Gentechegioca
Archivio => General => Topic aperto da: Moreno Roncucci - 2010-05-31 18:56:36
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Il thread sul Wish-fulfillment mi sta dando spunti per un sacco di thread, questo è solo il primo...
Da questo thread: http://www.gentechegioca.it/vanilla/comments.php?DiscussionID=2711&page=1#Item_40
[cite]Autore: Korin Duval[/cite][p]Dunque, vediamo un po' come metterla... Da qualche parte (che non riesco a trovare -_- ) si discuteva di come aumentare "il soprannaturale" fosse un buon modo, tendenzialmente, di aumentare la "distanza emotiva" dalla storia (ovvero, "giocare più safe", come si usa dire).[/p][p]Se giochi un personaggio più "vicino a te", è molto più facile, ceteris paribus, il "sentire" il personaggio, provare empatia per esso, immedesimarsi, e quindi ricevere emozioni "forti" dal gioco.[/p]
[cite]Autore: khana[/cite][p]Rileggendo queste due frasi (con cui a prima vista concordo) mi viene però in mente che... aggiungendo sempre più "2" al personaggio, basta aggiungere sempre più "2" anche ai suoi problemi che il livello di introspezione non cambia.
Diventa questione di gusto e di "color", ma forse il problema del distacco personaggio/giocatore è tanto forte quanto più esiste un divario tra il "figonzo" e i problemi che incontra.[/p][p]Per riprendere l'esempio di Airone... il Batman di Darknight è un sociopatico... ma le sue nemesi sono il Joker e Harvey Dent... non certo due personalità da "ragazzo della porta accanto". Il confronto regge perché "l'equipaggiamento figo ++" di Batman non lo rende superiore ai "due problemi" che sta affrontando.
Sulla scheda di Batman ci sarà un tratto "un sacco di gingilli spacchiu-tronici sempre pronti. Neri.".
Sulla scheda di Joker ci sarà "passo per scemo, ma so come gira il mondo e te ne accorgi quando te l'ho già messo..."
Sulla scheda di Harvey Dent ci sarà "tutti i miei scrupoli sono bruciati con la mia mezza faccia".
E tutti questi tratti valgono lo stesso "modificatore" nel sistema.[/p]
[cite]Autore: Mauro[/cite][cite]Autore: Airone[/cite][p]faccio fatica a vedere come aggiungere delle capacità "fighe" al personaggio possa essere qualcosa di non positivo[/p]
[p]Ci possono essere varie motivazioni; per esempio, aggiunge un filtro: è piú difficile sentire quello che capita a personaggi che sono lontani da noi, e il sovrannaturale è sempre una valvola di sfogo. Per fare un esempio:[/p][p]•Grey Ranks: L'amatissimo PNG muore? Esperienza devastante.
• D&D: L'amatissimo PNG muore? Chi se ne frega, tanto posso resuscitarlo.[/p][p]In Cani il sovrannaturale è uno sfogo proprio per questo: seil giocatorenon sopporta quello che capita nella città, alzando il sovrannaturale può persino riscrivere gli eventi.
È vero che aumentando il PG basta aumentare anche i PNG per mantenere il rapporto, ma... Batman contro Joker? Superman contro Doomsday? Ra contro Zeus? Si riesce ancora a empatizzare con personaggi cosí lontani dalla nostra realtà quotidiana?
Certo: si possono fare personaggi profondissimi, con mille problemi, ma sentire questi problemi diventa piú difficile, arrivando a personaggi che sono non umani (e sí: Batman non ha super-poteri ed è Umano, ma non è che sia piú vicino di tanto all'Umano medio, rispetto a Superman).
Grey Ranksè un gioco che voglio provare da quando ho scoperto che esiste; se parlasse di super-bambini che lottano con il super-esercito che ha invaso il loro pianeta... mi attirerebbe già di meno.
Per quanto mi riguarda, girerei la domanda: perché aggiungere capacità fighe dovrebbe necessariamente essere positivo?[/p]
[cite]Autore: khana[/cite][cite]Autore: Mauro[/cite][p]Ra contro Zeus? Si riesce ancora a empatizzare con personaggi cosí lontani dalla nostra realtà quotidiana?
Certo: si possono fare personaggi profondissimi, con mille problemi, ma sentire questi problemi diventa piú difficile, arrivando a personaggi che sono non umani (e sí: Batman non ha super-poteri ed è Umano, ma non è che sia piú vicino di tanto all'Umano medio, rispetto a Superman).[/p]
[p]Omero non sarebbe molto d'accordo con te.
Nella logica della poetica greca invece, l'allontanamento dalla vita quotidiana aiuta a focalizzare l'attenzione sul topos e quindi sull'universalità dei problemi, secondo l'idea che "se anche Zeus ha questi problemi, è normale che li abbia anche io".
Fa parte dei processi di catarsi (che è un modo come un altro per dare un nome all'unsafe)[/p]
In questa discussione sono d'accordo con quello che dicono Korin e Mauro, ma ho preferito splittarla perchè si va decisamente off-topic.
Io credo che uno dei motivi per cui "Deadalus" di Joyce mi colpisce di più dell'Iliade, è proprio la dimensione umana (che fra l'altro è anche il perchè L'odissea mi colpisce più dell'Iliade). E che la conquista data dalla nascita del romanzo occidentale, Cervantes in poi (ma si potrebbe anche partire da Boccaccio) rispetto all'"epica" precedente, non sia stata una cosa a "somma zero", ma abbia consentito di scrivere storie che parlano dell'uomo e dell'umanità più da vicino e in maniera più dolorosa.
Il titolo di questo thread deriva da Alan Moore. Watchmen è stato, nella storia del fumetto, il culmine di un processo di "riappropriazione" da parte del fumetto supereroistico americano della "capacità di critica della realtà". Negli anni 50, dopo l'arrivo del comics code, solo al fumetto escapista per bambini era stato consentito di sopravvivere. Ancora oggi è uno shock, per chi pensa a quegli anni come anni in cui si leggeva solo Batman o Topolino, leggere cose tipo il Frontline Combat di Kurtzman, in cui venivano messe a fumetti storie vere raccontate dai reduci della Corea, o storie antimiliariste in cui si raccontava la vita dei contadini coreani bombardati dagli aerei USA. Con la scusa (come sempre) del "salvare i bambini", sono QUESTI i fumetti che sono stati cancellati, eliminati, censurati, e da qui è arrivata la supremazia dei Supereroi (che fino a quel momento erano in crisi nera, rimanevano solo Batman, Superman e Wonder Wonan, tutti gli altri erano stati chiusi): erano l'unico genere tanto "escapista" da non avere NESSUN contatto con la realtà e quindi potevano essere pubblicati tranquillamente.
Ma poi arrivano gli anni 60, arrivano i supereroi che non hanno i soldi per campare. E poi Harry, l'amico di Peter Parker, si droga (precedendo di qualche mese Speedy e la DC Comics), e poi è via via un dilagare, la realtà si fa fatica a contenerla ed entra da tutte le parti. Fino ad arrivare a Watchmen.
Watchmen, all'apparenza, pare la dimostrazione che i superpoteri non sono un limite. Che puoi parlare veramente di TUTTO con i supereroi. Che non è vero un tubo che ti servono storie "di gente reale".
E allora perchè il suo autore, Alan Moore, non ha mai più usato un supereroe per raccontare una storia "seria", ma solo per storie umoristiche, o per parlare in maniera meta-narrativa di fumetti di supereroi? Perchè subito dopo ha scritto lo sfortunato "Big Numbers" e non altri supereroi (che gli sarebbero stati pagati a peso d'oro)?
Mi dispiace di non avere il link ad una versione online dell'intervista che fece, all'epoca, al comics journal (sono sicuro che almeno una volta c'era in rete, io l'ho letta all'epoca sulla rivista ma poi l'ho vista online, almeno citata parzialmente). Se qualcuno che l'ha può postarlo? Il link a quell'intervista dove, di fronte a questa domanda rispondeva (cito a memoria) "perchè alla fine, per quanti temi importanti gli metti, Watchmen parla ancora di gente in calzamaglia. E questo ha sabotato il risultato finale"
Alla fine, è gente in calzamaglia. Non li puoi prendere più di tanto sul serio. Per quanto io ADORI Watchmen, per la storia, per la sua perfezione formale, per la genialità della sua costruzione, non mi ha colpito, "dentro", quanto storie scritte peggio, senza tanta abilità, ma senza calzamaglie, come per esempio Maus o Safe Area Gorazde.
Per questo Moore, una volta sentita di più la necessità di raccontare storie più profonde, ha abbandonato supereroi e fantasy.
Parlando di giochi... davvero giocare una serie in cui gli androidi lottano per la loro libertà può avere, per un giocatore americano, la risonanza morale di una storia di Steal Away Jordan ambientata nelle piantagioni della città dove vivi? E allora come mai giocatori che non si facevano problemi a giocare eroici combattenti per la libertà contro la dominazione degli Schiavisti di Vega, tremavano e cercavano scuse per non giocare a Steal Away Jordan alle convention? (tanto che Julia ha postato ben più di un rant al riguardo?)
Il fantasy E' un meccanismo di "presa di distanza". Non a caso è inserito proprio come tale in alcuni giochi (l'esempio classico sono i dadi neri in It Was a Mutual Decision: in ogni momrnto del gioco qualunque giocatore, di sua volontà, può usarli per trasformare una terribile e terrificante storia di una separazione fra due persone che si amavano, in una tranquilla e rassicurante storia di Topi Mannari che divorano esseri umani... )
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Uhm, però non uscendo dal contesto di Alan Moore, V è un supereroe. Ci sono punti dove arrivi a sospettare che sia soprannaturale. Diresti che non ti colpisce dentro?
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Il punto non è solo supereroe sí/supereroe no, ma quanto globalmente il personaggio sia vicino alla persona: l'Uomo Ragno è un supereroe, ma quanto per un suo errore la fidanza muore... chiunque abbia causato per errore la morte della fidanzata (magari cercando invece di salvarla) credo in quel momento lo senta estremamente vicino alla sua esperienza; questo però non è dovuto tanto al supereroe, quanto alla vicenda. Se invece di essere un supereroe avesse fatto lo stesso lavoro della persona, credo la cosa sarebbe stata ancora piú sentita.
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Il riassunto è "le storie che ti colpiscono davvero sono quelle che parlano di persone comuni con problemi veri"?
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Il fantasy E' un meccanismo di "presa di distanza".
Su questo sono molto d'accordo anche io, ma metto un distinguo.
Il "fantasy" è caratterizzato da una forte distinzione di bene e male, spesso (molto spesso) anche associata a specifici caratteri estetici che identificano l'appartenenza ad uno dei due estremi, di cui non esiste mai via di mezzo se non nella forma dell'ignaro passante, il quale non essendosi schierato non ha diritto ad essere eroe.
Nel Fantasy si parla di "campioni" e l'Eroe è il "campione del bene". Che alla fine vince, -perché- rappresenta il bene.
Il fatto invece che qualcuno abbia una spada, un'armatura e viva in un mondo mutuato dal medioevo non è necessariamente "fantasy".
Prendete ad esempio un film come Excalibur (http://www.imdb.com/title/tt0082348/); in questo film i personaggi sono molto "vivi" e "reali".
E infatti spesso passano (e con estrema agilità) la linea tra bianco e nero.
Quello che secondo me rende piatti i personaggi e il non avere motivazioni "reali" dietro alle spalle, essere etichettati come "Eroe" perché l'ha deciso qualcuno da fuori. Mentre essere "Eroe", in qualsiasi contesto/setting ci possiamo inventare, dovrebbe essere un arrivo, come un arrivo dovrebbe essere anche il diventare "anti-Eroe" o "cattivo".
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Io sto dalla parte di Khana, invece.
Non vedo il fantasy come un meccanismo automatico di "presa di distanza," ma come una semplice permutazione di un concetto che può essere trattato in mille modi. Certo, ci sono persone che vi si rifugiano per non affrontare i problemi, ma sono loro a volerlo fare sfruttando la differenza di ciò che è fantastico con la realtà, non è il genere di per sé ad essere "safe."
Perché l'importante è quanto una situazione, un problema risuonino con l'emotività della singola persona: il suo vissuto, la sua interiorità, la sua psiche devono in qualche modo essere connessi con il problema che si vuole trattare, altrimenti anche la realtà diventa safe.
Il concetto di "play close to home" ha senso e lo appoggio interamente, ma penso ci siano anche altri modi per trattare una tematica.
Faccio un esempio, o almeno ci provo (anche se non è un AP): ipotetica ambientazione fantasy in cui personaggi con qualcosa di diverso rispetto ad una norma (superpoteri, mutazioni, diversa natura, quel che è) subiscono vessazioni da parte del resto della popolazione. E' o non è, per esempio, una versione del concetto "razzismo" in salsa fantasy, che potrebbe essere trattato come "rom vs. italiani in Italia nel 2000" o "bianchi vs. neri in Sudafrica durante l'apartheid?"
Se a me la molla emotiva scatta anche nel mondo fantasy, non vedo perché la seconda o la terza opzione debbano essere by default più unsafe.
EDIT: X-post con tipo l'Universo.
-MikeT
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[cite]Autore: Mauro[/cite][p]Il punto non è solo supereroe sí/supereroe no, ma quantoglobalmenteil personaggio sia vicino alla persona: l'Uomo Ragno è un supereroe, ma quanto per un suo errore la fidanza muore...chiunqueabbia causato per errore la morte della fidanzata (magari cercando invece di salvarla) credo in quel momento lo sentaestremamentevicino alla sua esperienza; questo però non è dovuto tanto al supereroe, quanto alla vicenda. Se invece di essere un supereroe avesse fatto lo stesso lavoro della persona, credo la cosa sarebbe stata ancora piú sentita.[/p]
Non sono assolutamente d'accordo. Se ho entrambi i genitori non posso piangere per Bambi? Se non sono mai stato in un campo di concentramento non posso capire Se questo è un uomo?
Io credo invece che la buona narrativa sia in grado di trascendere questo limite dell'esperienza, per cui io, anche se non sono un'attrice lesbica, posso sentire le parole di Valerie scavarmi dentro.
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[cite]Autore: Mr. Mario[/cite]Se ho entrambi i genitori non posso piangere per Bambi? Se non sono mai stato in un campo di concentramento non posso capire Se questo è un uomo?
Dove ho detto che se non si è provata l'esperienza allora non si prova nulla?
Il mio discorso non è "Solo chi ha provato quell'esperienza può sentirla", ma al massimo "Chi l'ha provata la sente di piú"; e questo credo sia vero, perché in quel caso l'opera va a toccare qualcosa di vissuto e sofferto personalmente: non solo si piange per Bambi, ma si sa anche personalmente cosa prova, perché lo si è vissuto sulla propria pelle. E dubito che questo non abbia effetto, nell'impatto che quella scena ha su una persona.
Oppure mi vuoi dire che tu, che non sei stato in un campo di concentramento, puoi capire Se Questo è un Uomo meglio di (aggiunta: o come) chi in un campo di concentramento ha sofferto per anni e ha perso chi gli era caro? Che provi le stesse sue cose?
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[cite]Autore: Mr. Mario[/cite][p]Non sono assolutamente d'accordo. Se ho entrambi i genitori non posso piangere per Bambi? Se non sono mai stato in un campo di concentramento non posso capire Se questo è un uomo?[/p][p]Io credo invece che la buona narrativa sia in grado di trascendere questo limite dell'esperienza, per cui io, anche se non sono un'attrice lesbica, posso sentire le parole di Valerie scavarmi dentro.[/p]
Assolutamente.
Però se quello che si vede in Fiction(Gdr, Fumetto, Film che sia) l'hai vissuto nella tua vita, la cosa ti toccherà molto di più.
Io ad esempio, sono uscito distrutto da Flower For Mara, ma perché il lutto è stato tristemente un entità molto forte nella mia vita, una persona con problemi d'obesità potrebbe toccare moltissimo Fat Man Down, ad un ragazzo che si è appena lasciato con una ragazza a cui teneva molto potrebbe toccare tantissimo dubbio...
Ma questo non vuol dire che se un ipotetico ragazzo X senza lutti alle spalle giocasse a Flower, l'esperienza lo lascerebbe indifferente.
[Crosspost con Mauro]
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Per quanto io ADORI Watchmen, per la storia, per la sua perfezione formale, per la genialità della sua costruzione, non mi ha colpito, "dentro", quanto storie scritte peggio, senza tanta abilità, ma senza calzamaglie, come per esempio Maus o Safe Area Gorazde.
Citando queste però fai una netta distinzione. Watchmen parla di fiction, cruda, realistica, etc ma fiction. Maus ti porta a fatti legati allo sterminio degli ebrei nella seconda guerra mondiale. Safe Area Gorazde (che non ho avuto lo stomaco di finire), come gli altri di Joe Sacco, sono giornalismo, quindi anche qui stiamo parlando della realtà vera, di gente massacrata veramente.
Il fantasy E' un meccanismo di "presa di distanza".
Su questo concordo, anche senza le aggiunte di Davide. Semmai preciserei che non allontana di un valore fisso, ma varia in relazione a quanto uso fai di elementi fantastici (e le calzamaglie lo sono :P ).
Io credo invece che la buona narrativa sia in grado di trascendere questo limite dell'esperienza, per cui io, anche se non sono un'attrice lesbica, posso sentire le parole di Valerie scavarmi dentro.
Concordo in parte, perchè quello che ci fa male è il fatto che sentiamo tale realtà vicina a noi. Ci scaverebbero dentro ugualmente se fosse ambientata in un setting storico ma lontano, come, che ne so, l'antica babilonia?
Nei romanzi fantasy leggiamo di stragi, battaglie, massacri, etc, e di solito non ci toccano troppo. Se invece fossero narrati come fatti veri e vicini tutto altro.
Faccio un esempio. Leggiamo in una storia che l'esercito del bene stermina un villaggio di innocenti, magari per sbaglio, o magari perchè era necessario. Ci può dare fastidio, ma se si tratta di goblin probabilmente ci lascia indifferenti. Poi leggiamo della strage di Falluja e ne vediamo le immagini, magari anche sotto forma di fiction come potrebbe essere un fumetto di Joe Sacco e ne rimaniamo sconvolti. Eppure i fatti sono gli stessi.
EDIT: crosspost con mauro e 3evil
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La questione è che appunto Watchmen comunque parla di uomini in calzamaglia. Senza di loro viene a cadere la trama. Diverso è il caso di una trama che viene volutamente supereroizzata (o fantasyzzata). Vedi Avatar.
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Sono anche io dell'idea che anche in un contesto fantastico si possano affrontare e toccare problemi reali ed emozionarsi.
Nello specifico per Alan Moore, a me di Watchmen ad esempio non è piaciuto molto il finale (potete picchiarmi :p) perché le reazioni mi sono sembrate poco reali e coerenti, mi è sembrato tutto molto forzato. Invece il fatto che fossero eroi o meno non mi ha toccato più di tanto.
Magari è colpa di un pregiudizio? Se è un fumetto non può essere serio, se è un fantasy non può essere serio, se è animato non può essere serio, se ci sono dei combattimenti non può essere serio e via dicendo...
Secondo me no, a patto che il contesto non-reale sia di supporto al tema da trattare, non lì da sfondo giusto per bellezza. Creare una storia in un contesto fantasy che potrebbe benissimo essere ambientata nel mondo reale senza nessuna modifica sostanziale va da se che è solo uno spreco...
EDIT: Ecco, Triex ha detto quello che ho detto nell'ultimo paragrafo in modo più efficace :D
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[cite]Autore: Mark[/cite]Sono anche io dell'idea che anche in un contesto fantastico si possano affrontare e toccare problemi reali ed emozionarsi.
Appunto, un contesto fantasy "tocca", ma spesso e volentieri non approfondisce.
Prendiamo un film tipo "2012", si e no, alla fine del film rimane un miliardesimo della popolazione, ma... è fregato qualcosa a qualcuno? No.
Quello che ti tocca davvero, che ti fa tifare per il "buono" di turno, sono le piccole questioni, il super buono salverà il suo amico? Il super buono riuscirà a dichiararsi alla ragazza di cui è follemente innamorato? La nonna di caio riuscirà ad uscire dal coma?
I super poteri, i draghi colossali, i demoni terrificanti, la popolazione del multi universo... si, divertente, ma alla lunga: "Chi se frega!"
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[cite]Autore: 3evil[/cite]Appunto, un contesto fantasy "tocca", ma spesso e volentieri non approfondisce.
Ma questo è un problema di chi il fantasy lo fa, non di chi lo vive...
-MikeT
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[cite]Autore: 3evil[/cite][cite]Autore: Mark[/cite][p]Sono anche io dell'idea che anche in un contesto fantastico si possano affrontare e toccare problemi reali ed emozionarsi.[/p]
[p]Appunto, un contesto fantasy "tocca", ma spesso e volentieri non approfondisce.[/p][p]Prendiamo un film tipo "2012", si e no, alla fine del film rimane un miliardesimo della popolazione, ma... è fregato qualcosa a qualcuno? No.
Quello che ti tocca davvero, che ti fa tifare per il "buono" di turno, sono le piccole questioni, il super buono salverà il suo amico? Il super buono riuscirà a dichiararsi alla ragazza di cui è follemente innamorato? La nonna di caio riuscirà ad uscire dal coma?[/p][p]I super poteri, i draghi colossali, i demoni terrificanti, la popolazione del multi universo... si, divertente, ma alla lunga: "Chi se frega!"[/p]
Non vedo come le due cose non possano convivere...
Cioè demoni terrificanti e draghi ma allo stesso tempo sapere se il tipo riuscirà a dichiararsi alla ragazza o a salvare l'amico? Perché no? (anzi diciamo è quasi sempre così, visto che aiuta ad empatizzare con i protagonisti e a sentirli più vicini, a prescindere dal genere)
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[cite]Autore: MikeT[/cite][cite]Autore: 3evil[/cite][p]Appunto, un contesto fantasy "tocca", ma spesso e volentieri non approfondisce.[/p]
[p]Ma questo è un problema di chi il fantasy lo fa, non di chi lo vive...[/p][p]-MikeT[/p]
Nel momento che con un incantesimo posso cambiare quello che ho fatto, posso far rinascere gli amici che "hanno preso un altra strada", posso far innamorare chi voglio di me, ecco che va a farsi benedire il contatto con la realtà e nasce il sense of wonderful.
Il che non è un male capiamoci, è solo qualcosa di diverso.
Edit:
[cite]Autore: Mark[/cite]Cioè demoni terrificanti e draghi ma allo stesso tempo sapere se il tipo riuscirà a dichiararsi alla ragazza o a salvare l'amico? Perché no? (anzi diciamo è quasi sempre così, visto che aiuta ad empatizzare con i protagonisti e a sentirli più vicini, a prescindere dal genere)
Certo che posso convivere, forse non sono stato chiaro nel mio post
Ho detto che le scene dove ci saranno draghi e demoni, ti divertiranno, ma non susciteranno mai la tua empatia, non potrai mai sentirti vicino a situazioni del genere.
Alla fine della grande strage, non te ne fregerà nulla, sarà mero colore, quello di cui t'importerà saranno le piccole e umane vicende dei protagonisti.
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una risosta per te trevor, la mia vita col padrone in ambientazione classica, gotica e fatasy
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[cite]Autore: Fra[/cite][p]una risosta per te trevor, la mia vita col padrone in ambientazione classica, gotica e[span style=text-decoration:underline;]fatasy[/span][/p]
Tenevi l'anti-typo nel pizzetto?
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[cite]Autore: Fra[/cite][p]una risosta per te trevor, la mia vita col padrone in ambientazione classica, gotica e fantasy[/p]
Mi provo a rispiegare.
Evidentemente ho scritto davvero male.
Quello che volevo dire, NON è che nel fantasy non ci possano essere scene che suscitano la tua empatia.
Dico che le tematiche tipiche del fantasy: Draghi, Demoni, Super Magie e viaggi nel tempo non ti saranno mai vicine e famigliari.
Ad un personaggi fantasy ti senti vicino solo quando affronta drammi reali, che potresti vedere nella vita di tutti i giorni.
Sacrificare la tua vita per il multiuniverso è banalità, non eroismo. Un normale ragazzo di 17 anni che supera il dolore della perdita dei genitori per aiutare i nonni malati è eroismo. Scegliere sacrificare la tua cariera per stare vicino a chi vuoi bene è eroismo.
Poi, oh, tutto in my opinion.
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Vorrei segnalare un fatto inerente la fantasy (perdonatemi, ma non riesco a concepirla come un sostantivo maschile ^_^): il suo vero tratto saliente consiste nella possibilità di inserire elementi altamente simbolici come "oggetti" concreti all'interno di una trama. L'esempio per eccellenza è Earthsea (seguono due megaspolierissimi):
L'ombra evocata da Ged nel primo romanzo è Ged. Lui se ne accorge solo dopo esserle fuggito per molto, molto tempo e averla inseguita per altrettanto. Solo chiamandola col proprio nome e riassorbendola (perché non veniva affatto dall'aldilà) riesce a salvarsi. Il significato è: "non esiste l'Inferno, il male è dentro di noi: siamo responsabili per le nostre azioni."
Nel terzo romanzo, dopo che il "cattivo" è morto, Ged e il giovane principe sono bloccati nel regno della mote. Ged ha perso i propri poteri e non può riportarli indietro. Il ragazzo si carica il vecchio mago sulle spalle e, assieme a lui, cammina verso le montagne del Dolore, le oltrepassa e ritorna nel mondo della vita. Il significato è: "nella vita, non importa a che punto sei, puoi solo andare avanti."
Cos'hanno di particolare questi elementi? Che sono fatti della fiction. L'ombra non è una metafora o un simbolo, è qualcosa di vero e reale che sfregia il giovane mago per tutta la vita. Le montagne del Dolore non sono un simbolo, ma sono realmente difficili da oltrepassare. La concretezza delle immagini rende più forte il messaggio: anche noi possiamo riconoscere l'ombra, anche noi dobbiamo oltrepassare le montagne del Dolore. In questi casi, la fantasy non è un modo di raccontare "safe", ma un modo di raccontare forte, diretto, che rimane impresso. E sottolineo in questi casi, non quando si tratta di robaccia come i romanzi di Drizzt o chissà che cosa, dove la trama è banale, la morale bigotta e tutto quanto è solo una scusa per mostrare l'equivalente scritto di una coreografia da film-tv italiano ambientato nel passato (avevo scritto "da wuxiapian", poi mi sono reso conto dell'orrenda boiata e ho cancellato); oppure di orrori pieni di sesso lesbico e teste che volano, dove il fantastico è lì solo per inserire il libro in una di quelle collane fantasy che vendono tanto.
Detto questo, certamente la fantasy non ha lo stesso tipo di forza emotiva della fiction "unsafe" realistica. Non è il suo settore.
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No, mi spiace ma non sono d'accordo con gli sviluppi del thread.
La realtà non è necessariamente migliore della fantasia, nemmeno sul piano artistico.
Non sono neanche d'accordo con la visione di Triex... Watchman parla di uomini in calzamaglia tanto quanto i Promessi Sposi parla di due popolani milanesi con difficoltà nuziali.
Esistono diversi livelli di lettura di un'opera. La capacità dell'autore sta nel saper attivare questa ricerca di profondità da parte del fruitore.
Se ci si ferma al primo livello, anche la Bibbia è abbastanza ridicola.
Watchman affronta i temi delle crisi esistenziali, della perdita degli ideali e del dimenticarsi di quando si era giovani e "liberi" perché non c'erano pensieri.
Il fatto che lo faccia con dei super-eroi è il lato "artistico", la capacità di Alan Moore di parlare di cose serie attraverso uno strumento che di norma parla di vendicatori mascherati duri e puri e col **** grosso.
Poi come sempre, è questione di gusti.
A me piace Ivanhoe, che di fatto da molti viene considerato il primo romanzo fantasy della storia e appartiene alla "letteratura per ragazzi", ma poi andando a scavare e a studiare anche la vita e il pensiero di Walter Scott si capisce che il romanzo parla dell'identità culturale, del sentimento di appartenenza ad un popolo, della lotta contro l'oppressione di un invasore e del ritenere questi, valori per cui valga la pena morire.
Eppure nel romanzo ci si trovano Robin Hood e altre figure.
Di contro, Dickens mi ha sempre tremendamente annoiato. Ma io personalmente non ho un grande senso della famiglia, quindi gli scritti di Dickens non sono in grado di smuovere molto. Per me quei temi non sono importanti.
Lo stesso discorso lo si può trasferire sui giochi.
Ci sono giochi per i quali mi colpiscono le tematiche, tipo NCaS, Ravendeath, Solipsist, Polaris o Cold City (giusto per non parlare sempre dei miei), e altri per i quali non mi si smuove nulla.
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Credo ci sia un equivoco di fondo: nessuno dice che il fantasy non possa essere toccante ed emoziante; il punto è piuttosto che il sovrannaturale fa da valvola di sfogo: se muore un figlio e posso riportarlo in vita, il dramma è molto ridotto.
Il discorso credo sia questo: un'opera fantasy toccante, trasportata in un contesto piú vicino a noi sarebbe piú toccante? Se invece di leggere della distruzione di una città inesistente leggo della distruzione che ho vissuto sulla mia pelle (direttamente, perché ci è morto qualcuno che conosco, ecc.), è piú toccante?
Vedi l'esempio di robur: [cite]Autore: robur[/cite]Leggiamo in una storia che l'esercito del bene stermina un villaggio di innocenti, magari per sbaglio, o magari perchè era necessario. Ci può dare fastidio, ma se si tratta di goblin probabilmente ci lascia indifferenti. Poi leggiamo della strage di Falluja e ne vediamo le immagini, magari anche sotto forma di fiction come potrebbe essere un fumetto di Joe Sacco e ne rimaniamo sconvolti
[cite]Autore: Klaus[/cite]non riesco a concepirla come un sostantivo maschile
Credo derivi da "il [genere] fantasy" e da "il fantastico".
[cite]Autore: khana[/cite]Poi come sempre, è questione di gusti.
A me piace Ivanhoe, che di fatto da molti viene considerato il primo romanzo fantasy della storia e appartiene alla "letteratura per ragazzi", ma poi andando a scavare e a studiare anche la vita e il pensiero di Walter Scott si capisce che il romanzo parla dell'identità culturale, del sentimento di appartenenza ad un popolo, della lotta contro l'oppressione di un invasore e del ritenere questi, valori per cui valga la pena morire.
Eppure nel romanzo ci si trovano Robin Hood e altre figure
Che io sappia Ivanhoe è considerato il primo esempio di genere storico... quanto ha di fantasy? Attenzione a non confondere una storia inventata con una storia fantasy: in Ivanhoe quanto sovrannaturale appare? Quante creature fatate? Quanta magia (nota: "magia", non "qualcosa considerato dai personaggi come magia": che Tizio sia accusato di stregoneria non lo rende uno stregone)?
Il fatto che ci sia un personaggio inventato, come può essere Robin Hood, non significa che sia una storia fantasy, né che ci sia sovrannaturale.
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[cite]Autore: 3evil[/cite]Dico che le tematiche tipiche del fantasy: Draghi, Demoni, Super Magie e viaggi nel tempo non ti saranno mai vicine e famigliari.
Queste non sono le "tematiche" del fantasy. Questi sono "oggetti di scena".
La tematica del fantasy è la scelta tra bene e male, contrapposta ai sacrifici che la presa di posizione necessita e di norma ad una super-lunghissima quest per trovare un oggetto o una persona che aiuterà il protagonista a risolvere tutto, ma per risolvere la quale l'eroe "perderà" qualcosa (amici, identità, regno, amori, vita o anche la ragione).
Per la cronaca sono le stesse tematiche dell'Orlando Furioso e della Gerusalemme Liberata. E di Ivanhoe...
Il "fantasy" (e non il fantasy italiano della Troisi) è una deriva dell'epica e del romanzo storico, nel quale vengono inseriti elementi fantastici e super-terreni per rifarsi a mitologie del passato.
Dato che il genere è nato in contesto anglosassone, si è canonizzato l'uso della mitologia nordica e norreana perché gli autori degli inizi hanno preferito attingere dalla "loro" tradizione, piuttosto che da quella classica omerica.
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[cite]Autore: Mauro[/cite]Che io sappiaIvanhoeè considerato il primo esempio di genere storico... quanto ha di fantasy?
Fantasy ante-litteram...
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[cite]Autore: 3evil[/cite][p]Dico che le tematiche tipiche del fantasy: Draghi, Demoni, Super Magie e viaggi nel tempo non ti saranno mai vicine e famigliari.
Ad un personaggi fantasy ti senti vicino, solo quando affronta drammi reali, che potresti vedere nella vita di tutti i giorni, quando deve fare scelte vere.[/p][p]Sacrificare la tua vita per il multiuniverso è banalità, non eroismo. Un normale ragazzo di 17 anni che supera il dolore della perdita dei genitori per aiutare i nonni malati è eroismo. Scegliere sacrificare la tua cariera per stare vicino a chi vuoi bene è eroismo.[/p][p][/p]
Boh! Dipende... Prima di tutto perché il genere fantastico è fin troppo ampio per essere generalizzato in quel modo, non tutto il fantasy è high fantasy (e non tutto il fantasy è D&D)!
Poi eroismo... Dipende anche quello! Sono momenti eroici quelli che dici tu di sicuro, ma sacrificare la propria vita per l'umanità può essere un momento pregno ed emozionante, dipende da come viene trattato (mi viene in mente Gurren Lagann, ad esempio, che è tutto meno che serio, ma ha i suoi momenti).
Ovvio, se passo nella stessa situazione di un personaggio lo sento più vicino (ed è difficile mi trovi nella situazione di dover sacrificare la mia vita per l'universo), ma non credo che situazioni in cui mi sono ritrovato siano migliori, sono solo diverse.
Vivere eventi "impossibili" anche per interposta persona è importante, perché mi da modo di riflettere e giudicare qualcosa che probabilmente non avrei potuto sperimentare altrimenti.
Le tragedie greche le facevano anche per questo motivo, in fondo!
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Ivanhoe è ambientato nel nostro mondo, in un periodo storico definito, con solo Umani, con personaggi reali o che comunque avrebbero potuto esserlo; piú che fantasy, lo definirei storico. E, se non ha sovrannaturale, esce già dal discorso "il punto è piuttosto che il sovrannaturale fa da valvola di sfogo: se muore un figlio e posso riportarlo in vita, il dramma è molto ridotto".
In che senso lo definisci "fantasy"?
[cite]Autore: Mark[/cite]se passo nella stessa situazione di un personaggio lo sento più vicino (ed è difficile mi trovi nella situazione di dover sacrificare la mia vita per l'universo), ma non credo che situazioni in cui mi sono ritrovato siano migliori, sono solo diverse
Il discorso, in quel caso, credo che sia che è una falsa scelta: muori, o tutto l'Universo - tu compreso - viene distrutto?
Ora non intervengo per almeno un'ora, cosí diminuisce il tasso messaggi/ora.
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Certo che c'è fantasy e fantasy.
Per dirla tutta, fantasy può voler dire tutto e niente.
Quello su cui volevo battere era questo:
[cite]Autore: Mauro[/cite]Credo ci sia un equivoco di fondo: nessuno dice che il fantasy non possa essere toccante ed emoziante; il punto è piuttosto che il sovrannaturale fa da valvola di sfogo: se muore un figlio e posso riportarlo in vita, il dramma è molto ridotto.
Io non critico il fantasy sia chiaro.
Però non mi venite a dire che si parla di argomenti vicini.
Io mi sento coinvolto quando sento Palahniuk parla delle assurdità del mondo moderno, mi sento coivolto quando leggo libri come "Pappagalli verdi" di Gino Strada, mi sento emotivamente coinvolto quando ho letto nulla di nuovo sul fronte occidentale. Tutta la letteratura fantasy che ho letto(anche i grandi miti) si, mi hanno divertito, mi hanno fatto riflettere, ma difficilmente mi hanno toccato.
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[cite]Autore: Mauro[/cite]In che senso lo definisci "fantasy"?
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[cite]Autore: khana[/cite]La tematica del fantasy è la scelta tra bene e male, contrapposta ai sacrifici che la presa di posizione necessita e di norma ad una super-lunghissima quest per trovare un oggetto o una persona che aiuterà il protagonista a risolvere tutto, ma per risolvere la quale l'eroe "perderà" qualcosa (amici, identità, regno, amori, vita o anche la ragione).
Come dicevo... Fantasy ante-litteram. Un po' come Verne è steam-punk ante-litteram.
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Le discussioni su cos'è il fantasy e su Ivanhoe fatele in un altro thread, please.
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[cite]Autore: 3evil[/cite]Io mi sento coinvolto quando sento Palahniuk parla delle assurdità del mondo moderno, mi sento coivolto quando leggo libri come "Pappagalli verdi" di Gino Strada, mi sento emotivamente coinvolto quando ho letto nulla di nuovo sul fronte occidentale. Tutta la letteratura fantasy che ho letto(anche i grandi miti) si, mi hanno divertito, mi hanno fatto riflettere, ma difficilmente mi hanno toccato.
E io mi sono sentito toccato da ciò che Neil Gaiman e Terry Pratchett fanno dire al diavoletto Crowley in "Good Omens" riguardo la capacità delle persone di fare del male senza interferenze divine. :P
Secondo me stiamo un po' cavillando su una questione fin troppo soggettiva. Alla fine non sono le calzamaglie o le magie a rendere meno toccante o profonda una esperienza, ma quanto noi sentiamo vicine queste cose. Io sento altrettanto distanti le vite di un supereroe senza paura e di uno spacciatore in qualche slum americano, ma posso sentirle più "mie" se ciò che gli accade è più vicino a me (in realtà l'eroe ha paura di ciò che gli altri pensano di lui e agisce solo per gli altri rimanendo schiavo della frustrazione di non poter fare nulla per la sua vita con i suoi immensi poteri, per esempio, o lo spacciatore si comporta così per cercare di tirar su soldi per mantenere una persona cara che non sa nulla di tutto ciò).
E' solo una questione di prospettive: si può mettere la maschera, ma l'importante è che questa non accechi.
-MikeT
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In questa discussione la posizione a cui mi trovo più vicino è quella di Khana (come spesso mi accade a dire il vero). In ogni caso mi pare che il thread sia lentamente andato alla deriva perdendo i connotati iniziali e sfociando nel caos: la questione iniziale era quella della "coolness" dei personaggi (che include eventuali elementi sovrannaturali) come "safety measure"; successivamente si è passati a considerare casi di storie ancorate (o fortemente ispirate anche soltanto a livello di setting) a fatti realmente accaduti, passando infine alla questione del parallelo tra elementi tematici della fiction ed esperienze personali. Mi limiterò a dire la mia sulla questione iniziale.
In generale direi che non esiste alcun motivo per ritenere che un personaggio dotato di doti e poteri sovrumani sia emozionalmente più distante (e quindi appaia più "arido") rispetto ad un personaggio dalle capacità più comuni. La ragione risiede nel fatto che il coinvolgimento emotivo dello spettatore deriva dalla natura, dall'intensità e dall'interesse che suscitano i problemi che il personaggio si trova ad affrontare piuttosto che dalle sue capacità, almeno nella misura in cui tali capacità non costituiscono una scorciatoia che consente letteralmente di cortocircuitare il problema. Questa è la ragione per cui Sorcerer rimane adatto ad un gioco passionate e in The Riddle of Steel puoi giocare uno stregone che rade al suolo intere città senza per questo perdere un'oncia di dramma. Le capacità di tali personaggi non rendono in alcun modo irrilevanti i problemi che li definiscono. Si limitano al massimo a declinare i conflitti in forma diversa, stabilendo l'ordine di grandezza dell'arena in cui avviene lo scontro.
In certi casi la natura epica del personaggio contribuisce addirittura ad incrementare il coinvolgimento emotivo. In Ashes of Time di Wong Kar-Wai ci troviamo di fronte a spadaccini che sono in grado di frantumare vette di montagne a colpi di spada ma che si dimostrano totalmente inermi di fronte alle tribolazioni imposte dagli stessi sentimenti che quotidianamente entrano nelle nostre vite di "miserabili esseri umani": vediamo il dolore della solitudine, l'incapacità di venire a patti con il proprio orgoglio e con le scelte fatte nel passato e sentiamo tutto il peso e la malinconia di chi vive nel rimpianto e desidera una pace che può venire solo dall'oblio (nella forma di un vino che fa perdere la memoria). Le capacità che possiedono non permettono una facile soluzione ai problemi che li affliggono e lo scarto tra la natura sovrumana dei personaggi e la natura profondamente e riconoscibilmente umana dei loro problemi avvicina emotivamente lo spettatore.
In maniera analoga, in Phantom: Requiem for the Phantom, i protagonisti sono due killer della mala dalle capacità assolutamente straordinarie. Eppure l'abilità di uccidere non fornisce una soluzione ai loro problemi; anzi, agisce aggravandoli continuamente. Durante le missioni che sono costretti a svolgere, pena la loro stessa vita, compiono atti terribili che mettono costantemente in discussione la stessa natura umana che cercano disperatamente di mantenere o riconquistare. Le loro doti assumono la valenza di una maledizione e aumentano l'intensità del dramma.
Stessa situazione nei primi 8-10 episodi di Claymore.
In conclusione la "distanza emotiva" di un personaggio non ha un legame diretto con la natura sovrumana delle sue capacità. Quindi in generale il fantasy non è sempre e comunque artificio per rendere safe l'unsafe, anche se può certamente essere usato con questo scopo.
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Mah... Watchmen o Sandman mi coinvolgono molto più di quanto abbia fatto Persepolis. Quando leggo la Casa degli spiriti o La frontiera scomparsa mi emoziono, ma il personaggio per cui piango, per cui tifo, di cui non mi stanco mai di rileggere, è il colonnello Aureliano Buendia. Berenice di Edgar Allan Poe mi turba più di American Psycho, e tra i libri ambientati in una metropoli nessuno mi ha dato le emozioni di Nessundove.
Perché? Non lo so. Posso ipotizzare che sia perché se leggo di un massacro in un campo profughi mi indigno, mi incazzo, rifletto sulle responsabilità, ipotizzo conseguenze. C'è un livello intelettuale che si sovrappone a quello emotivo, un distacco "brechtiano" che mi impedisce identificazione e catarsi. Le tutine di Watchmen mi permettono di fare a meno per un po' del senso critico, di immergermi nel dramma e nelle emozioni, di rimandare a un secondo momento, a una futura riflessione le implicazioni politiche e sociali. Maus mi spinge a riflessioni più profonde, ma, suppongo, proprio per questo attenua la mia partecipazione emotiva.
Sono due tipi diversi di fruizione. O forse è un mio strano cortocircuito mentale.
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Non sono molto soddisfatto di questo thread,... ho l'impressione che un sacco di risposte stiano difendendo la validità della letteratura fantasy o il fatto che possa parlare di qualcosa di importante, senza rispondere minimamente al mio post iniziale.
Come mai nessuno ha citato la scelta di Moore?
Non ho ancora trovato la sua intervista che ricordavo, ma ho trovato questa (http://twomorrows.com/comicbookartist/articles/09moore.html) da Comic Book Artist #9
If I wanted to do stuff about the environment, that there didn't need to be a swamp monster there, for instance. When I did Brought to Light, about the CIA activities in World War II, that story would not have been greatly enhanced by a guy with his underwear outside his trousers, you know.
E poi ho trovato quest'altra intervista dell'epoca, (qui (http://www.terrascope.co.uk/MyBackPages/Alan_Moore_interview.htm), nel periodo in cui scrisse Brought to Light
AM: Yes, 'Brought To Light' was going on at the same time as 'Aargh'. In the morning I'd be researching sodomy and heresy in early modern Switzerland, and in the afternoon I'd be researching heroin smuggling in Thailand during the 70s. I'd put super-heroes, fantasy and science-fiction firmly behind me at the end of my career at DC and I decided that I wanted to do something where you don't have to have a guy dressed in tights coming through the window half way through and I found that research was really enjoyable, perhaps 'enjoyable' is too strong a word in the case of 'Brought To Light', it was exhiliarating though compiling all that information, making it fit and then finding a way to convey it to the readership in an interesting and entertaining way. At the same time it was harrowing. I mean, I've written a lot of horror comics but Oliver North is a much more horrifying being than any of those.
PT: Did you ever get any come-back from 'Brought To Light'?
AM: The thing is, it exposes a collaboration between the CIA, the Mafia and various right-wing groups around the world and I had to think long and hard before accepting the job; I'm not a brave man necessarily. Originally 'Brought To Light' was going to be published by Warner Books and then all of a sudden we got the word that Warners had pulled out. There was a speculation that someone at Warner's had seen that we were bringing out this book about the CIA's dealings with the Mafia and decided it wouldn't be a good book for Warner's to produce, so it ended up with Eclipse Books producing the whole thing. It was made into a stage play over here, a monologue by a guy called Phil Judge. Phil did a great job of it. It was a big jump for me, a long way from talking about super-heroes
Tornando a parlare di giochi.. perchè in questo thread si citano Ivanhoe, l'Iliade etc, ma non si citano Montsegur e Spione?
Se fossero ambientati in un mondo alternativo, in cui Montsegur è l'ultimo rifugio degli Elfi, e Spione fosse ambientato nella Città divisa di Algoth, sarebbe la stessa cosa?
E come mai tanta gente proprio si rifiuta (va al di là del semplice "non mi piace l'ambientazione") di giocare Cani nella Vigna se pensano che tratti il west "storico", ma lo giocherebbero volentieri nell'universo di Star Wars o di Warhammer 40k?
Per favore, se volete contestare qualche affermazione di qualcun altro che nega validità al fantasy e alla fantascienza, aprite un altro thread. Io leggevo Dick e Ballard a 12 anni nel 1976 e ho tutta la serie di "Robot" diretti da Curtoni, non venite a spiegare proprio a me che la fantascienza può parlare d cose più importanti che non della nuova trilogia di Star Wars. Lo so benissimo.
Come so anche che la fantascienza ci riesce proprio perchè rende certi temi "digeribili", "accettabili" da un pubblico che si rifiuterebbe di leggere cronache che parlano di fatti reali, proprio perchè sfrutta questo effetto di "distanziamento"... che però proprio chi ne ha bisogno, nega che esista!
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Come mai nessuno ha citato la scelta di Moore?
Perché non c'è molto da commentare, secondo me. Ha preso una scelta, anche artistica e non mi pare che il mondo ne abbia "perso".
Comunque non mi pare che V for Vendetta sia avulso da "calzamaglie"... il protagonista indossa un frack e una maschera, ma di fatto è "una calzamaglia"; un simbolo dietro al quale nascondersi per trasformarsi in una icona vivente di un set definito di ideali.
Depersonificazione dell'Eroe.
E' anche una tecnica tipica di certa propaganda militare del 20° secolo che faceva vedere solo "il colore della pelle" dei soldati nei manifesti.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite][p]arlando di giochi... davvero giocare una serie in cui gli androidi lottano per la loro libertà può avere, per un giocatore americano, la risonanza morale di una storia di Steal Away Jordan ambientata nelle piantagioni della città dove vivi? E allora come mai giocatori che non si facevano problemi a giocare eroici combattenti per la libertà contro la dominazione degli Schiavisti di Vega, tremavano e cercavano scuse per non giocare a Steal Away Jordan alle convention? (tanto che Julia ha postato ben più di un rant al riguardo?)[/p]
Perché ci sono molte persone che non lo riconoscono più come "gioco".
Perché ci soon molte persone che devono "percepire" la fuga per pensare di potersi divertire (e come dargli torto, divèrtere in latino vuole dire "volgersi altrove"...). Quindi una "superficie" di distacco la devono vedere e poi dentro ci puoi mettere quello che ti pare, ma devi anche accettare che quanto metti "dentro", più scendi con i livelli e meno sarà percepito.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite][p]Il fantasy E' un meccanismo di "presa di distanza". Non a caso è inserito proprio come tale in alcuni giochi (l'esempio classico sono i dadi neri in It Was a Mutual Decision: in ogni momrnto del gioco qualunque giocatore, di sua volontà, può usarli per trasformare una terribile e terrificante storia di una separazione fra due persone che si amavano, in una tranquilla e rassicurante storia di Topi Mannari che divorano esseri umani... )[/p]
Credo che molte persone abbiano commentato questo paragrafo che sembrava la "conclusione" del tuo ragionamento.
Se dobbiamo parlare di giochi, credo che ci sia la forte possibilità che si individui un certo rapporto tra la (ri)giocabilità di un gioco e quanto questo distacco sia di fatto presente.
Ma nel senso contrario di quello che ci si può aspettare: più distacco viene presentato dall' "involucro" di gioco (il colore) più c'è la possibilità che il giocatore possa infilarci dentro qualcosa di "suo", quindi di fatto esiste la possibilità che il gioco diventi "interessante" perché "personalizzabile".
Un gioco dove invece il senso e le tematiche siano tutte lì, in superficie, dà l'idea che fatta una partita, il gioco ha già "dato" tutto.
Che coincide con certe critiche portate verso i NW, ultimamente.
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Se fossero ambientati in un mondo alternativo, in cui Montsegur è l'ultimo rifugio degli Elfi, e Spione fosse ambientato nella Città divisa di Algoth, sarebbe la stessa cosa?
No, assolutamente, perché entrambi i giochi sono stati costruiti per riuscire ad evocare un feeling ben preciso che funziona solo se li si usa per come sono stati scritti. Diversamente, una struttura come quella di "Annalise" supporta altrettanto bene una storia a Menzoberranzan, su Saturno o sull'Isola di Lost, perché quello che fa non è generare una storia ambientata durante la Guerra Fredda o le vicende legate ai Catari a Montsegur (dette in modo molto brutale) ma fornisce una struttura più modellabile in cui narrare la storia di alcune persone in lotta contro un'ossessione (il "Vampiro").
-MikeT
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Allora anche io ripropongo una domanda già fatta: come mai se il fantasy provoca automaticamente questa presa di distanza dalla materia trattata, Jesse Burneko continua a ritenere che Sorcerer sia il miglior strumento per il gioco passionate che tanto lo attira?
Qui nessuno critica il fatto che il fantasy (in senso esteso) possa essere utilizzato come meccanismo di presa di distanza. Si critica piuttosto la generalizzazione di tale affermazione e il ritenerla ineluttabile e universalmente valida, e si critica soprattutto l'idea che tale presa di distanza equivalga automaticamente ad una diminuzione dell'impatto emotivo della storia sullo spettatore. L'impatto emotivo è legato all'interesse del tema trattato e risente in larga misura delle esperienze personali e della sensibilità dello spettatore.
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Qual'è la materia trattata da Sorcerer? E' qualcosa di riproducibile anche senza gli elementi fantastici?
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[cite]Autore: Ashrat[/cite]Posso ipotizzare che sia perché se leggo di un massacro in un campo profughi mi indigno, mi incazzo, rifletto sulle responsabilità, ipotizzo conseguenze. C'è un livello intelettuale che si sovrappone a quello emotivo, un distacco "brechtiano" che mi impedisce identificazione e catarsi. Le tutine di Watchmen mi permettono di fare a meno per un po' del senso critico, di immergermi nel dramma e nelle emozioni, di rimandare a un secondo momento, a una futura riflessione le implicazioni politiche e sociali
Ma indignarsi e incazzarsi sono emozioni.
Sottolineo però che il mio discorso non è semplicemente "Il fantasy si sente di meno"; vedete il mio messaggio riportato in apertura, dove approfondisco un po' di più la cosa.
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Un'aggiunta che mi è venuta in mente rispondendo a un'altra discussione: per me indignarsi e incazzarsi sono due reazioni emotive (lo dico pensando a questo (http://www.gentechegioca.it/vanilla/?CommentID=79831) messaggio, dove Ashrat dice che ci sono opere fantastiche che lo emozionano più di quelle realistiche, ipotizzando "che sia perché se leggo di un massacro in un campo profughi mi indigno, mi incazzo, rifletto sulle responsabilità, ipotizzo conseguenze"); se leggo di un padre Elfo che abusa della figlia Mezzelfa mi può dare fastidio, ma il fatto che non siano eventi veri, su personaggi che non possono essere veri, credo possa inserire un filtro, rispetto a quando leggo Don't Tell Mummy (http://www.amazon.co.uk/Dont-Tell-Mummy-Ultimate-Betrayal/dp/0007223749), la storia vera di una di cui il padre ha abusato per sette anni (da quando lei ne aveva sei). Se il secondo mi fa incazzare, e il primo mi dà fastidio... la reazione emotiva è stata filtrata.
Non dico che il sovrannaturale sia automaticamente una valvola di sfogo, non ne sono certo; anzi: se ambientiamo una storia nel nostro mondo, aggiungendoci cani viola... sono sovrannaturali, ma quando un personaggio muore dubito che i cani viola abbiano rilevanza.
Ma quando il sovrannaturale va a toccare i personaggi, quando ha rilevanza nelle vicende che vanno a toccare il lettore, allora tale filtro emotivo può benissimo entrare in scena.
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Mauro mi ricordo cosa avevi detto in quel messaggio e le mie considerazioni sono contenute nel post che ho scritto ieri. In sintesi penso che l'umanità del personaggio e la sua capacità di definirsi come protagonista interessante sia legata ai suoi problemi, molto più che alle sue capacità. Finché il problema è "riconoscibilmente umano" e finché le doti del personaggio non gli consentono di risolverlo senza tribolare allora per me è perfettamente possibile empatizzare col personaggio (il che non significa però che ciascuno di noi lo farà necessariamente).
Matteo, la materia trattata da Sorcerer è perfettamente riproducibile senza gli elementi fantastici (anche se ovviamente a quel punto il gioco non sarebbe più Sorcerer), come lo è qualunque altra storia che tratti temi cari all'essere umano. Ma sinceramente non vedo come questo sia rilevante ai fini della discussione in corso. Il punto è che esiste già almeno un controesempio.
In ogni caso sopra ho riportato esempi di film e anime i cui personaggi, pur essendo decisamente più competenti della media degli esseri umani (quando non addirittura parzialmente alieni, come nel caso di Claymore) sono stati per me emotivamente molto coinvolgenti, per ragioni che sono fondamentalmente legate alle mie esperienze e sensibilità:
edit per crosspost: Mauro, la storia vera è un'altra cosa ancora. Finora abbiamo parlato di storie che includono elementi "superumani" e storie "minimaliste" che includono solo elementi riconoscibilmente umani. Quando la storia è tratta da un fatto realmente accaduto entra in gioco un meccanismo ulteriore che definirei come "il potere della documentazione". E' un fenomeno che sarà familiare a chiunque si interessi di fotografia. Questo meccanismo entra in gioco anche quando non siamo neppure di fronte ad una storia o un'opera di fantasia: è la ragione per cui mi emoziono quando guardo Schindler's List e provo un forte senso di nausea mentre guardo un filmato girato da un elicottero i cui piloti stanno uccidendo civili iracheni come se fossero formiche mentre chiacchierano augurandosi che uno dei feriti compia un gesto interpretabile come minaccia in modo da poterlo finire una volta per tutte.
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[cite]Autore: Leonardo[/cite]la storiaveraè un'altra cosa ancora
Sicuramente; ma se il passaggio da "storia vera" a "storia realistica" è abbastanza da inserire un filtro; perché il passaggio da "storia realistica" a "storia fantastica" non lo sarebbe? In entrambi i casi si allontana la percezione della storia come qualcosa di realmente accaduto.
Con "storia realistica" mi riferisco anche al fatto che, se Don't Tell Mummy fosse uguale, solo non basato su una storia vera, sarebbe ovviamente realistico.
Con "storia fantastica" intendo con elementi sovrannaturali, nello specifico come detto nell'ultima parte di questo (http://www.gentechegioca.it/vanilla/?CommentID=79874) messaggio.
Prendiamo Don't Tell Mummy: la differenza tra vederlo come reale o realistico è che qualcuno ti dica che sono fatti capitati davvero.
Prendiamo Don't Tell Mummy con gli Elfi al posto degli Umani: per quanto si sospenda l'incredulità, nessuno crederà che sia una storia vera capitata a quei personaggi.
Mi verrebbe da dire che, se una storia vera ha un impatto emotivo maggiore di una non vera, all'aumentare degli elementi che rendono più difficile percepire una storia come vera diminuisce (sicuramente?) l'impatto emotivo.
Personalmente, credo che passando da realistico a fantastico ("credo" perché a memoria non ho letto libri simili non basati su storie vere) l'emozione sarebbe comunque stata filtrata.
Non so se Ashrat nel suo messaggio si riferisse a fatti reali o se stesse parlando (anche) di una storia che narri una simile cosa senza riportare fatti reali; se era il secondo caso, allora la mia risposta al suo messaggio resta inalterata, perché l'indignazione e l'incazzatura di cui parla sono nate da una storia che non riferiva fatti reali.
P.S.: non ho chiaro cosa intendi con "Questo meccanismo entra in gioco anche quando non siamo neppure di fronte ad una storia o un'opera di fantasia"; sembra implicare che entra in gioco anche quando si è di fronte a un'opera di fantasia, ma mi pare che tu sostenga il contrario. Indendevi "Questo meccanismo entra in gioco quando non siamo di fronte ad una storia o un'opera di fantasia"?
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[cite]Autore: triex[/cite]Qual'è la materia trattata da Sorcerer? E' qualcosa di riproducibile anche senza gli elementi fantastici?
Se riesci a trasferire un Demone evocato su un elemento non fantastico, credo di sì.
Non è una sfida. ^^
Faccio ora una serie di domande che non vogliono essere incalzanti o accusatorie. Sono semplici domande :)
[cite]Autore: Mauro[/cite]Se il secondo mi fa incazzare, e il primo mi dà fastidio... la reazione emotiva è stata filtrata.
Perché?
[cite]Autore: Mauro[/cite]Ma quando il sovrannaturale va a toccare i personaggi, quando ha rilevanza nelle vicende che vanno a toccare il lettore, allora tale filtro emotivo può benissimo entrare in scena.
Hai visto il film "The Others"? (Lascio stare "Il Sesto Senso" perché è meno viscerale, secondo me. Più di impatto, sicuramente)
"Wolf" con Jack Nicholson è poco emotivo?
Tutta la serie "Fringe", che di tavanate iper-fotoniche ne spara a iosa (in senso buono, sono un fan della serie), di "umano" all'atto pratico ha un sacco di cose da dire [ spoiler ] il padre si inventa la tecnologia per i viaggi inter-dimensionali perché il figlio è morto e va a riprenderselo nell'universo parallelo dando il via ad una serie di paradossi e "casini" inimmaginabili [ /spoiler ].
[cite]Autore: Mauro[/cite]PrendiamoDon't Tell Mummycon gli Elfi al posto degli Umani: per quanto si sospenda l'incredulità, nessuno crederà che sia una storia vera capitata a quei personaggi.
Perché?
Perché la "storia vera" rende le cose migliori?
Una cronaca della guerra del Vietnam (ho scritto "cronaca", quindi i fatti nudi e crudi riportati da un giornalista) sono più "veri" dei sentimenti espressi dal romanzo (il -romanzo-, non il film...) "fanteria dello spazio"?
E "Rambo"? Secondo te Rambo è "realistico"? Rambo è molto Larger than Life anche nel romanzo.
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Perché?
Perché la "storia vera" rende le cose migliori?
Perchè la storia vera potrebbe capitare a te nei termini esatti in cui l'hai vista/letta.
Rob
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Scusate se cancello, ma il post è uscito caustico e non voleva esserlo.
Quindi mi autocensuro, perché altrimenti partono flame inutili.
[cite]Autore: rgrassi[/cite]Perchè la storia vera potrebbe capitare a te nei termini esatti in cui l'hai vista/letta.
Oggettivamente parlando, a me non -può- capitare di essere stuprata a 15 anni.
"Poteva" capitarmi, forse, in un mondo diverso da questo.
Quindi qual'è il vero motivo per cui c'è una differenza se "il mondo diverso da questo" è popolato da creature inventate? E' comunque diverso.
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Autore: triex
Qual'è la materia trattata da Sorcerer? E' qualcosa di riproducibile anche senza gli elementi fantastici?
Se riesci a trasferire un Demone evocato su un elemento non fantastico, credo di sì.
Non è una sfida. ^^
Non era una sfida neanche la mia. Probabilmente l'elemento fantastico (il demone) è un elemento metaforico importante, senza il quale il gioco perde significato. Dico probabilmente perché Sorcerer non l'ho ancora giocato.
Come diceva Klaus il fantastico può aiutare l'esplorazione di un tema. Ma non è certo automatico.
Era questo che intendevo parlando della differenza tra Watchmen e Avatar. In watchmen il Dr Manhattan è chiaramente un elemento sovrannaturale, ma consente all'autore di parlare di cose che altrimenti sarebbe stato ben difficile. In avatar i draghi sono soltanto colore.
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[cite]Autore: khana[/cite]Oggettivamente parlando, a me non -può- capitare di essere stuprata a 15 anni.
Ma può capitare a tua mamma, a tua sorella, alla tua ragazza, etc...
Persone MOLTO vicine a te.
Rob
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Signori... Splittare. Il come ed il perché lo sapete già. Su, circolare!
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[cite]Autore: rgrassi[/cite]Ma può capitare a tua mamma, a tua sorella, alla tua ragazza, etc...
Persone MOLTO vicine a te.
Eh, no Rob.
"Sarebbe potuto capitare".
E' questo che sto cercando di spiegarti: non confondiamo un setting "realistico" con storie "verosimili".
Io non ho una sorella e né a mia madre, né alla mia ragazza una cosa del genere è capitata. Perché la storia è riferita ad una ragazza adolescente
Quella storia può risultare solamente allegorica. Può essere una metafora, può toccare cose che sono vicine a chi la legge/vede perché vengono riferite a esperienze personali che possono apparire "simili" o "assimilabili".
Quindi il "salto" di astrazione che devo fare per potermi immedesimare è lo stesso che devo fare per Aragon: immaginarmi una cosa che nella mia esperienza non esiste e cercare agganci con essa.
Se ti raccontassi la stessa storia di Don't tell Mummy con personaggi di un mondo inventato e di una razza inventata, penseresti meno che siano cose che possono capitare ad amiche e parenti?
Dal mio punto di vista non fa nessuna differenza. Anche se i protagonisti fossero l'Orco e Capuccetto Rosso, lo sdegno per lo stupro sistematico di una minorenne mi colpirebbe allo stesso identico modo. Cioè, F O R T E.
Il discorso è esclusivamente riferito al gusto personale e alla capacità di immedesimazione di ognuno.
C'è qualcuno che deve sapere che i fatti narrati sono successi da qualche parte nel mondo reale, in un tempo sufficientemente prossimo e in un contesto culturale simile al proprio per poter accettare di immedesimarsi.
Altri a cui questa cosa non è necessaria.
Cesare è stato pugnalato davvero dal suo figlio adottivo. Eppure sono convinto che a molti appare "fantastico", solo perché sono passati 20 secoli, così come appare lontano e fantastico tutto il De Bello Gallico, che invece è il diario vero di una campagna militare realmente avvenuta.
Al liceo avevo compagni di classe che non si smuovevano di una virgola per le stragi e le guerre in medio oriente perché sostenevano che "queste cose da noi non succedono". E direi che la guerra in medio oriente è sufficientemente "reale".
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Sono indeciso se fare uno splittone cosmico lasciando in questo thread al massimo un paio di post, (e ricavandone altri due-tre thread chiamati "il fantasy può essere letteratura?", "una storia realistica è automaticamente più forte a livello emotivo?", etc, che evidentemente sono temi che vi toccano da vicino visto che insistete a parlare di quelli e non del topic di questo thread) o se lasciare tutto com'è come cronaca ed esempio del difensivismo che attanaglia gli appassionati di sf e fantasy...
Comunque, per il proseguo del thread:
Cosa NON sto dicendo:
- Che con sf e fantasy non si possono scrivere storie profonde e "umane" (credevo che il fatto di aver scelto Watchmen lo rendesse già chiaro, mica ho usato Drizzt come esempio...)
- Che il fatto di usare elfi, supereroi e simili renda automaticamente una storia "inferiore" o "meno umana" di un altra (anche qui, sarei scemo a sostenere una cosa simile: Watchmen sarebbe inferiore a Va dove ti porta il cuore?)
Quindi, visto che quasi tutti i post in questo thread puntano a confutare queste due cose e a difendere "l'onore" di fantasy e sf: potete smetterla, nessuno ha detto queste cose qui (fuori di qui, non lo, ma se avete ancora ferite scoperte per cose che avete letto e sentito anni fa sui libri che leggete: ormai è tardi, dovevate reagire allora, non qui nel mio thread)
Non sto nemmeno a elevare la letteratura "realistica" come un qualcosa che intrinsecamente sia profonda o umana: il 90%, ad essere buoni (la legge di Sturgeon è fin troppo benevola) è merda, con personaggi piatti fatti di cartapesta.
Cosa sto dicendo invece? Leggete il TITOLO del thread: davvero, pensavo fosse abbastanza esplicito. Sto parlando di un LIMITE. Un limite oltre al quale certi "genre trapping" tipo i costumi, gli spadoni, ma anche la fanciulla bellissima casta e pura o il giovine prode e valoroso ci stanno come i cavoli a merenda. Perché per superare quel limite serve la sincerità e onestà più assoluta, e il paravento fantasy con cui magari, in altre opere, si riesce a parlare di razzismo in maniera da arrivare anche al cuori di qualcuno che nella vita reale voterebbe Ku Klux Klan ma che si commuove a leggere degli schiavi di Deneb, non va più bene.
Un limite che NON è il "limite di un opera". Un opera è fatta e finita. Discutere se veniva meglio con gli elfi o senza astronavi, tranne i casi in cui effettivamente paiono messi dopo per riuscire a vendere il libro ad un editore (o il concept ad un produttore: "Gomorra nello spazio!") è abbastanza futile. Se parliamo di opere valide, gli elfi e le astronavi ci sono se hanno un senso. Se invece l'opera non è valida, ha ben altri problemi che non la presenza di astronavi.
Il limite è quello di AUTORI (che qui mi interessano poco, anche se ho usato l'esempio di Moore) e LETTORI (o nel gdr, GIOCATORI, che sono quelli che mi interessano), che lo porta anche ad essere un limite di EDITORI ("9 anelli agli editori, che più di tutto bramano un aumento di fatturato").
Moore ad un certo punto della sua carriera di autore decide che con i supereroi è arrivato a quel limite (e infatti secondo me Watchmen lo definisce: nessuno è mai riuscito ad andare oltre), e cosa fa? Volendolo superare, abbandona i supereroi (almeno, nelle opere più impegnate, poi quando ha i conti da pagare e un pomeriggio libero sceneggia un numero di Spawn e in un pomeriggio incassa di più di quanto abbia mai incassato per V for Vendetta... ) e va oltre.
Cosa fanno i lettori appassionati, quelli che adorano Moore, che stravedono per lui, che si sono letti dieci volte Watchmen, che lo considerano il maggiore autore di fumetti mai esistito? Ovviamente NON lo seguono nelle sue nuove opere, se non in minima parte ("non sono SUPEREROI!") e corrono a consolarsi con il supereroe "cool" del momento.
(prima che arrivino altri 50 post a difendere i supereroi: sono un appassionato di fumetti di supereroi, li leggo da quando avevo 8 anni, ho la collezione completa dei fumetti Marvel-Corno e un numero che mi sgomenta di scatoloni pieni di comic books originali. Ma non leggo solo quelli).
Chiarisco: non è un limite di intelligenza, di comprensione, di capacità di lettura: non è che questi lettori abbiano provato i nuovi fumetti di Moore e li abbiano trovati ostici, o incomprensibili o noiosi. No. Non li hanno proprio nemmeno cercati. "non ci sono i supereroi". E' un limite dato dal rigetto della realtà.
Un limite autoimposto, è ancora un limite? Per me sì. Anche più dei limiti imposti da altri. E poi, fino a che punto questa "paura della realtà" (o rigetto della realtà, se paura vi pare eccessivo) è autoimposto e non inculcato da una cultura dominante che utilizza l'escapismo come i romani utilizzavano il leoni al colosseo?
Torniamo a parlare di gdr.
Ron Edwards è probabilmente più paragonabile a Dave Sim che non a Moore. Però ci sono dei paralleli.
Sorcerer riesce a parlare di temi importanti con demoni e evocazioni dei medesimi? Certo. Ma visto che la cosa non viene negata da nessuno qui (vedi i due punti all'inizio) la cosa è off-topic. Però rappresenta un perfetto parallelismo con Watchmen e Moore. Sorcerer è stato scritto da Ron come reazione ai vent'anni di gioco precedente, all'intensità promessa da giochi come Champions, Cyberpunk, Vampire, e mai veramente fornita in maniera sistematica (da sistema). Sorcerer è l'altra faccia di Vampire (non è un caso che abbia uno score chiamato "umanità"). E' un Edwards trentacinquenne che dice al mondo dei gdr "ECCO come si fa un gdr che sia veramente intenso, e come si possono utilizzare elementi fantasy come i demoni per ottenere questo risultato).
Sorcerer non è un successo straordinario rispetto a D&D o Vampire, ma lo è per un piccolo gdr indie autoprodotto. Probabilmente c'era gente che rideva di fronte alla versione in un file di testo spedita via email per cinque dollari nel 1996, pensando a linee editoriali di decine di volumi cartonati a colori (ora quelle linee sono morte, le ditte fallite, e Sorcerer vende ancora bene, tanto da essere tutt'ora credo il gdr indie più venduto di tutti i tempi).
Il problema che limita la diffusione di Sorcerer, attualmente, è come è scritto. Essendo stato scritto prima che venissero formalizzati molti concetti, non è chiaro in molte cose. Una nuova edizione venderebbe un sacco, ed Edwards non dovrebbe nemmeno scrivere e playtestare un sistema nuovo. Perchè non lo fa?
Purtroppo the forge in questi giorni ha problemi di server ed è down, ma quando riapre leggetevi questo thread: Why no "revised" Sorcerer? (http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=24176)
Cosa dice? Che Sorcerer era quello che aveva bisogno di dire a 35 anni, come reazione al mondo dei gdr allora esistente, che è un gioco che ha una notevole importanza storica e che gli piace ancora giocarci e che non è per niente superato, ma che adesso lui vuole parlare d'altro. E fare altri giochi, che vadano OLTRE (implicito: "oltre i limiti di") il classico wish-fulfillment da "gamer", e parlino del mondo attorno a noi. Quello reale.
Da qui Spione, e poi Shahida.
E come con Moore, gran parte di chi aveva anche apprezzato Sorcerer, è rimasta perplessa di fronte ad un gioco che parlava "del mondo reale", e ha voltato le spalle a Spione. Non "non gli è poaciuto", ma "non l'ha manco considerato", non ha fantasy, elfi, demoni, mostri, etc.
(la differenza magari è che Moore magari ci sperava, Edwards sin dal principio ha detto che Spione era completamente antitetico a tutto quello che i gamer si aspettano da un gdr, "avere il personaggio fico" in primis, e quindi era rivolto espressamente ai non gamers. Tanto da dire che non è un gdr, anche se tecnicamente lo è, per dire meglio che un gamer non ci troverebbe nulla di quello che si aspetta in un gdr)
Specifico poi, che in questo thread non sto traendo conclusioni (per questo rispondo poco e attendo interventi altrui). Le conclusioni le farò in un thread che, nele mie intenzioni, vorrebbe riunire i fili di diversi thread recenti...
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Moreno perdonami, ma allora io aspetto le conclusioni.
Perché non ho capito il senso del post iniziale allora, nel senso che proprio non capisco di cosa dobbiamo discutere.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]E poi, fino a che punto questa "paura della realtà" (o rigetto della realtà, se paura vi pare eccessivo) è autoimposto e non inculcato da una cultura dominante che utilizza l'escapismo come i romani utilizzavano il leoni al colosseo?
Qui stai toccando un tasto pericoloso. L'escapismo non è parlare di qualche cosa di non reale, ma è usare uno strumento di svago per separare se stessi dalla realtà, indifferentemente da cosa ci finisce dentro.
Bradbury è l'autore che esplora a livello più completo e socialmente intenso il fenomeno dell'escapismo fondato sulla televisione e dell'allontanamento dai libri e dalla carta stampata, perché "è difficile da leggere e quindi travia le menti", mentre la televisione è immediata e non devi far fatica per assimilarla.
Un libro di qualsiasi genere è MOLTO meno escapista di qualsiasi telegiornale attuale o di qualsiasi "reality show" moderno.
All'interno del rapporto tra escapismo e letteratura, c'è chi ha individuato nella letteratura di genere (fantascienza, letteratura fantastica e giallo) un mezzo per l'escapismo delle masse. Contro questo stereotipo, infondato nella misura in cui - come si è visto - questi generi sono tra i primi a speculare sugli effetti disastrosi dell'escapismo, hanno scritto alcuni letterati e critici, primo fra tutti John Ronald Reuel Tolkien nel suo saggio Sulle fiabe, in cui il filologo e romanziere fa una lucida e appassionata apologia del diritto al sogno e alla fantasia proprio come strumento di liberazione.
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Ti giuro Moreno che non ho capito, anche dopo essermi riletto attentamente il tuo ultimo post di cosa si parla in questo 3d.
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[cite]Autore: 3evil[/cite]Ti giuro Moreno che non ho capito, anche dopo essermi riletto attentamente il tuo ultimo post di cosa si parla in questo 3d.
Leggi solo i miei, praticamente tutti gli altri sono partiti per tangenti strane.
E poi magari chiedi sulle cose che non ti sono chiare...
[cite]Autore: khana[/cite]Qui stai toccando un tasto pericoloso. L'escapismo non è parlare di qualche cosa di non reale, ma è usare uno strumento di svago per separare se stessi dalla realtà, indifferentemente da cosa ci finisce dentro.
Lo uso per indicare il desiderio di "fuga totale dalla realtà". E sì, anche leggere una storia completamente realistica può essere escapismo, se è fatto per fuggire dalla realtà.
Però visto che questa fuga è solo una promessa, solo propaganda, ma non può essere completa (se una storia non avesse alcun contatto con la realtà non sarebbe una storia) si usano cose tipo il fantasy, la fantascienza (o anche storie romantiche sdolcinate a lieto fine o la pornografia) come "indicatori commerciali" che dicono "guarda! Ci sono le astronavi! Non c'è realtà qui dentro! Comprami!"
Questo effetto può essere usato (e lo è stato) da diversi autori per fare un "gioco di prestigio" con il lettore: alla fine gli parli di cose reali lo stesso. E' praticamente un inganno, se lo fai senza abilità o accortezza o rispetto fai solo propaganda e il lettore rimane schifato, se invece riesci a acquisire la sua compartecipazione nell'inganno, ottieni quelle storie che rimangono negli anni ricordate con affetto. Che (e la cosa è paradossale) anche per chi cerca escapismo sono spesso storie assolutamente non escapistiche (dalla commedia umana che sono i Paperi di Barks, a storie di supereroi come appunto Watchmen, o persino Tolkien).
Però, una volta chiuso il libro, non è che si dice "in questo libro c'era della realtà e lo ha reso migliore! Non devo più avere paura di leggere storie non fantasy o non di fantascienza o comunque non all'apparenza escapiste!", ma si dice "bello! Voglio ancora ecapismo!" (sto ovviamente generalizzando in maniera grossolana, il fatto che libri non escapisti si continuano a vendere e pubblicare dimostra che questo processo non avviene in parecchia gente. Ma è abbastanza comune da essere praticamente la norma)
Il "problema" di questo (sia per il lettore che per l'autore) è che, con questo "inganno" arrivi solo ad un certo punto. Per parlare di certe cose, di altre cose, serve un lettore che lo voglia veramente. Insomma, posso essere bravo finchè voglio ad "ingannare" il lettore, ma per fargli leggere "Maus" non posso dirgli che è una storia di topi nello spazio....
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Ma il meccanismo del fantastico non può essere semplicemente un espediente per astrarre dalle singole esperienze personali, da un singolo angolo di realtà, qualcosa in cui più persone si possano riconoscere, e non una barriera?
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Ok.
Però non è che l'allegoria è necessariamente escapismo.
Secondo me è una conclusione un po' "viziata" dal fatto che a te personalmente piace di più un genere "realistico". Che non è né un problema, né un difetto.
Maus ha come protagonisti topi e gatti. Ma è un'allegoria. Che non è escapista.
Se ci metti elfi e orchi, è diverso?
Giocare a Mouse Guard è escapista?
Guardare Maria de Filippi che ti "vende" il sogno della gloria e della fama e della richezza e della f**a è meno escapista?
EDIT: cross post con Mr. Mario che ha spiegato a cosa serve l'allegoria :P
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Giusto per essere certi di star parlando della stessa cosa: state parlando di allegoria o di applicabilità?
“Io però detesto cordialmente l'allegoria in tutte le sue manifestazioni, e l'ho sempre detestata da quando sono diventato abbastanza vecchio ed attento da scoprirne la presenza. Preferisco di gran lunga la storia, vera o finta che sia, con la sua svariata applicabilità al pensiero ed all'esperienza dei lettori. Penso che molti confondano "applicabilità" con "allegoria"; l'una però risiede nella libertà del lettore, e l'altra nell'intenzionale imposizione dello scrittore” (Tolkien, prefazione alla seconda edizione di Il Signore degli Anelli (http://www.eldalie.com/Saggi/PrefazioneJRRT.htm)).
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Hm, presumo che la scelta di usare topi per gli ebrei e gatti per i nazisti sia "allegorica", in Maus, no?
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[cite]Autore: khana[/cite]Hm, presumo che la scelta di usare topi per gli ebrei e gatti per i nazisti sia "allegorica", in Maus, no?
Direi di si... Ma ormai sono aperto a qualunque interpretazione. :)
Rob
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A me non fa differenza, Mauro. Che la trasferibilità delle emozioni ci sia perché la vedo io o perché ce l'ha messa l'autore consciamente, non toglie che ci sia. Il punto è se nel trasferimento l'emozione viene inevitabilmente annacquata oppure no.
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Cosa sto dicendo invece? Leggete il TITOLO del thread: davvero, pensavo fosse abbastanza esplicito. Sto parlando di un LIMITE. Un limite oltre al quale certi "genre trapping" tipo i costumi, gli spadoni, ma anche la fanciulla bellissima casta e pura o il giovine prode e valoroso ci stanno come i cavoli a merenda.
Se il nocciolo della questione sta tutto qui allora i messaggi di Korin e Mauro che hai citato nel post di apertura così come anche la tue considerazioni iniziali ci stanno come i cavoli a merenda.
E in questo caso, sì, sono d'accordo: gli "stereotipi" di genere rappresentano intrinsecamente un limite che rende certi generi più adatti a raccontare certi tipi di storie e probabilmente trattare certi tipi di temi. Invito chi non l'avesse fatto a guardarsi Ashes of Time per vedere un esempio cristallino di un autore che mette in scena un finto wuxia rompendo gli stilemi tipici del genere* e arrivando a trattare temi assolutamente attuali (e universali nel tempo).
*o meglio, piegandoli alle proprie esigenze e quindi rompendoli per forza di cose
edit: mi ero perso la seconda pagina di post... questo è stato scritto avendo letto solo i messaggi 1-50
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Perdonami Moreno ti faccio due domande.
Da una parte è corretta il tuo tentativo di spiegare in parole povere come il mercato della cultura influisca nella definzione di genere. Effettivamente funziona così, non è ne buono ne cattiva la cosa, è un processo culturale derivante da processi tipici della nostra cultura - inteso come occidentali -.
Quello che è importante è dare giudizi di tipo morale al processo, perché anche con questo processo in atto si sono creati dei capolavori.
Poi ci sono due livelli di critica a che ho capito e sono la parte interessante del topic. Ti chiedo conferma prima di andare avanti, quindi espongo i punti, poi passo alla critica.
Livello 1
Il perché il lettore legge fantasy o fantascienza, che tu per farla brutalmente breve identifichi con -> fuga dalla realtà. Perché qualcuno legge fantasy? Per quel motivo li. A questo hai collegato il discorso su Moore e il comportamento dei suoi lettori quando ha iniziato a scrivere altro rispetto agli uomini in calzamaglia;
Livello 2
Per parlare di certe cose, di altre cose, serve un lettore che lo voglia veramente.
Aspetto la vidimazione per capire se sono i punti su cui posso ragionare o c'è altro.
Grazie.
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Io mi sono reso conto di avere anche un altro dubbio. Non è che in fondo la letteratura di narrativa è, in sé e per sé, intrinsecamente escapista? Per parlare di argomenti in qualche modo concernenti la realtà del mondo, attuali o meno che siano, così come anche per parlare della natura umana, non è strettamente necessario ricorrere a romanzi, novelle, o altre forme di finzione. Al giorno d'oggi le librerie sono piene di saggi e opere di divulgazione. In fin dei conti se sono interessato al fenomeno delle Private Military Companies non è che vedere Route Irish di Ken Loach sia preferibile a leggersi Big Boy Rules, Blackwater: The Rise of The Most Powerful Mercenary Army o The Market for Force (tanto per fare alcuni esempi). Quindi dove è che si stabilisce il limite tra letteratura escapista e letteratura che tale non è?
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Leonardo, perdonami, ma hai completamente ribaltato il concetto stesso di esapismo.
Ribadisco che Farenheit 451 e il libro per eccellenza che parla degli effetti dell'escapismo sulle masse. Ed è un romanzo.
[cite]Autore: Leonardo[/cite]Quindi dove è che si stabilisce il limite tra letteratura escapista e letteratura che tale non è?
La letteratura NON è escapista. Per definizione. Perché la letteratura ha sempre un messaggio e questo messaggio è sempre riferito alla natura umana e serve per "guardarsi dentro".
Esiste un errore storico di fondo che fa risalire l'escapismo a tutto ciò che è distacco dal lavoro produttivo.
Questa cultura (di non difficile identificazione) non è mai riuscita a dare un vero ruolo o un valore all'arte, riconducendolo sempre e solo ad una forma negativa alienante e generatrice di dipendenze.
All'atto pratico questa cultura è riuscita a produrre solo controllo dei medium e arte sociale: veicolo e strumento del controllo sulle masse. Ossia escapismo nel vero senso del termine. Non si può sempre e solo usare il materialismo storico per analizzare le cose. E' uno strumento di analisi socio-ecnomica, con le forme artistiche ed espressive non c'entra niente.
E' da 15.000 anni che l'uomo si inventa storie. Lo fa per insegnare, per condividere la propria umanità, per comunicare messaggi emotivi e per confrontarsi. E' innato. Fa parte di noi.
A mio avviso è paradossale che qualcuno che gioca di ruolo critichi di escapismo una qualsiasi forma espressiva, perché il gioco di ruolo è considerata la prima e principale forma di escapismo, proprio da questa cultura e da chi si è "inventato" questi concetti.
Il fatto che si "ruoli" A Flower for Mara o che si "ruoli" Word of Warcraft non fa nessuna differenza in termini di escapismo: stai comunque impersonificando un alterità, un diverso da te, un qualcosa d'altro che non esiste e non esisterà mai perché è fiction.
Dal momento che riesci a collegare questo tuo "ruolare" a fatti e situazioni che -TI- riguardano, non è escapismo.
E questa, insisto, è una capacità del giocatore, non del gioco, dell'autore o dello scenario. Perché se sto ruolando fatti che lo scenario mi impone e non sto parlando di "ciò che riguarda me", è comunque escapismo.
L'escapismo è rifuguarsi nella fiction per non pensare ai propri problemi. Non confondiamo il "non saper affrontare la realtà" con fatti di cronaca... non c'entra con l'escapismo; si è escapisti quando si trovano modi per evitare di pensare alla propria condizione sociale, quindi al sé riferito e calato in un contesto sociale che non si accetta.
Ma qualcuno avrebbe il coraggio di dire a Sartre che è escapista?
Escapismo e idealismo non sono sinonimi, nemmeno escapismo ed esistenzialismo sono sinonimi e non sono sinonimi neanche escapismo e fantasia.
Forse comincio a capire perché ogni tanto si vendono riferimenti negativi e giudizi negativi alla CA Simulazionista... che viene confusa per escapista. Io non sono di questo avviso.
Shakespear non è escapista, neanche nel Sogno di Una Notte di Mezza Estate.
Ma a pensarci bene, nemmeno Avatar è escapista. Il messaggio è chiaro e forte, magari banale, ma è lì e si vede, in tutta la sua celeste imponenza.
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Personalmente, credo che la confusione sia fra il "fuggire dalla realtà" e "l'uscire dai limiti della mia esperienza"
La letteratura, il cinema, il teatro, la pittura, l'arte in generale fanno per loro natura la seconda cosa: nella forma più banale ti fanno vedere com'è fatto un Canguro anche se non hai mai visto in vita tua, ti danno notizie, informazioni e magari propaganda. Ma possono fare molto di più: ti possono far capire come pensano altre persone, i loro punti di vista, possono espandere in maniera enorme il range delle tue percezioni. Concordo con chi parla (non mi ricordo di chi è la frase, scusate) dell'analfabetismo (di andata e di ritorno) o di una vita senza questo tipo di interfacciamento con la produzione artistica di altre persone, come della mancanza di un organo di senso. Come essere ciechi, o sordi, ti manca uno dei mezzi più importanti per percepire la realtà. Come un cieco per "vedere" le facce deve toccarle, così un analfabeta per conoscere i pensieri di altre persone deve andare a "toccarle personalmente" parlando con loro una per una. Gli manca un organo di senso.
E questo lo fa OGNI opera.
l'Escapismo è un altra cosa. E' "il non voler pensare". (non concordo molto con la definizione che ne ha dato Khana: se leggi della guerra arabo-israeliana di sicuro non pensi ai tuoi problemi, ma non è certo escapismo...).
Ma in questa discussione abbiamo incrociato un po' i flussi. Un po' tutti (io compreso) abbiamo usato escapismo e fantasia come parole-jolly che potevano significare un po' tutto, e probabilmente avremmo fatto meglio a specificare maggiormente.
Per esempio, una delle differenze di cui volevo parlare in uno di questi thread (anche se magari non in questo) era la differenza fra il Conan di Robert E, Howard e quello di De Camp. E di come secondo me solo il secondo è escapismo. Ma mi rendo conto che usare "escapismo" in questa differenziazione provoca solo confusione, dovrei parlare magari di forme di wish-fullfillment.
Ma qui andiamo più sulla risposta a Fenna, che vado a scrivere...
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]se leggi della guerra arabo-israeliana di sicuro non pensi ai tuoi problemi, ma non è certo escapismo
Credo sia un concetto diverso: khana ha detto che l'escapismo "è rifugiarsi nella fiction per non pensare ai propri problemi"; leggere della guerra arabo-israeliana non è né rifugiarsi nella fiction, né un modo per non pensare ai propri problemi (di norma; chi lo fa, tra quelli che conosco, lo fa per altri motivi).
Per come ho capito, il discorso è piú che altro l'usare le storie come un mezzo per fuggire dai propri problemi (e io pongo la distinzione tra "fuggire" e "prendersi una pausa": se leggo un libro per non pensare per dieci minuti ai miei problemi, non è escapismo, è rilassarsi un attimo); quello di cui parli tu nel pezzo citato mi pare piú che altro leggere qualcosa che non ha l'effetto di farti pensare ai tuoi problemi, ma è un concetto diverso.
Ora non ho il libro (Albero e Foglia) sottomano, ma Tolkien in tal senso distingueva l'evasione del prigioniero dalla fuga del disertore.
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[cite]Autore: khana[/cite][cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite][p]Come mai nessuno ha citato la scelta di Moore?[/p]
[p]Perché non c'è molto da commentare, secondo me. Ha preso una scelta, anche artistica e non mi pare che il mondo ne abbia "perso".
Comunque non mi pare che V for Vendetta sia avulso da "calzamaglie"...[/p]
Rileggendo il thread mi sono accorto che nonm avevo risposto a questa.
V for Vendetta è del 1982 (almeno la concezione della storia e la pubblicazione su Warriow, anche se gli ultimissimi episodi sono stati disegnati molto dopo). Precedente a Watchmen.
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[cite]Autore: khana[/cite]Leonardo, perdonami, ma hai completamente ribaltato il concetto stesso di esapismo.
Lo so che è quello che ho fatto e sono essenzialmente d'accordo con la tua risposta. Forse non risultava chiaro dal post, ma il mio era un tentativo di ragionare "per assurdo" portando alle estreme conseguenze (anche un po' provocatoriamente) quelle parti dell'opinione di Moreno che non mi trovo a condividere (sempre se ho capito quello che intende).
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[cite]Autore: fenna[/cite][p]Poi ci sono due livelli di critica a che ho capito e sono la parte interessante del topic. Ti chiedo conferma prima di andare avanti, quindi espongo i punti, poi passo alla critica.
Livello 1
Il perché il lettore legge fantasy o fantascienza, che tu per farla brutalmente breve identifichi con -> fuga dalla realtà. Perché qualcuno legge fantasy? Per quel motivo li. A questo hai collegato il discorso su Moore e il comportamento dei suoi lettori quando ha iniziato a scrivere altro rispetto agli uomini in calzamaglia;
Livello 2
Per parlare di certe cose, di altre cose, serve un lettore che lo voglia veramente.[/p][p]Aspetto la vidimazione per capire se sono i punti su cui posso ragionare o c'è altro.[/p]
La prendo alla lontana.
A cosa serviva questo topic?
Parte dal topic sul wish-fullfillment. Che toccava diversi temi che mi stanno a cuore. Volevo quindi dare il via ad una SERIE di thread che li affrontasse.
Alcuni di quest temi (non mi sono fatto una lista, pensavo di affrontarli man mano che mi venivano in mente, quindi qualcuno lo dimentico di sicuro):
- la differenza fra "story now" e "right to dream" dal punto di vista del "mettersi in gioco", e conseguente a questo (anche se non è la stessa cosa), il gdr come entertainment e come attività creativa.
- Perchè i roleplayers fuggono da qualunque cosa di "reale" nelle loro storie fino ad arrivare a livelli di cui essi stessi ridono (vedere innumerevoli vignette online su chi vuole giocare un ninja a CoC o persino in Steal Away Jordan), e perchè c'è questa idea che "più fantasy/sf c'è, più ci si diverte"
- Perchè c'è questa idea che la realtà renda pallose le storie, quando l'esperienza quotidiana di tutti dice il contrario: le storie preferite e ricordate non sono praticamente mai, dopo una certa età, quelle puramente escapiste.
- L'escapismo come illusione e inganno, reclame, per vendere prodotti.
- Perchè la fuga della realtà rende il gdr un genere di intrattenimento, e non una forma espressiva. E viceversa, per essere una forma espressiva, deve potersi occupare della realtà.
- Perchè mai giocare giocare un personaggio "figo" dovrebbe farti sentire "figo", quanto l'esperienza insegna che poi, collettivamente, chi lo fa poi si autorappresenta come uno sfigato, vergognandosi come dopo essersi masturbato. E perchè mai giocare un personaggio "sfigato" dovrebbe farti sentire sfigato, quando è ovvio che non è così. (e corollario: "quante balle ci propina la pubblicità")
- Onestà al tavolo e paura di dire come la pensi.
- Come si fa a fare story now quando qualcuno al tavolo vuole solo sfogarsi uccidendo coboldi? (e la differenza fra il gamismo - mettersi in gioco vedendo se sei bravo, magari uccidendo coboldi - e la soddisfazione garantita "GM, voglio ammazzare almeno 400 coboldi, mettiti al lavoro e fammi godere"). Il GM è il mestiere più antico del mondo?
e così via, probabilmente potrei andare avanti ancora un'altra pagina. I temi continuavano a venire fuori da quel thread e altri.
Ma non da questo. Che era solo la premessa del discorso. Serviva a riconoscere, e a far vedere, l'esistenza di un limite che il gdr aveva ancora paura a superare, tranne rarissime eccezioni. Solo che a vedere come questi temi negli altri thread saltavano fuori mentre qui ci si è chiusi a riccio a difendere il fantasy e la sf, mi sono reso conto che non è ancora ora. Questo è un tema da rimandare a tempi migliori (si spera)
Tornando alla tua domanda:
[cite]Autore: fenna[/cite]Livello 1
Il perché il lettore legge fantasy o fantascienza, che tu per farla brutalmente breve identifichi con -> fuga dalla realtà. Perché qualcuno legge fantasy? Per quel motivo li. A questo hai collegato il discorso su Moore e il comportamento dei suoi lettori quando ha iniziato a scrivere altro rispetto agli uomini in calzamaglia;
No. Fantasy e sf non vuol dure automaticamente fuga dalla realtà. Lo vuol dire per molti lettori. Per troppi lettori. Per questo sono generi letteralmente affogati nella merda, molto al di là delle percentuali di Sturgeon, e ho smesso di leggerle perchè ormai era peggio che cercare un ago in un pagliaio. Sono due generi praticamente ammazzati da orde di lettori che, detta schietta, "non hanno capito un " di che cos'erano veramente questi due generi, e li hanno ridotti a poco più che pornazzi che invece delle tette e uccelli hanno spadoni e elfi (tutti rigorosamente presi da D&D).
Ma ho troppi libri di fantasy e sf in casa che smentiscono l'idea che siano puro escapismo. Come farei a sostenere la vista di "Mattatoio 5", "Davy, l'Eretico" e il Signore degli Anelli che mi osservano dalla libreria?
[cite]Autore: fenna[/cite]Livello 2
Per parlare di certe cose, di altre cose, serve un lettore che lo voglia veramente.
Questo sì. Questo è uno degli aspetti del Limite di cui ti parlavo.
La forza, e la dannazione, della sf è che riesce a parlare della realtà attuale (quella del lettore) senza farsi scoprire. Ci è riuscita così bene che purtroppo un sacco di lettori non l'hanno mai capito e pensano che se parla della realtà, non è più sf.
Per quanto "a fin di bene", questo inganno è ancora un inganno. E ha dei limiti.
Per superarli, devi poter dire al lettore "OK, questa non è fantascienza, va bene lo stesso?"
Il lettore, a quel punto, è in grado di superare il terrificante panico che sente di fronte a queste parole, o scappa terrorizzato? E se lo fa, non è un limite?
(sto ancora generalizzando di brutto, molti lettori lo superano o non sentono proprio alcun terrore. Quello che mi preoccupa ai fini di questo thread è che se andassimo a vedere quanti di questi lettori giocano ai gdr, li troveremmo quasi tutti fra quelli che scappano...)
Ma come ho detto, questo thread è praticamente fallito, non lo chiudo subito per dare a tutti la possibilità di postare le loro ultime considerazioni, ma non si è mai nemmeno avvicinato allo scopo originario.
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Anzitutto grazie.
Quello che volevo capire era dove volesse andare il tuo discorso per non perdermi, in effetti non erano tanto domande.
Il punto non credo che sia mai girato attorno al tanti o pochi, alla letteratura cattiva o a quella buona.
Il punto credo che sia, correggimi se sbaglio, lo scopo per cui si legge, si guarda un opera.
Quello che non riesco a vedere come negativo è l'accezione del farlo per puro godimento letterario, capisci il punto?
I meccanismi che portano il lettore verso l'affettività ad un testo sono molteplici, non esiste una scala vera e propria di valori. Puoi sentirti più vicino ad alcuni concetti che ad altri, ma di fatto sono da una parte simili, ma quello che cambia è il percorso che è singolo per ognuno: tizio può leggere perché la lettura è il momento per se stesso della giornata; può leggere indiscriminatamente perché è un bulemico divoratore di trame e intrecci; può leggere perché è attirato dallo stile della scrittura e si delizia nel vedere come sia cambiato negli anni. Il perché si legge e ci si affeziona a dei testi è cosa strana.
Che in parte riguardi il mettersi in gioco - non uso queste parole a caso - è effettivamente vero, che si possa stabilire una supremazia di un valore - ad esempio la vicininanza emotiva delle vicende del protagonista rispetto ad altro - per me è impossibile a dirsi.
E ora veniamo al play usafe, di sottofondo.
Dirò una cosa dura e userò una metafora forte: é ovviamente personale, non parlo delle persone, ma è una metafosa sulla classificazione dei gusti.
Di fatto il meccanismo del lasciarsi andare completamente e aprirsi al prossimo, anche sconosciuto, attraverso la creazione di una situazione fittizia altra è tipico del sesso bondage.
Questo tipo di esperienza così aperta, non è per tutti, io, ad esempio, la rifiuto abbastanza pesantemente, ma riesco a perfettamente a capire a chi piace.
Alla stessa maniera il gioco unsafe di cui parla Jessie nel suo articolo è qualcosa a di estremamente intenso, ma potrebbe non essere ne lo scopo per cui la gente gioca, ne essere uno strumento adatto a tutti i palati.
Quello che ritengo importante dell'articolo, ma del principio di fondo del unsafe è relativo al fatto che, se si vogliono dei personaggi vivi e vicini si debba mettere, inevitabilmente "parte di se".
Io parlo sto parlando di RPG tabletop, appena ho occasione di provare un live jeep se ne potrà riparlare.
Aloa!
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite](vedere innumerevoli vignette online su chi vuole giocare un ninja a CoC
Tipo questa: http://www.dorktower.com/2010/06/01/dork-tower-monday-may-31-2010/
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A seguito di un chiarimento privato con khana (iniziato perché avevo l'impressione - poi confermata - che alcune parti dei miei messaggi fossero equivocate), cerco di chiarificare il mio pensiero in materia.
Innanzitutto: io non sono convinto che una storia reale dia più impatto di una realistica; anzi: il mio dubbio è proprio perché una storia che sembra in tutto e per tutto reale (significato con cui uso "realistica" in questa sede) darebbe meno impatto di una che è reale; mentre una storia che ovviamente non è reale darebbe lo stesso impatto di una che lo sembra. Se è vera reale > realismo (come quantità dell'impatto emotivo, non nel senso di migliore), allora mi pare ancora più vero che realismo > fantastico, perché si è aggiunto un ulteriore, e più forte, distacco dalla realta.
Può essere vero che leggere una storia come Don't Tell Mummy credendo che sia finzione; e sapere che c'è qualcuno che l'ha veramente fatto; cambi cosa si prova (se non altro perché l'incazzatura passa da un inesistente personaggio a una specifica persona; ma questo potrebbe essere focalizzazione, piuttosto che vicinanza). Non sono però certo che il passaggio reale => realistico sia tale da inserire necessariamente un filtro.
Ora, il discorso del fantastico: per me inserisce un filtro? Dipende. Sicuramente credo che un elemento sovrannaturale rilevante per le vicende che vanno a toccare il lettore possa inserire un filtro emotivo.
Per esempio: se muore un personaggio e si sa che è possibile riaverlo, è ben diverso dal doverci convivere; questo perché il dolore di vivere la morte risiede (anche) nel fatto che non si vedrà mai più il morto: se la morte diventa un "Ci vediamo tra dieci minuti", è come se il morto fosse uscito a prendere le sigarette.
Magari ciò che il padre fa per riavere il figlio innesca milioni di cose che aprono milioni di Premesse (termine tecnico), che in quanto tali hanno rilevanza e impatto a livello umano; ma tale impatto non deriva dalla morte. In pratica, credo sposti il fulcro: l'impatto emotivo non è la morte del figlio, che è reversibile, ma quello che il padre fa per annullarla.
È stato detto che, inserendo elementi fantastici, l'importante per non perdere di impatto è che il fantastico non sia ciò che risolve tutto; partendo da quest'assunto: se il fantastico mi fa risolvere la morte, allora non è la morte che genera emotività.
Ora: il figlio del protagonista muore e c'è un Drago sullo sfondo? Chi se ne frega.
Il figlio del protagonista muore e c'è a fianco un chierico pronto a resuscitarlo? Impatto azzerato (tra l'altro: è uno dei motivi per cui trovo ridicolo il finale del film di D&D: tutti a disperarsi per la morte di uno... in un mondo con la resurrezione).
È la possibilità di annullare l'evento che credo tolga forza all'evento stesso.
Nell'ambito dei giochi di ruolo in cui il sovrannaturale è in mano ai giocatori, può agire da valvola di sfogo: mi da troppo fastidio che Fratello Joshua sia stato ucciso? Lo resuscito, e questo attenua l'impatto emotivo.
Poi c'è il discorso razza, che è ancora diverso: come detto, credo (non avendo esperienza di libri in tal senso) che Don't Tell Mummy con Elfi come protagonisti mi avrebbe preso meno; e credo che questo sia perché la protagonista umana potrebbe essere qualcuno che conosco, una parente, mentre se fosse un'Elfa... non potrebbe, perché nemmeno esiste.
Khana, giustamente, mi ha chiesto qual è la differenza con la cultura maori, che è tanto lontana quanto quella elfica; la differenza credo sia che, per quanto quella cultura sia lontana dalla mia, sono comunque Uomini, che come gli Elfi hanno (parlando di personaggi di una storia) la barriera "Il personaggio non esiste", ma non hanno né quella "La razza non esiste", né quella "Il personaggio non potrebbe esistere" (in quanto è un Elfo).
Forse, il problema è questo: se i protagonisti sono Umani, sono comunque personaggi che potrebbero esistere; se sono Elfi (o altre razze), a prescindere dalla caratterizzazione si sa che non potrebbero esistere. Quindi, si crea un livello (o, se preferite, un ulteriore livello) di sospensione dell'incredulità, che richiede da un lato di essere creato (devo sospendere l'incredulità), dall'altro di non essere spezzato.
Inoltre, finché ci sono Elfi credo sia piú facile, quando la storia diventi troppo forte, rifugiarsi in un comodo "Ma sí, tanto è solo un racconto", proprio per la presenza di qualcosa che lo separa nettamente dalla realtà.
La questione diventerebbe quindi fortemente soggettiva: posto che l'elemento fantastico non sminuisca l'evento (nel senso morte-resurrezione detto prima), dipenderebbe da quanto il singolo riesce da un lato a non sfruttare la comoda scappatoia del "Tanto è un racconto"; e dall'altro da quanto risente di quel livello di sospensione dell'incredulità che viene inserito.
C'è poi un'ulteriore questione, su cui non mi sono ancora soffermato: se prendiamo per vero il principio di play close to home, inserire elementi su elementi che distanziano l'opera dall'esperienza, fermo restando che non siano il modo con cui si risolve tutto, può essere fatto indefinitivamente senza toccare l'impatto emotivo? O avere un'opera "vicina a casa" è avvantaggiata?
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Il lettore, a quel punto, è in grado di superare il terrificante panico che sente di fronte a queste parole, o scappa terrorizzato? E se lo fa, non è un limite?
Sí; ma se il lettore non riesce a superare la paura è un limite del genere o del lettore?
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[cite]Autore: Mauro[/cite]Sí; ma seil lettorenon riesce a superare la paura è un limite del genere o del lettore?
Bon, direi che abbiamo centrato il punto. :)
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[cite]Autore: Mauro[/cite]È la possibilità di annullare l'evento che credo tolga forza all'evento stesso.
A dire il vero, no. "La zampa di scimmia" è un racconto fantastico ma emotivamente per me è di un certo impatto.
E' la possibilità di annullare l'evento ad un costo apparentemente nullo che toglie forza all'evento. Se il costo da pagare è terribile, l'emotività ti viene restituita intatta.
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[cite]Autore: khana[/cite][cite]utore: Mauro[/cite][p]Sí; ma seil lettorenon riesce a superare la paura è un limite del genere o del lettore?[/p]
[p]Bon, direi che abbiamo centrato il punto. :)[/p]
Come dicevo io diversi post fa...
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite][p]Cosa sto dicendo invece? Leggete il TITOLO del thread: davvero, pensavo fosse abbastanza esplicito. Sto parlando di un LIMITE. Un limite oltre al quale certi "genre trapping" tipo i costumi, gli spadoni, ma anche la fanciulla bellissima casta e pura o il giovine prode e valoroso ci stanno come i cavoli a merenda. Perché per superare quel limite serve la sincerità e onestà più assoluta, e il paravento fantasy con cui magari, in altre opere, si riesce a parlare di razzismo in maniera da arrivare anche al cuori di qualcuno che nella vita reale voterebbe Ku Klux Klan ma che si commuove a leggere degli schiavi di Deneb, non va più bene.[/p][p]Un limite che NON è il "limite di un opera". Un opera è fatta e finita. Discutere se veniva meglio con gli elfi o senza astronavi, tranne i casi in cui effettivamente paiono messi dopo per riuscire a vendere il libro ad un editore (o il concept ad un produttore: "Gomorra nello spazio!") è abbastanza futile. Se parliamo di opere valide, gli elfi e le astronavi ci sono se hanno un senso. Se invece l'opera non è valida, ha ben altri problemi che non la presenza di astronavi.[/p][p]Il limite è quello di AUTORI (che qui mi interessano poco, anche se ho usato l'esempio di Moore) e LETTORI (o nel gdr, GIOCATORI, che sono quelli che mi interessano), che lo porta anche ad essere un limite di EDITORI ("9 anelli agli editori, che più di tutto bramano un aumento di fatturato").[/p]
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[cite]Autore: fenna[/cite]Quello che non riesco a vedere come negativo è l'accezione del farlo per puro godimento letterario, capisci il punto?
I meccanismi che portano il lettore verso l'affettività ad un testo sono molteplici, non esiste una scala vera e propria di valori. Puoi sentirti più vicino ad alcuni concetti che ad altri, ma di fatto sono da una parte simili, ma quello che cambia è il percorso che è singolo per ognuno: tizio può leggere perché la lettura è il momento per se stesso della giornata; può leggere indiscriminatamente perché è un bulemico divoratore di trame e intrecci; può leggere perché è attirato dallo stile della scrittura e si delizia nel vedere come sia cambiato negli anni. Il perché si legge e ci si affeziona a dei testi è cosa strana.
Che in parte riguardi il mettersi in gioco - non uso queste parole a caso - è effettivamente vero, che si possa stabilire una supremazia di un valore - ad esempio la vicininanza emotiva delle vicende del protagonista rispetto ad altro - per me è impossibile a dirsi.
Vedi il quote più sopra: non sto facendo un discorso di superiorità di un OPERA, sto facendo un discorso di superiorità DI APPROCCIO ALLE OPERE, o meglio, un discorso su un processo di autoriduzione delle opere che si considerano fruibili oggettivamente limitante (e che diventa anche un approccio "cieco" alle opere che si leggono, di cui si vuole vedere solo l'aspetto escapista rifiutandosi di accettare che ci sia altro)
L'escapismo, per come lo vedo io, è un problema soprattutto di atteggiamento del lettore: un opera non è escapista o no, ma è valida o no: è fatta bene o no, è arte o no, è bella o no.
[cite]Autore: fenna[/cite]E ora veniamo al play usafe, di sottofondo.
Il play unsafe è un discorso diverso. Certo, ci sono collegamenti, ma giocare una spia a Berlino non è particolarmente più "unsafe" che non giocare un vampiro. Il discorso che volevo fare riguardava il giocatore che dice "se la spia è un vampiro o ha superpoteri lo gioco, altrimenti che senso ha? Cosa può capitare di interessante ad una spia a Berlino?"
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Come dicevo io diversi post fa...
Perdonami Moreno, sembrava invece che la tua posizione fosse inequivocabilmente "è un limite del genere".
Mentre per me è un limite del lettore/giocatore.
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Sulla prima parte i miei dubbi sono sul meccanismi che portano gli attori del processo a un processo di autoriduzione delle opere che si considerano fruibili oggettivamente limitante, cioé, per farla ancor a più breve mi pare un approccio causa effetto semplicistico: il consumatore vuole leggere per evasione, l'editore pubblica romanzi dove l'unica cosa importante è l'evasione, esiste un impoverimento dell'opera.
Il punto è che in questo processo ci si dimentica che:
a) è un processo in atto da secoli, l'Orlando Furioso, il Morgante del Pulci, i romanzi de tocaria, tutta la commedia dell'arte, ma anche quella riformata, di fatto sono state fatte per vari pubblici e sopratutto per svago;
b) è un processo di cui non sappiamo nemmeno se esiste veramente: quanti fra gli autori minchioni fanno valangate di libri? Che processi di autoregolamentazione ci stanno dietro? Affettività verso i personaggi? Affettività verso un immaginario fantasy o SciFi?
Per quanto mi riguarda le tue considerazioni sono valide sotto certo aspetti, sotto quelli che ho evidenziato meno, ma va bene così.
Aloa!
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Vedi il quote più sopra: non sto facendo un discorso di superiorità di un OPERA, sto facendo un discorso di superiorità DI APPROCCIO ALLE OPERE, o meglio, un discorso su un processo di autoriduzione delle opere che si considerano fruibili oggettivamente limitante (e che diventa anche un approccio "cieco" alle opere che si leggono, di cui si vuole vedere solo l'aspetto escapista rifiutandosi di accettare che ci sia altro)
Come dice Khana, per me il limite qui è del lettore/giocatore e dell'autore della storia (nel caso in cui le due persone non coincidano), non un limite intrinseco del genere; e anche se lo fosse, sarebbe ancora colpa degli autori di quel genere, quindi delle persone che vi si approcciano, perché sono loro che ne fanno un uso tale da castrarsi a livello tematico.
[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Cosa può capitare di interessante ad una spia a Berlino?
Non ho mai giocato a "Spione," ma credo che chi dice che non capiti nulla di bello nella vita di una spia a Berlino in piena Guerra Fredda sia un ignorante di una certa categoria: a prescindere dal fatto che, cazzo, stai giocando una spia, non il garzone del macellaio, c'è tutto il contesto della Guerra Fredda attorno... Come può non essere interessante? :)
-MikeT
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[cite]Autore: Mr. Mario[/cite]"La zampa di scimmia" è un racconto fantastico ma emotivamente per me è di un certo impatto
Premetto che non lo conosco (lo cercherò e leggerò), ma "è un racconto fantastico" non significa, almeno non sulla base del mio discorso, "ha meno/poco impatto".
Se quindi con quella frase intendevi il solo "è un racconto fantastico", esce da quanto ho detto; se invece intendevi "è un racconto fantastico in cui l'elemento fantastico annulla l'evento", ci può rientrare.
[cite]Autore: Mr. Mario[/cite]E' la possibilità di annullare l'eventoad un costo apparentemente nulloche toglie forza all'evento. Se il costo da pagare è terribile, l'emotività ti viene restituita intatta
L'emotività dell'evento, o del costo terribile che si è pagato? Se muore mio figlio e lo resuscito, ma farlo causa distorsioni temporali con stragi e guerre, l'emotività viene dalla morte del figlio o dalla mia scelta di causare quelle cose pur di resuscitarlo (e, quindi, dal conflitto tra la vita di un figlio e i danni che si causerebbero per riaverlo)? E l'impatto della morte sarebbe stato lo stesso, se non ci fosse stata la possibilità di resuscitarlo?
Moreno: se parlavi del limite del lettore e dell'approccio, personalmente non l'avevo capito; dal titolo e dal messaggio mi sembrava che parlassi di limite del genere.
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[cite]Autore: Moreno Roncucci[/cite]Il play unsafe è un discorso diverso. Certo, ci sono collegamenti, ma giocare una spia a Berlino non è particolarmente più "unsafe" che non giocare un vampiro. Il discorso che volevo fare riguardava il giocatore che dice "se la spia è un vampiro o ha superpoteri lo gioco, altrimenti che senso ha? Cosa può capitare di interessante ad una spia a Berlino?"
Allora su questo punto sono completamente d'accordo. E' pur vero che c'è anche il rovescio della medaglia "se ci sono i supereroi è una cosa da bambini, puah."
[cite]Autore: Mauro[/cite]Se quindi con quella frase intendevi il solo "è un racconto fantastico", esce da quanto ho detto; se invece intendevi "è un racconto fantastico in cui l'elemento fantastico annulla l'evento", ci può rientrare.
La seconda che hai detto.
[cite]Autore: Mauro[/cite]L'emotività dell'evento, o del costo terribile che si è pagato?
Non devono essere necessariamente separate. Se la cosa è raccontata bene anzi le cose possono prendere le mosse l'una dall'altra. Si può fare intervenire il mcguffin della situazione in una qualsiasi delle cinque fasi di elaborazione del lutto, e questo non rende le precedenti meno potenti. La zampa di scimmia interviene nella fase della contrattazione. Ne ho letta in un fumetto una straziante che interveniva subito in quella della negazione.
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[cite]Autore: Mr. Mario[/cite]Ne ho letta in un fumetto una straziante che interveniva subito in quella della negazione
Ricordi il titolo?
[cite]Autore: Mr. Mario[/cite]Si può fare intervenire il mcguffin della situazione in una qualsiasi delle cinque fasi di elaborazione del lutto, e questo non rende le precedenti meno potenti[/p]
Questo è un aspetto che ho volutamente tralasciato (sottolineo che il mio messaggio partiva dall'ipotesi che a priori si sappia della resurrezione: "se muore un personaggio e si sa che è possibile riaverlo"): cosa succede se non si sa a priori che la morte (dico "morte" perché è l'esempio corrente, ma il discorso è estendibile in generale) può venire annullata dall'elemento fantastico?
Per me, l'impatto al momento della morte è uguale (come potrebbe non esserlo? Dal punto di vista del fruitore non c'è nulla di diverso), ma in seguito alla resurrezione viene attenuato. Questo capita perché se il morto resta tale il dolore causato dalla sua dipartita resta; se invece resuscita, da quel momento in poi ciò che si prova è legato a una situazione passata e finita, non a una presente: non sono triste perché è morto; ero triste perché era morto (e, se sono triste perché era morto, situazione che mi pare più che altro un'ipotesi astratta, è comunque diverso, perché la causa della tristezza è passata e finita).
Credo che questo possa, grazie anche al senso di euforia dovuto al riavere un personaggio di cui si era pianta la morte, anche smorzare il ricordo dell'impatto provato.
Per me, tra "Provo qualcosa perché è morto" e "Provo qualcosa perché era morto" c'è una differenza; l'impatto della morte, dal momento in cui "è" è diventato "era", è diverso.
Inoltre, per quanto ciò che si è provato nelle fasi dell'elaborazione del lutto precedenti alla resurrezione non venga reso meno potente, quello che si sarebbe provato nelle successive viene cancellato dalla cancellazione della morte. Quindi, con l'eventuale eccezione che la resurrezione avvenga a fasi ultimate, già solo per questo l'impatto della morte è meno forte.
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[cite]Autore: Mauro[/cite]Per me, l'impatto al momento della morte è uguale (come potrebbe non esserlo? Dal punto di vista del fruitore non c'è nulla di diverso), ma in seguito alla resurrezione viene attenuato. Questo capita perché se il morto resta tale il dolore causato dalla sua dipartita resta; se invece resuscita, da quel momento in poi ciò che si prova è legato a una situazione passata e finita, non a una presente: nonsonotriste perchéèmorto;erotriste perchéeramorto (e, sesonotriste perchéeramorto, situazione che mi pare più che altro un'ipotesi astratta, è comunque diverso, perché la causa della tristezza è passata e finita).
Questo però è funzionale al "prezzo da pagare" per riaverlo. Che è quello che si stava cercando di spiegare.
Se torna in maniera "trullallà", sono perfettamente d'accordo con te.
Ma se torna al prezzo di qualche cosa di altrettanto "alto", la situazione cambia. Chiaro che l'attenzione non è più sulla tristezza per la morte, ma su qualcosa d'altro.
Prendi ad esempio il mito di Orfeo, la morte di Euridice è solo un pretesto per creare la "vera storia" del mito e della discesa negli inferi.
Certo che se la critica del genere è semplicemente riferita a quanto sia ridicolo il mondo che viene create da una ambientazione "standard" di D&D, non penso si possa aggiungere molto ai commenti di tutti, ma il problema non è il fantasy, è D&D che è un wargame travestito e non è mai riuscito a rendersi qualcosa di diverso da un wargame travestito, per il quale "resurrect" non è altro che una delle tante risorse a disposizione su base aritmetica di un giocatore, la cui unica giustificazione è quindi "use per day".
Ma questo è il frutto di un clash di CA, di persone (noi) che vogliono alte giustificazioni narrativiste a cose che sono pensate come mero gamismo.
Se il setting fosse il Dr. House, non sarebbe meno ridicolo: "salvi un paziente al giorno".
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[cite]Autore: khana[/cite]Ma se torna al prezzo di qualche cosa di altrettanto "alto", la situazione cambia. Chiaro che l'attenzione non è più sulla tristezza per la morte, ma su qualcosa d'altro
Ma io sono d'accordo, vedi quando ho detto che "Magari ciò che il padre fa per riavere il figlio innesca milioni di cose che aprono milioni di Premesse (termine tecnico), che in quanto tali hanno rilevanza e impatto a livello umano; ma tale impatto non deriva dalla morte. In pratica, credo sposti il fulcro: l'impatto emotivo non è la morte del figlio, che è reversibile, ma quello che il padre fa per annullarla".
Il mio scorso messaggio era volto ad approfondire il perché l'impatto non deriva dalla morte (in caso si sappia a priori della resurrezione) o è comunque attenuato (in caso si scopra dopo), perché in questo (http://www.gentechegioca.it/vanilla/?CommentID=80464) messaggio Mario toccava la possibilità che l'impatto dell'evento e quello del costo convivessero. Visto che tale possibilità faceva riferimento a un caso che non avevo trattato (che l'esistenza della resurrezione si scopra dopo la morte), ho approfondito.