Grazie Moreno per il richiamo, cerco di ripartire dal gioco concreto, ma non ti nascondo delle difficoltà in tal senso, ed è più probabile che riuscirò meglio a focalizzare solo nel corso della discussione.
Sul discorso ritualistico, credo che gli esempi citati da Simone siano molto calzanti e definiscono una certa ritualità, ma non hanno una attinenza al gioco in senso stretto (sembrano più un "requisito" sociale, mentre invece io pensavo a qualcosa che "sostituisse" una dinamica ritualmente riconosciuta).
In termini di gioco concreto ricordo bene, una volta di molti anni fa, di quando dal mio gruppo principale di CoC si creò uno "spinoff" che comprendeva me, il GM e un altro giocatore e che era costruito allo scopo di iniziare altri amici al gdr (una sorta di "anticamera"). Complice anche il gioco, quel CoC che si basa molto sulla conoscenza del mondo/miti come metro per misurare il proprio riconoscimento come giocatore nel gruppo, ricordo bene che si era creata una specie di inconsapevole complicità sorniona tra noi due giocatori e il GM. Complicità che, peraltro, minava il contratto sociale delle new entry, "escluse" inconsciamente perché non iniziate a quei rituali.
Mi sto sforzando di chiudere perché queste digressioni sono profondamente offtopic, ma ammetto che sarei tentato di continuare! Chiudo invece citando un articolo trovato in rete:
Il rito viene inteso come il momento in cui l'aggregazione e la polarizzazione psicologica che ne deriva fanno sì che ogni individuo si senta pervaso dalla forza collettiva che solitamente percepisce come esterna: da ciò lo stato di "effervescenza" collettiva che si determina. Riti come il sacrificio, la festa, il potlatch, ecc., interrompono l'andamento quotidiano (profano) dell'esistenza, istituendo un momento comunicativo più intenso e ricco di significati per la comunità e l'individuo, con una spinta verso il sacro, il superamento dei limiti dell'individuo, eccetera;
L'articolo continua dicendo come la ritualità sia un elemento indispensabile per la comunicazione, e questa stessa sia un mezzo imprescindibile per l'identificazione univoca dell'individuo.
Questo mi porta a pensare che esista un canone codificato nel gioco di ruolo e
un unico intento sociale fortemente spirituale che spinge a giocare.
Il che ha delle implicazioni forti. Tanta teoria di gioco si basa sul bisogno di condividere un certo tipo di creatività, mentre io penso che invece il bisogno sia piuttosto da ricercare in questa specie di sacro furore comunicativo.
Sul rito di passaggio, non è una esperienza molto significativa, ma è una esperienza: quando facevo il GM per proporre il GdR che ho creato e che tempo fa avevo in vendita, mi sono trovato a narrare per gruppi molto eterogenei, di cui molti adolescenti e quindi poco in target con lo storytelling che io avevo in testa. Masterizzare degli adolescenti lo avevo gia' fatto molti anni prima...ma quando ero adolescente anche io

Cosi', mentre io non facevo che esporre un copione senza alcun trasporto emotivo e loro si divertivano a piu' non posso, mi sono trovato a chiedermi: perché gli adolescenti giocano a uccidi il mostro, arraffa il tesoro e scappa? Perché la maggior parte di loro, con una frequenza probabilisticamente inspiegabile, mi ha chiesto di essere accompagnata da un famiglio o cmq una fiera in qualche modo assoggettata?
In quale momento dello sviluppo un individuo smette di avere un immaginario complesso e non lineare tipico dell'infanzia e, se vogliamo, regredisce al desiderio di narrare un immaginario cosi' barbarico?
Ritengo che sia un modo per esprimere virilità, che a sua volta simboleggia l'avvenuto passaggio all'età adulta. Prima l'etica cristiana e poi la migliorata cultura (che ha eliminato il "rito" per un adolescente di consumare il suo primo atto sessuale con una navigata prostituta) hanno ridotto queste occasioni tribali, e la finzione interpretativa ha riempito questi spazi. Anche il famiglio è collegato a questo archetipo ancestrale, perché simboleggia la natura assoggettata.
Anche questa considerazione mi porta a pensare che il bisogno di narrare le versioni ideali (o degenerate) di sé stessi possa essere scandito da altrettanti bisogni spirituali.
Spero di riuscire a ritornare nel solco del concreto quanto prima, per non prendermi un altro rimprovero da Moreno

Comunque, la domanda principale è: tutto cio' può aiutare a creare giochi piu' appaganti per i giocatori?
EDIT:Raccolti i suggerimenti di Lavinia e rimosso ogni riferimento alla religione, in quanto in ogni caso rappresentava un elemento non importante o comunque non centrale della discussione. Corretti anche alcuni mistypes e orrori grammaticali
