulla da perdere, e quelli come voi dovrebbero sapere che quando un uomo non ha niente da perdere diventa praticamente invulnerabile"
Ci fu un momento di silenzio profondamente lungo.
"Lei scherza col fuoco, Holly" fece poi Campbell "Ma tutto sommato, James mi ha detto abbastanza su di lei da sapere che è sufficientemente idiota da fare davvero quel che dice." scosse lievemente la testa e abbozzò un sorriso "Scommetto di sapere quel che pensa: si sente un eroe altruista che vuole salvare la pelle all'unico amico che le rimane. Non ho nulla in contrario a darle questa illusoria soddisfazione"
Accostò la macchina al lato della strada e si rivolse al compagno.
"Lascialo andare, Jack. Tanto lo ammazzeranno i russi"
L'uomo si alzò senza parlare, aprì la portiera dal lato di Aston, lo sollevò quasi di peso, senza togliergli le manette, e lo sbattè in malo modo sul marciapiede.
Poi chiuse, e ripartirono.
Mentre l'auto si allontanava, David rivolse un ultimo sguardo all'amico accasciato sull'asfalto
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Luca Veluttini:
[size=20]FASE 12: CRISI (Parte 2)[/size]

"Tanto lo ammazzeranno i russi..." David ripensava a quell'ultima frase di Campbell. "Che cosa avrà voluto dire?"
Poi lo seppe. Sentì uno sparo violento alle sue spalle, fuori per strada.
Tutti in auto ebbero un sussulto, spaventati.
Girandosi, un'auto aveva raggiunto Anston. Era uno di quei vecchi modelli, scuri. Sul paraurti anteriore David notò di sfuggita un'ammaccatura, come se quell'auto avesse urtato qualcosa.
Di fianco all'auto, due uomini, uno dei quali aveva una pistola fumante in mano. A terra il corpo inerme di Anston, con del sangue che incominciava a lavare il marciapiede.
Campbell urlò qualcosa. L'auto su cui David era accelerò.
Ma l'unica cosa che David vedeva in quel momento erano gli occhi spenti di Anston che gli chiedevano aiuto. Un aiuto che non sarebbe mai arrivato.
Gli inseguitori risalirono e ben presto furono alle calcagna di Campbell. Jack non era un gran guidatore quando aveva paura di morire.
Fianco a fianco l'altra auto li fece sbandare, e sbatterono contro un muretto. Quello fu l'ultimo dolore che David sentì prima che tutto diventasse buio.

Quando David riaprì gli occhi, la sua testa era dolorante, come fosse passata sotto un camion.
Senza che potesse realizzare nulla, qualcuno lo prese. Lo fece inginocchiare.
Poi, un uomo vestito in nero gli chiese, in uno spiccato accento russo: "David Holly?"
David, sprezzante: "No, al momento non sono disponibile. Volete lasciare un messaggio? Di chi devo dire?" sputando sangue a terra.
Stizzito dalla risposta, l'uomo in nero chiese: "Peccato signor Holly, anche se ci era inutile Anston Klein aveva visto troppe cose. Noi vogliamo lei e quello che sa. Ora è disposto a parlare?"

David non credeva ai suoi occhi. Non aveva potuto fare nulla per Anston. Non poteva fare nulla per sé. Si mise a ridere dalla disperazione, a piangere per la perdita del suo amico.
Attorno a lui però la campagna della periferia di Berlino se ne stava in silenzio, immobile. Neanche lei poteva fare nulla né ritardare l'inevitabile.

L'uomo vestito di nero prese una pistola e la puntò alla nuca del moribondo, che intanto mormorava "Scusa", piangendo.
Nel silenzio di un tramonto rosso, uno sparo. Un corpo si accasciava a terra, morto.
"Ci è stato comunque utile, signor Holly" disse l'uomo mentre metteva via la pistola, sotto lo sguardo divertito del compagno.
Poi un'auto riprese la strada verso Berlino. Con un passeggero in meno.
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Una lettera anonima aveva avvertito sia i giornalisti che la polizia tedesca. Quando quest'ultima entrò nella casa di David, con lui che era scomparso da qualche giorno, trovò quella stanza segreta dove era stato indicato.

Dentro, una stanza alle cui pareti erano appese due arazzi rossi con al centro un cerchio bianco. E nel cerchio, la croce uncinata nazista.

Una serie di carte sulla scrivania, parti di armi, degli esplosivi. Tutto sembrava confermare l'incredibile. Il peggio che ci potesse aspettare. David Holly era un neo-nazista, e di quelli pronti a far saltare qualcosa pur di lasciare un segno.

Inoltre c'erano lettere in si leggeva "Non vedo l'ora di gustare il momento in cui avrò fuori come un cane quello sporco ebreo di Anston".

Quando la polizia uscì, due o tre giornalisti non poterono che iniziare a scrivere un pezzo esplosivo per il giorno dopo.
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Karima Klein lo sospettava da tempo, che ci fosse qualcosa che non andava.
E quando la polizia era venuta a dirgli che avevano trovato il corpo di suo marito in mezzo alla strada, assassinato, non aveva gridato. Aveva pianto, in silenzio e senza stupore, come di una cosa che si sa che prima o poi può accadere...come quando vivi da mesi accanto ad un malato...
Una donna sa sentirle, certe cose.
Ma che fosse stato David...gli sembrava così inverosimile...e perché dichiararlo così...per poi farsi ammazzare anche lui...
Da un lato gli conveniva crederlo: in quel caso, lui era morto: era stata una faccenda personale e lei non aveva da temere. Ma se non era così? Se suo marito fosse stato in un guaio ben più grosso, come i piccoli segnali che aveva raccolto gli facevano pensare?
Forse fu solo per cercare di impegnare la mente che cominciò a porsi domande: forse fu solo per non essere assalita da pensieri più angoscianti che andò nell'ufficio di Aston e del suo socio.
Tutto era vuoto, abbandonato.
I segni di una breve colluttazione erano ancora evidenti. Questo non faceva che confermare la teoria dell'assassinio da parte di David.
Eppure...le carte, i documenti, gli oggetti...erano troppo, stranamente in ordine. E troppo pochi.
Nè David né Aston erano capaci di tenere in ordine un ufficio...né David nè Aston avevano così poco materiale di lavoro.
Per un attimo ebbe come l'idea che qualcuno fosse entrato in quel posto, come per "ripulirlo".
Freneticamente si mise a cercare: ad aprire scaffali, cassetti, scrittoi...e fu allora che l'occhio gli cadde sulla scrivania di David e gli parve che ci fosse una piccola sroporzione tra l'altezza del cassetto e la sua profondità interna.
"Forse sono semplicemente paranoica" pensò. E tuttavia, che aveva da perdere?
Afferrò un tagliacarte, cominciò a scardinare il fondo del cassetto: sotto il legno scheggiato appariva qualcosa. Si rese conto allora che il cassetto aveva un piccolo doppio fondo, dentro il quale era nascosta una busta.
L'aprì.
Dentro c'erano tre passaporti falsi: uno a nome suo, uno di suo figlio, uno di Aston, e tre biglietti di sola andata per l'America. Su un lato della busta, una piccola annotazione con la calligrafia di David "soldi sporchi usati a fin di bene".
Nient'altro.
Estrasse l'accendino, e diede fuoco a quello di Aston.
Lei e il bambino sarebbero partiti quella sera stessa.
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Berlino, dicembre 1989.

Quando Linda Morselli prese quell'aereo per Berlino, era già una scrittrice affermata da anni.
C'erano state tante occasioni nella vita in cui avrebbe voluto visitare quella città, anche solo per vedere quali erano i luoghi dove la madre che non aveva quasi conosciuto aveva consumato la sua vita fino a sparire o morire chissà dove.
Non le era mai venuto in mente di cercarla: dopotutto, se ne era andata quando lei aveva solo un paio di anni, per fuggire in cerca di scoop, di avventure o di chissà cosa, seguendo un politico russo, o qualcosa del genere...
Questo, almeno, le avevano raccontato i nonni.
Ma la telefonata che aveva ricevuto due giorni prima l'aveva incuriosita, affascinata, e le aveva fatto nascere un istintivo e inspiegabile desiderio di partire.
Alla stazione le venne incontro un uomo sui sessanta, forse qualcosa di più: di bell'aspetto e portamento rigido, nonostante un nonsochè di ingenuo e infantile negli occhi. Lo riconobbe subito dalla voce: il suo accento era spiccatamente inglese.
"La signora Morselli?" le disse, prendendole la valigia e stringendole la mano "Colonnello Edward Harper, molto lieto. Sono felice che lei sia venuta, nonostante il mio invito possa essere apparso - me ne rendo conto - un po' bizzarro. Ma spero che non si pentirà di questo viaggio..."
"Ha detto di avere notizie interessanti su mia madre..." disse lei "notizie che potevano essermi utili..."
"Esatto." rispose lui "Lei è una scrittirce, miss Morselli. Ed io ho una storia. Una storia che desidero che venga raccontata..."
Edward Harper portò Linda in un locale di Berlino in Postdamer Platz, proprio vicino alle macerie del muro.
Accanto a quei pezzi di pietra e cemento caduti, si respirava un'atmosfera di rinnovamento e di libertà, e Linda si trovò a pensare che l'aria di libertà poteva rendere piacevole anche una città coperta da un cielo così grigio.
"Una volta, in questo locale, sono stati seduti uno di fronte all'altro il mio superiore e l'uomo che ha amato sua madre profondamente e fino a rovinarsi la vita. Ma è giusto che lei sappia tutta la storia. Questa città, come saprà, è stata un crocevia di interessi, guerre silenziose, spionaggi internazionali, e di questa ragnatela indistricabile abbiamo fatto parte io, Bianca Morselli, e molti altri uomini che gli interessi segreti delle nazioni hanno cancellato dalla storia. Io sono stato membro del SIS per molti anni. Ci ho creduto, finché l'evidenza non mi ha fatto capire quanto siamo stati stupidi noi tutti a crederci. Come spia, ho pensato di fare il bene della mia nazione...come ciascuno dei miei avversari ha probabilmente pensato di fare il bene della propria. E per il bene della mia nazione, ho fatto cose anche moramlente sbagliate, ho ferito, ho ingannato, ho persino ucciso. Eppure, tutte le volte che mi guardo indietro, la persona per cui mi sento più colpevole è un ragazzo americano che ha avuto la sfortuna di lavorare contro di noi, di essere affezionato a colui che lo manovrava e...di innamorarsi di sua madre. Questa persona, quaranta anni fa, è morto con l'accusa di aver ucciso il suo socio e amico, e con un'etichetta politica sulle spalle che non gli apparteneva. A noi del sis andava bene così, perché nessuno doveva sapere che il realtà stava gestento un'azione di spionaggio contro di noi per conto degli americani: ne sarebbe nato un incidente diplomatico che a quei tempi la nostra nazione non poteva permettersi. Dunque, abbiamo contribuito a fare sì che questa versione funzionasse, ed abbiamo messo in giro notizie che contribuivano a rinsaldarola..."
Linda ascoltava interessata: sua madre era una spia, ed era stata amata appassionatamente da un'altra spia le ragioni della cui morte erano state insabbiate. Era una storia molto affascinante.
"Perché mi racconta questo?" chiese.
"Perché sto morendo" disse Harper "quindi non mi interessa cosa sarà di me. Voglio ripulirmi la cosicneza. E voglio che tutti noi abbiamo nella storia il ruolo che ci spetta: che sia eroico o vile, non ha importanza. Siamo uomini che la storia ha travolto e ha costretto a scelte anche dolorose...è giusto che questo venga fatto sapere...almeno adesso..." guardò il muro caduto e sorrise "Non si rinasce sulle bugie: si rinasce sulla verità"
Linda sorrise ed attaccò il suo registratore, e Edward Harper cominciò dall'inizio a raccontare tutta la storia che conosceva: del comitato di salvezza internazionale, dove sia lui, che Bianca e David lavoravano, delle sue minacce a David per arrivare a Brian Campbell, di James Dombrowski e di come aveva incastrato David proprio a causa dell'aver accettato di fare il doppiogioco con loro, credendoli dell'HVA e pensando così di fare il bene di Bianca...dell'amico ebreo che forse era anch'egli una spia, e della morte di sua madre, che aveva voluto giocare con troppe agenzie di spionaggio insieme, ed aveva finito per farsi amare troppo dall'uomo sbagliato ed odiare troppo da troppi altri uomini...
Alla fine del racconto, Linda Morselli sorrise.
Linda continuerà a fare ricerche e, scavando a fondo, scoprirà che quanto gli ha raccontato Harper corrisponde a verità, senza alcun tipo di gioco, ricatto o sotterfugio.
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[size=20]THE END[/size]

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