Ecco, non ci avevo mai pensato in quei termini, ma mi sa che Moreno ci ha visto bene. Avevo sempre pensato al fatto che gli indizi fossero dei possibili fili di trama che dovessero collegarsi il più possibile, e il fatto che quelli che rimangono sfilacciati non siano un problema fosse dovuto in parte al senso generale di mistero e in parte al fatto che, non essendo davvero un gioco di investigazione procedurale, a fine partita nessuno se ne ricordi davvero. Invece, mi sa che la sua è una lettura più corretta: i tre indizi per scena sono le tre possibili strade che il Lettore può seguire nella storia. Scegliere quali indizi seguire e quali ignorare fa parte dell’agentività di quel giocatore, e va benissimo così. In questo modo, il Lettore diventa coautore della storia di mistero al pari della Verità.
Riallacciandomi a quello che dice Nicola, invece, vedo spesso lo stesso problema. Ossia, la gente legge “investigazione”, “mistero”, ecc., smette di ragionare, diventa ossessionata da quelle sciocchezze procedurali delle quali ci hanno imbottito alla TV, con tonnellate di serie TV procedurali, e nei giochi di ruolo, con la vulgata investigativa che, grazie a Il richiamo di Cthulhu, va avanti dal 1981, e si dimentica che, spesso e volentieri, il concetto di mistero e di investigazione, nelle opere di narrativa, è anche un semplice espediente narrativo, appunto. La cosa diventa tanto più assurda quanto più uno pensa che in questi giochi non c’è davvero nessun mistero da risolvere, dal momento che è tutto emergente. Insomma, in qualche modo tu giochi per creare la soluzione del mistero, non per scoprire una soluzione creata a monte da qualcun altro. Ecco perché dovremmo cominciare a ragionare in maniera meno convenzionale, quando ci approcciamo a questi giochi.