Gente Che Gioca > Sotto il cofano
Ritualità e riti di passaggio
Patrick:
Sono un po' confuso, e quindi ti chiederei un chiarimento: non capisco a che livello parli di "riti". Sono riti eseguiti dai giocatori, al tavolo (tipo, tirare i dadi in un certo modo, o consocere l'ambientazione)? Sono riti eseguiti dai personaggi (uccidere un mostro, conquistare la dama,...)?
E il "ritorno", è ai personaggi o ai giocatori?
Cioè, in cosa consistono ad esempio questi riti, come si fanno secondo te, cosa si ottiene, e perchè è importante?
Gabriele Baldassarre:
--- Citazione da: Patrick - 2014-09-01 14:23:28 ---Sono un po' confuso, e quindi ti chiederei un chiarimento: non capisco a che livello parli di "riti". Sono riti eseguiti dai giocatori, al tavolo (tipo, tirare i dadi in un certo modo, o consocere l'ambientazione)? Sono riti eseguiti dai personaggi (uccidere un mostro, conquistare la dama,...)?
E il "ritorno", è ai personaggi o ai giocatori?
Cioè, in cosa consistono ad esempio questi riti, come si fanno secondo te, cosa si ottiene, e perchè è importante?
--- Termina citazione ---
All'inizio pensavo anche io soltanto ai riti eseguiti dal personaggio, che hanno un ritorno gratificante al giocatore (posto che ci sia una certa empatia tra giocatore e il suo personaggio). E questi sono di fatto dei "surrogati" di riti di passaggio ancestrali, laddove questi riti non siano più socialmente accettabili, condotti da personaggi eroici (anche in senso negativo).
Pero' Simone mi ha fatto riflettere e osservare che anche i giocatori sono accumunati da rituali collettivi, per esempio la conoscenza profonda e una fiducia incondizionata in una certa cultura di genere (o anche solo di una ambientazione, un regolamento complesso, ecc.). Un collante FORTISSIMO tale da tenere sulle sedie, seduta dopo seduta, persone anche se di simile estrazione culturale, ma con giochi effettivamente primitivi e incoerenti.
Scenari opposti ma mossi dalla stessa necessità di comunicare, penso per desiderio di affermazione ed accettazione.
In effetti si dice spesso che i giochi che richiedono una costanza seriale sono un po' passati di moda e che per coinvolgere le persone piu' giovani ci vogliono giochi dall'ingresso meno ripido o dalla preparazione piu' breve, perché i ventenni di oggi (estremizzo) non hanno voglia di eccessivi sbattimenti o non hanno tempo o cose del genere.
Eppure non credo che i ventenni del decennio d'oro del gdr tradizionale (tra cui io stesso) fossero meno impegnati dei ventenni di oggi, o che avessero meno cose da fare. Ma a questi non infastidiva il vedersi settimanalmente a casa di Mario per giocare, per dirci, al Richiamo di Chthulhu. Anzi, avvertivano (avvertivamo) un certo disagio malinconico quando si rompeva questa ritualità.
Quello che è cambiato in questo ricambio generazionale è l'accesso alla cultura di genere, e il suo sdoganamento fino ad un mezzo espressivo "quasi" mainstream. Cosi', rotto il senso di appartenenza ad una elite, di colpo la serialità diventa una palla al piede ed i giochi mostrano la loro incoerenza (che hanno sempre avuto, ma a cui nessuno aveva mai seriamente pensato).
Davide Alberici:
Rapida osservazion en passant, poi vi regalo un bel muro di testo dei miei
La ritualità c'era 10 anni fa
adesso ho forti problemi a far capire alla gente che non è un videogame punta e clicca e richiede una liturgia per funzionare, turni e quelle robe lì, prima non c'era bisogno da spiegarlo
Eventurali esempi li rimando a dopo
Non so se le cose sono così perché il mondo è diventato punta e clicca
In questo mondo non so se il bisogno di sacro si è estinto o si è evoluto
Simone Micucci:
Davide sai che io non ho avuto mai problemi a far capire a "under 20" che un gioco di ruolo non è un videogame punta e clicca?
Magari c'è bisogno di spiegarlo perché c'è bisogno di spiegare le regole di qualsiasi gioco. Non tutti i giochi di ruolo hanno un vero e proprio concetto di "turni". ^_^
E in compenso ci sono videogiochi che concetti di "turno" ce l'hanno.
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