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« il: 2013-01-10 10:11:35 »
Shahida, preso a Lucca. Da allora è sul mio comodino. L'ho preso in mano due volte, due volte l'ho rimesso giù. Non riesco proprio a digerire le stupidaggini che trovo nell'introduzione e nel primo capitolo, in quello che cerca di essere evidentemente un saggio storico, perlomeno nella prima parte. Sarà la mia deformazione professionale ingegneristica, ma già sopporto poco la non obiettività (quando invece di riferire i fatti si dice cosa se ne pensa: me ne frega nulla, tu dimmi cosa è successo, poi l'idea me la faccio io) non parliamo di quando si usano delle ipotesi oggettive false per portare avanti una propria tesi soggettiva.
Esempio stupido: a un certo punto nell'introduzione si parla di bombe al napalm o al fosforo come armi chimiche. E' una stupidaggine. Secondo la definizione data dalle convenzioni internazionali, che se volete vi vado a cercare, queste non sono armi chimiche, dato che non hanno effetto asfissiante, ma incendiarie. Altrimenti anche i proiettili sarebbero armi chimiche, perché dopotutto la polvere da sparo quando brucia fa una reazione chimica. Perché mi ci incazzo? Perché a me ripugna che vengano usate queste armi in zone abitate da civili (qualsiasi arma, comprese quelle di chi tra i civili si nasconde), ma mi ripugna anche che si cerchi di suscitare indignazione usando delle balle. E' una cosa faziosa che automaticamente squalifica quello che si sta dicendo, perdendo un'ottima occasione per delle riflessioni serie.
Esempio stupido numero due: il capitolo sul Kalashnikov. E' un esilarante esempio di propaganda. Tralascio le lodi sperticate al fucile, che mi sembrano del tutto fuori luogo in un testo del genere (viste le miserie che sono state inflitte con quell'arma) ma perlomeno hanno un senso, ma la parte sul suo contraltare, l'M16, è ridicola. La struggente immagine del povero fantaccino americano oppresso dai superiori con il fucile inceppato in Afghanistan fa venire le lacrime dal ridere... Considerando che sono tutti volontari, che il fucile che si usa oggi non ha niente a che vedere con quello di 40 anni fa in Vietnam, e che non risultano particolari problemi di esercizio.
Ora, a qualcuno non sembreranno cose gravi, ma sono cose che uno che si occupa di storia contemporanea non può non sapere: se le sa vuol dire che è in malafede, se non le sa vuol dire che non dovrebbe scriverne. A me queste prime pagine hanno fatto venire in mente Giacobbo che parla di pseudoscienza, sparando minchiate a destra e manca in favore dello spettacolo, sfruttando la propria posizione per dare autorevolezza a quello che dice. Ecco, la divulgazione scientifica è Piero Angela, forse, ma non Giacobbo. Allo stesso modo, la divulgazione storica non è Edwards. O perlomeno non è Shahida.