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Topics - Daniele Di Rubbo

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Gioco Concreto / [My Red Goddess] La città prende vita
« il: 2019-10-05 08:08:35 »
Un aspetto che non ho trattato nell’actual play del mio primo playtest di My Red Goddess è senz’altro quello relativo al fatto che da nessuna parte nel gioco si dice che occorre stabilire dove e quando la storia è ambientata.

In quella partita abbiamo, di fatto, giocato in una versione fantastica della Los Angeles degli anni Cinquanta (seppure non lo abbiamo mai dichiarato esplicitamente), ma com’è che è uscita quell’idea?

Le autorità relative al mondo nel gioco sono attribuite a lei, ma lui può fare dichiarazioni del mondo, se vuole. In poche parole, l’autorità sul mondo si trova a mezzo cammino, con un predominio dell’autorità di lei rispetto a quella di lui. È come dire che questo, tendenzialmente, è un compito di lei, ma che anche lui può, e dovrebbe, collaborare, nella misura in cui si sente a suo agio a farlo. C’è un grande sconfinamento amichevole su questa autorità.

I luoghi

Nel corso della nostra partita, sono emerse, in ordine, i seguenti luoghi.

La villa dei Darrow

Creata da me (lei) nella scena d’ingaggio. Era del signor Darrow, ma ora che è morto è la casa della vedova, Faith Darrow, la femme fatale. L’abbiamo vista ancora nella prima scena d’investigazione, nella scena del confronto e nella vignetta conclusiva del detective. Non l’abbiamo mai detto esplicitamente, ma mi sono sempre immaginato che fosse in un quartiere per bene.

Il “Blue Palms”

Locale sul lungomare della città, con pianista e cantanti, dove vanno molti giovani artisti e debosciati. L’abbiamo visto nella seconda scena d’investigazione. Qui abbiamo scoperto che la città è sul mare, cosa che prima non avevamo mai detto.

La bisca clandestina del quartiere italiano

Creata da me per bocca del barista del “Blue Palms”, nella seconda scena d’investigazione. Durante quella scena, Michele, per bocca del detective, ha fatto il nome di due famiglie italiane, ed è lì che è venuto fuori che la bisca era di Antenucci. Quindi abbiamo creato assieme una bisca clandestina e uno squallido quartiere italiano. Lo abbiamo visto nella terza scena d’investigazione.

Il motel “Idaho”

Creato nella terza scena d’investigazione, per bocca di Ethan Price. Qui abbiamo citato per la prima volta un «fuori città», una periferia, e il relativo motel, con quel nome, gestito da un nativo americano. Lo abbiamo visto nella quarta scena d’investigazione.

La strada per la villa dei Darrow

L’abbiamo creata e vista nella quinta scena d’investigazione, che di fatto si è svolta quasi tutta su quella strada indefinita, all’interno della macchina del detective. Sebbene non l’abbia detto esplicitamente, l’ho immaginata e l’ho descritta in modo che si capisse che è una di quelle tipiche strade a scorrimento veloce, per raggiungere le varie parti di una città molto grande, come potrebbe essere una Los Angeles, appunto.

La chiesa di san Brendano degli irlandesi

Citata durante la quinta scena d’investigazione, creata in parte da Michele, in parte da me:

Steve: «Conosci la chiesa?».

Taylor: «Quale? Quella di san Brendano? Dove vanno gli irlandesi?».

Non l’abbiamo vista, ma solo citata. Sono quasi sicuro che si trovi nel quartiere storicamente popolato dai migranti di origine irlandese, anche se non l’abbiamo mai detto esplicitamente.

Hotel elegante di Angelucci

Citato nella quinta scena d’investigazione, visto di sfuggita durante la quinta scena d’investigazione e durante l’epilogo (l’ultima parte della scena del confronto). Non l’abbiamo mai detto esplicitamente, ma me lo sono immaginato nella parte bella del quartiere italiano.

Gli anni Cinquanta

Insomma, come potete vedere, ne è uscita un’estetica da Los Angeles immaginaria, non descritta meticolosamente, degli anni Cinquanta. Ok, ma di chi è la colpa?

I miei riferimenti visivi, sono sicuramente stati i romanzi di Raymond Chandler, che ho letto di recente, le graphic novels di Sin City di Frank Miller, che ho letto qualche anno fa, e i due film tratti da quelle graphic novels.

Ok, non è roba anni Cinquanta. Però qui ci ha messo lo zampino Michele. Mentre gli spiegavo la premessa del gioco, lui mi fa: «Ah, molto noir anni Cinquanta!». Evidentemente è stato lì che i nostri cervelli hanno fatto «click» e che ci siamo accordati tacitamente su quel periodo, su quell’estetica. E poi la città è nata da sola.

Conclusione provvisoria

Mi piace particolarmente l’idea che i giocatori si accordino tacitamente su un’ambientazione in parte fatta di stereotipi estetici e in parte d’improvvisazione sul momento. Penso che, per ora, la terrò così, e vedremo se a qualcuno darà dei problemi durante i prossimi playtest.

Mi immagino la mia città come un organismo vivente e avvolto dalle nebbie dell’immaginazione. La sua indefinitezza aiuta a rimanere mobili e scattanti con le idee, a non farsi troppi preconcetti. Da quella nebbia, un quartiere o un’idea possono saltare fuori da un momento all’altro, senza preavviso, alla bisogna.

Ed è così che la nostra città prende vita.

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Gioco Concreto / [My Red Goddess] Playtest 1
« il: 2019-10-04 13:01:20 »
Ho da pochissimo scritto la primissima versione del gioco che presenterò alla 200 Word RPG Challenge 2019: My Red Goddess. Quasi subito ho scritto anche la versione estesa delle regole, in ben più di duecento parole e in italiano. Ieri sera ero libero, quindi ho sentito il mio amico Michele per chiedergli se fosse anche lui libero per provarlo. Mi ha detto di sì e così abbiamo organizzato.

C’è da dire subito che la nostra prova è avvenuta nello stesso locale in cui si stava svolgendo una partita amichevole di freccette, per cui siamo stati interrotti diverse volte, ma siamo comunque riusciti a provare il gioco. Non mi interessa particolarmente il fatto di aver subito interruzioni e di aver perso un po’ di atmosfera, perché in questa partita mi serviva sapere se il gioco stesse in piedi, non avere un’esperienza di gioco perfetta.

Inoltre, preciso subito che, in questo actual play, riporterò semplicemente la parte della nostra partita relativa alla storia e alle regole, ma non farò considerazioni approfondite sul gioco, lasciando queste analisi ad altre discussioni future.

Durata

Questa volta volevo scrievere un gioco breve. Il formato della 200 Word RPG Challenge aiuta molto in questo: di certo non si ha lo spazio per scrivere un gioco lungo e complesso.

Abbiamo cominciato a giocare verso le 21:30 e per le 24:00 avevamo finito. Considerando le interruzioni e le distrazioni, secondo noi, in condizioni ottimali, saremmo stati anche sotto le due ore di partita. Considerando che abbiamo giocato cinque scene d’investigazione (il massimo possibile; il minimo sarebbero state tre), direi che il gioco può stare mediamente anche in un’ora e mezza.

Insomma, è di certo un gioco che sta sotto le tre ore, in tutti i casi possibili (considerate anche che abbiamo letto quasi tutte le regole al tavolo), il che va esattamente nella direzione che volevo.

Creazione dei personaggi

Decidiamo che io giocherò la femme fatale («lei») e che Michele giocherà il detective («lui»). Io scelgo un nome dalla lista presente nel manuale per lei (Faith Darrow), mentre Michele ne inventa uno per lui (Steve Barlow), non usando la lista presente nel manuale.

Ognuno di noi descrive il suo personaggio secondo le procedure presenti nel manuale (tre dettagli fisici da una lista), mentre l’altro giocatore annota l’aspetto su dei cartoncini da schedario (index cards).

La partita

Il gioco può durare da cinque a sette scene – di cui una scena d’ingaggio, da tre a cinque scene d’investigazione e una scena di confronto – e due vignette conclusive.

Scena d’ingaggio

Nella prima scena (scena d’ingaggio) si presentano i due protagonisti: la femme fatale e il detective. Lei dà a lui un incarico: in questa versione del gioco, è sempre di ritrovare un oggetto prezioso e importante rubatole. Da noi era un pendente a forma di rombo con al centro un diamante azzurro.

Faith Darrow, la femme fatale, sosteneva che la sua sorellastra, Taylor, glielo avesse rubato per farle un terribile dispetto. Steve Barlow, il detective, ha subito gettato il sospetto su Maximilian, il maggiordomo che, tuttavia, per Faith, era degno della fiducia più assoluta.

Scena d’investigazione 1

Prima di giocare una scena d’investigazione, io (giocatore della femme fatale) devo preparare un segreto sulla femme fatale e un indizio per il caso assegnato al detective. Come segreto scrivo: «Faith ha sposato il signor Darrow. Non è sua figlia», come indizio: «Taylor frequentava un ragazzo di nome Ethan, famoso per i suoi debiti».

Michele sceglie una delle due carte a caso: è il segreto. Michele deve anche dichiarare cosa farà il detective per iniziare le sue indagini: dice che parlerà con Maximilian, per cui imposto una scena appena fuori dalla sala della villa dei Darrow in cui è avvenuto l’ingaggio.

Steve fa delle domande a Maximilian, ma questo non vorrebbe parlare per riservatezza. Alla fine, però, parla: dice che, sì, Taylor è una testa calda e che potrebbe aver rubato il pendente. Mentre il maggiordomo aiuta il detective a rimettersi l’impermeabile, Steve nota una fotografia semivisibile che ritrae il signor Darrow e Faith, abbracciati da marito e moglie, con le fedi al dito.

Taglio la scena.

Scena d’investigazione 2

Michele dice che Steve andrà al locale frequentato da Taylor. Era stata Faith, durante l’ingaggio, a dirgli che la sorellastra (che, in realtà, ora, sappiamo essere la figliastra) frequentava un locale pieno di perdigiorno vicino al lungomare.

Scrivo un nuovo segreto per rimpiazzare quello appena giocato, mentre rimane ancora in gioco, fino a che non verrà pescato, l’indizio vecchio. «Faith è stata amante di Ethan Price, ma poi lo ha tradito per stare col signor Darrow». Michele pesca a caso l’indizio di prima.

Imposto la scena nel locale, il “Blue Palms”, sul lungomare della città. Steve entra e parla col barista, spacciandosi per un poliziotto. Da lui riesce a sapere che Taylor stava con un musicista famoso per giocare d’azzardo. Si chiama Ethan Price (il cognome l’ho deciso solo quando ho scritto il secondo segreto, all’inizio di questa scena) e che gioca pesante d’azzardo presso la bisca del quartiere italiano.

Steve se ne va per recarsi lì.

Una cosa che non vi sto dicendo è che, in queste scene, noi ci siamo sempre presi i nostri tempi per descrivere l’ambiente e le abbiamo sempre giocate ampiamente, camminando e non correndo al loro interno. Mi rendo conto che questa cosa non traspaia dall’actual play, ma la preciso per chiarezza.

Scena d’investigazione 3

Scrivo un nuovo indizio: «Taylor è nascosta in un motel fuori città». Michele lo pesca.

Imposto la scena col detective che si avvicina a una squallida bisca, nel malfamatissimo quartiere italiano. Dopo un battibecco e un paio di pugni che volano col più giovane dei due scagnozzi di guardia, George, salta fuori che Steve conosce l’altro, Joe, ed è in buoni rapporti con Antenucci, il proprietario (chiaramente un criminale di origine italiana).

Joe lo fa entrare e Steve aspetta nell’ufficio di Antenucci che finisca la partita di poker, nella quale sono coinvolti Antenucci, altre brutte facce e anche uno sbarbatello che è sicuramente Ethan Price. Finita la partita, Steve parla con Antenucci, spiegandogli a che caso sta lavorando, mentre George, fuori, trattiene Price con una scusa.

Il detective raggiunge Ethan Price e lo interroga. Il giovane uomo tenta di uscirne a pugni, ma finisce male per lui, che deve cantare: la ragazza, Taylor, sta presso il motel “Idaho”, fuori città.

Steve va lì.

Scena d’investigazione 4

Creo un nuovo indizio: «Taylor ha il pendente nascosto nella biancheria intima, in attesa di trovare un ricettatore per venderglielo». Michele pesca il  segreto.

Arrivato al motel, va dal custode, un nativo americano. Siccome il custode capisce che non è davvero un poliziotto e non vuole collaborare, Steve lo offende con parole razziste; il nativo si risente ma non batte ciglio: non lo aiuterà. La pistola di Steve puntata in faccia, però, lo convince: Taylor sta nella stanza 11. Steve gli smolla 20 $, come una sorta di scusa per le offese e per la pistola.

Steve bussa. Taylor apre la porta tutta contenta: è palese che si aspetti Ethan. Appena vede che non è lui, tenta energicamente e inutilmente di chiuderle la porta. Taylor indietreggia, sbatte contro la sponda del letto e vi cade sopra. Steve è su di lei. Le tiene i polsi e la lascia solo dietro promessa che lei smetta di agitarsi.

Lei gli chiede se sia lì per ucciderla, ma subito capisce che è stato mandato dalla sua matrigna, Faith, per recuperare il pendente. Giura di non averlo (e qui mente), ma gli racconta un’altra storia. Gli dice che, prima di sposare suo padre, il signor Darrow, Faith stava con Ethan Price, ma che poi lo ha tradito per sposarsi con suo padre, per i soldi. Taylor si è messa con Ethan per farle un dispetto: per quanto la matrigna abbia un cuore di pietra, potrebbe giurare che le roda il fegato a saperla con lui. Il pendente è solo una scusa, dice lei.

Steve le crede. La lascia rivestire e le dice che la porterà da Faith per un confronto tra loro due: vuole vederci chiaro. Taylor non sembra contenta.

Scena d’investigazione 5

Creo un nuovo segreto: «Faith ha sedotto anche Maximilian, che farebbe di tutto per lei». Lo rileggo: siamo al terzo e ultimo segreto: mi sembra un po’ troppo blando. Aggiungo: «È stato lui ad avvelenare il signor Darrow per conto di lei». Michele pesca il segreto.

Imposto la scena nella macchina di Steve, sulla via per la villa dei Darrow. Taylor è silenziosa e sembra che stia per andare al patibolo. Rompe il silenzio e gli dice che non può portarla da Faith e da Maximilian, che li uccideranno come hanno fatto con suo padre. Steve chiede spiegazioni. Taylor dice che non può provarlo, ma che Faith ha sedotto anche Maximilian, ma che, sebbene suo padre sia morto di arresto cardiaco, lei sarebbe pronta a giurare che Maximilian lo abbia ucciso con un veleno in grado di simulare quella morte.

Prima Steve è irremovibile: vuole ancora il confronto tra Faith e Taylor. Poi pensa di portarla presso la chiesa degli irlandesi, san Brendano, mentre lui va alla villa a incontrare Faith. Alla fine passa da Antenucci e gli chiede di guardargli la ragazza mente lui va al confronto con la femme fatale.

Finale

Abbiamo accumulato tre segreti, il che significa che si sblocca il finale (si sblocca con tre segreti o indizi). Siccome sono tre segreti, significa che la femme fatale, che tutto vede e tutto sa, prepara un confronto col detective alle sue condizioni. Io imposto la scena.

Confronto

Steve arriva alla villa. Maximilian lo accoglie dicendogli che la signora Darrow lo attende (non ricordo se ho detto «signora» o «signorina», ma se dovessi scegliere ora, direi sicuramente «signora»). Steve lo stordisce col calcio della pistola e lo butta nella sua macchina. All’inizio voleva semplicemente sparargli, ma poi ci ha ripensato.

Steve trova Faith nuda in una piscina interna alla villa. Lei sa tutto, lui le chiede perché non le ha detto tutto subito. Lei dice che non sapeva se poteva fidarsi di lui, ma ora lo rispetta: ha capito che è uno sveglio e in gamba. Gli chiede di aiutarla a uscire dalla piscina. Lui la aiuta, lei tenta di sedurlo, ma lui sembra respingerla. Lei si rimette il vestito.

Andiamo all’epilogo.

Epilogo

All’inizio della partita, il giocatore della femme fatale prende l’asso di cuori e l’asso di quadri, e il giocatore del detective gli assi di fiori e di picche. Questi simboleggiano rispettivamente l’ultima parola dei giocatori nei conflitti: di cuore, di mente, fisici e violenti. I conflitti, se emergono, vengono risolti direttamente dalla narrazione dei giocatori, ma chi ha l’ultima parola su un tipo di conflitto può sempre imporsi e dire come va a finire. Questo è un meccanismo di sicurezza; non mi aspetto che ci siano davvero e spesso disaccordi riguardo a come dovrebbe finire un conflitto, dato che il focus del gioco non verte su quello.

Nell’epilogo, però, i giocatori si scambiano gli assi e ciascuno ne sceglie uno. Se il detective sceglie l’asso di cuori, vuole il cuore della femme fatale; se sceglie l’asso di quadri, vuole i suoi soldi. Viceversa, se la femme fatale sceglie l’asso di fiori, vuole il corpo del detective; se sceglie l’asso di picche, lo vuole morto.

Io e Michele scegliamo segretamente l’asso di quadri lui e l’asso di picche io. Secondo il manuale:

Citazione
asso di quadri e asso di picche: il detective non ama più la femme fatale e vuole solo essere pagato, ma lei prova a ucciderlo. Lui dice perché il detective non ama più la femme fatale; lei dice come lui sfugge alla morte e con i soldi. Lui dice perché lei non amerà mai più nessuno.

Torniamo a giocare la scena. Michele dice che Steve non ama più Faith perché avrebbe anche potuto passare sopra a molte cose: al fatto che abbia tradito Ethan Price, che abbia sposato Darrow per Denaro, che abbia sedotto Maximilian e che gli abbia fatto uccidere Darrow, ma quello che non può perdonare è come abbia trattato Taylor, una vera innocente.

Faith si rimette il vestito, ma sotto di esso sfila una pistola, con la quale spara addosso a Steve, che si sottrae ai colpi mettendosi al riparo. Narro come lui lasci la villa dei Darrow per tornare a prendere Taylor, presso un hotel elegante di proprietà di Antenucci. Lì la giovane donna gli confessa di non avergli detto tutto sul pendente: se lo leva da sotto la biancheria intima e glielo consegna per sdebitarsi con lui.

Michele sta per narrare come Faith abbia dei guai con la giustizia, ma lo interrompo: quello è un altro finale (asso di quadri e asso di fiori). In questo finale, la dannazione di Faith riguarda la sua anima e la sua capacità di amare, non i suoi guai con la giustizia. Michele si corregge: dice che tutto quello che Faith ha fatto ha indurito il suo cuore e l’ha resa incapace di amare. Ecco perché non amerà mai più nessuno.

Vignette conclusive

Ora ciascuno di noi traccia una breve istantanea sul futuro del suo personaggio.

Michele inizia e descrive Steve presso la villa dei Darrow: è ben vestito e si vede una fotografia, speculare a quella che avevamo visto nella prima scena d’investigazione, ma ora dentro c’è Steve e c’è Taylor. Sono sposati.

Io descrivo Faith, bella come la morte, che si specchia in una stanza buia e indefinita. La telecamera si avvicina: mostra le rughe sul suo viso. Sta invecchiando e la sua bellezza sta svanendo: lei si dispera e urla, mandando lo specchio in frantumi. Presto non avrà più neanche la sua bellezza e di certo nessuno la amerà più. Quanto a lei, ha mai davvero amato qualcuno?

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Vi segnalo che Edoardo Cremaschi ha rilasciato la versione per il playtest pubblico del suo gioco Little Katy’s Tea Party. Vi invito a leggerlo e a provarlo.

https://nuclearmanatee.itch.io/little-katys-tea-party

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Riporto qui un commento sul gioco fatto in un video su YouTube e la mia risposta:



Marco: Sai quale può essere il neo che fa scricchiolare un po’ la meccanica? Il legarti molto a 3 indizi a scena, senza avere un’idea di come può essere scomparsa Agatha, impone di crearsi da sè stessi la soluzione in fieri, ma facendo così crei un personaggio PnG da zero, pur non avendolo presente (geniale! È Agatha stessa, ricreata da zero dai giocatori), però come ritorno di fiamma questo aspetto fa perdere totalmente coerenza al mistero della sua scomparsa, che secondo me dovrebbe essere definita in segreto da un terzo (CLUE...Edo!)! Altrimenti si perde la storia mystery da scoprire! Se non c’è affiatamento totale tra Verità e Lettore il rischio è di far andare una storia raffazzonandola come impostazione, storia e sua risoluzione! Spero di essermi spiegato!



Daniele: Non concordo. È una delle cose che volevo scrivere da tempo nei consigli per giocare a Sweet Agatha. Il punto non è creare un mistero coerente: il punto è esplorare chi è il protagonista, chi è Agatha e qual è il loro rapporto. La storia è piena di mistero e i fili di trama che rimarranno appesi ci saranno sempre. Il punto è che nessuno ci presta mai attenzione perché non è quello il fulcro del gioco.

Invece concordo sul fatto che tre indizi per scena siano troppi: io ne avrei messo uno solo o, perlomeno, avrei fatto sì che si passasse progressivamente a inserire due indizi e poi uno solo. Forse questo aiuterebbe a non perdersi in troppe tracce inutili, ma comunque per me sta benissimo che la figura di Agatha sia emergente: è il cuore del gioco.

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Gioco Concreto / [Polaris] Alcune domande a Ben Lehman
« il: 2019-09-19 11:00:11 »
Come ho già fatto con Il Silenzio dei minotauri, chiedendo a Paul Czege, sto recentemente facendo delle domande anche a Ben Lehman (che ora, ha preso il nome d’arte di P. H. Lee) su Polaris. Ve le condivido qui sotto.



There is a quarrel between me and some friends of mine. They argue the names of the stars are univocal – that is there can be just one member of the People with the name of a star at a given time –, instead, I argue the names of the stars are like the names of the saints in the Christian countries: people simply name their child after them. Which version is correct?

You can play it either way. I would go with your group’s feeling. If you’re going to have multiple characters with the same name you’ll want to give them epithets like “major” and “minor.”



I know this could be a little pedantic… I mean: to try to comprehend the geography of a fantasy setting. Anyway, I’ve always imagined the Sun coming from the south and Polaris being at the utmost north of the world. Still, the rulebook says: “As winter comes, the stars return to the sky and, if you did not move or speak or look to the north, you might believe for a moment that the Mistake had never happened at all” (page 25). So, the Mistake comes from the north, not from the south?

The city of Polaris spanned the North Pole. The Mistake happened at the center of the city – at the north pole proper. The remnants are thus all south of the Mistake.

Note that while the sun came into the world at the same time as the Mistake, the sun and the Mistake are not the same thing. The sun rises in the south like you would expect at the north pole in summer.

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Gioco Concreto / [Dungeon World] Dubbi su difendere
« il: 2019-09-13 09:09:51 »
Segnalo questa interessante discussione sulla mossa difendere che si sta tenendo sul forum de “La Tana dei Goblin”:

https://www.goblins.net/phpBB3/dubbi-su-difendere-t104105.html

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Gioco Concreto / [Polaris] Creare un nuovo cavaliere
« il: 2019-09-13 08:10:25 »
Stavo rileggendo il manuale di Polaris, in previsione della nuova partita che inizierò stasera, e mi sono ricordato dell’opzione di creare un nuovo cavaliere, cosa che il gioco invita i giocatori a fare in caso di morte o di caduta.

L’ultima volta che ho giocato, io ho scelto di non creare un nuovo cavaliere, quando la mia Adhara è morta (quinta scena della sesta sessione), ma mi chiedevo: a qualcuno di voi è successo di creare un secondo cavaliere in una partita?

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Lo scorso 30 giugno, sono stato invitato dall’associazione “La Buca del Coboldo” a partecipare con loro al Porte Aperte Festival 2019 che, da alcuni anni, si tiene a Cremona tutte le estati. Eravamo in via Solferino con tavoli e sedie da giardino e aspettavamo che qualcuno passasse per fermarsi a giocare. Per me è stata una giornata abbastanza tranquilla: una partita a Fantasmi assassini la mattina e, per tutto il resto del giorno, sono stato a parlare e a cazzeggiare con amici e conoscenti (unica altra parentesi: nel primo pomeriggio, una partita a un gioco da tavolo di cui non ricordo il nome).

Verso le 15:00, però, è passata Alessandra, una mia vecchia conoscenza, con la quale non giocavo di ruolo da diversi anni. Mi ha chiesto quali giochi avessi portato con me e, tra tutte le possibili scelte, la sua attenzione è ricaduta proprio su Sweet Agatha. Ci siamo seduti e abbiamo cominciato a giocare.

Ho cominciato a leggere il diario del protagonista. Avendolo letto tutto al volo, mi sono accorto che è scritto in un inglese abbastanza complicato, per cui tradurlo al volo non è cosa. Per questa ragione, prima della partita successiva che ho giocato, ho deciso di tradurlo tutto in italiano. Poi, ho spiegato le quattro regole in croce del gioco: Alessandra era orientata a fare la Verità ma, non appena ha saputo che doveva scegliere a ogni scena tre dei sessantasette indizi che il gioco ti mette a disposizione, mi ha detto che avrebbe preferito giocare il Lettore. Quindi, sono finito ancora a fare io la Verità. Strano!

La storia in breve

La storia che è emersa dalla partita è stata davvero molto figa e piena di elementi occulti. La nostra Agatha era parte di una setta i cui membri sostenevano di parlare con dei «Messaggeri» tramite delle radio in grado di captare delle frequenze bassissime. La setta aveva una profetessa di nome Nomi Ether, che aveva lasciato ai suoi seguaci tre libri rivelatori, pieni di poesie dal significato assolutamente irrazionale. È emerso che esistevano tre donne, a ciascuna delle quali era stato lasciato uno di questi tre libri: una certa Pandora, una certa Persephone e, infine, la nostra Agatha.

Il protagonista si chiamava Ice e, nella seconda scena, ha incontrato un giovane uomo parte del culto, Mark, che poi lo ha accompagnato per quasi tutta l’investigazione. Secondo Mark, Agatha era uno dei membri di una «Triade». Alla fine, è venuto fuori che la Triade era costituita dai tre volti di Nomi Ether, una sorta di versione moderna della Morrigan. Come se non bastasse, a rendere tutto questo ancora più concreto, ho inserito nella storia il fatto che le tre donne avessero tre età diverse, e che il protagonista e Mark abbiano incrociato più volte dei corvi che sembravano quasi osservarli.

Secondo la profezia contenuta nei tre libri, la Triade si sarebbe riunita e Nomi Ether sarebbe rinata, brandendo «la spada che squarcia le tenebre» e avrebbe così riportato la speranza all’umanità.

Verso la fine della storia, Ice e Mark hanno trovato la stazione della radio dalla quale venivano trasmesse le onde dei Messaggeri, anche se questa era abbandonata. La stazione radio si trovava nel fitto di una foresta adiacente al paese natale di Agatha e di Ice. Mentre erano saliti sull’antenna di trasmissione, i due uomini hanno visto un lago e una diga in lontananza, e tre donne camminare per andare verso di esso come se si volessero gettare.

Allora, Ice e Mark corrono verso la diga per fermarle ma, mentre le stanno raggiungendo, le tre figure sembrano quasi abbracciarsi, mentre il sole che sorge alle loro spalle. Ma, quando i due uomini arrivano sulla diga, trovano solo Agatha, che si para dinanzi a loro quasi che fosse un’altra persona. Ora non è più cupa, come era sempre stata, ma sembra felice: sembra aver trovato infine la speranza.

La storia si conclude con Agatha che abbraccia Ice a Mark e che chiede loro di riportarla a casa.

Alcune considerazioni

Nella seconda scena, il protagonista ha incontrato Mark, un PNG emerso dall’indizio «Un fotografo privo d’ispirazione», lo ha seguito e, dopo un breve scontro, ha capito che anche lui stava cercando Agatha e gli ha chiesto di unirsi alla sua ricerca. Mark sosteneva di far parte del culto, col quale si era messo in contatto attraverso la radio, strumento attraverso il quale aveva conosciuto anche Agatha, senza però mai incontrarla di persona. Pur facendo parte del culto, Mark era molto spaventato da tutti i risvolti soprannaturali della storia e, infatti, l’ho giocato come una persona davvero molto timorosa. È stato tutto molto carino, anche perché questo è l’unico caso capitatomi in cui il protagonista abbia preso un PNG sotto la sua ala e se lo sia portato appresso per tutta l’indagine.

In questa storia c’è stato un contenuto soprannaturale davvero preponderante, come non mi era mai successo prima. All’inizio avevo buttato lì qualche indizio che andasse nella direzione del soprannaturale, ma poi mi sono preso bene e l’ho seguita. In particolare, nella seconda scena, che è stata lunghissima (forse la più lunga di tutta la partita), il protagonista ha riempito Mark di domande e io ho risposto ad esse al volo, creando un sacco di mitologia, alla quale poi, in qualche modo, ho sentito di dovermi attenere. Alessandra mi faceva molte domande sulle cose che trovava: per esempio, una volta trovato il libro di Agatha, mi ha chiesto se c’erano delle parole evidenziate. A quel punto, mi sembrava una brutta scelta dire di no e ho buttato lì delle parole che, però, non erano veramente parole a caso, ma parole che sono presenti negli indizi del gioco. Insomma, per il resto della partita io non ho fatto altro che continuare e reincorporare quelle parole chiave. Di fatto, quindi, la mitologia è stata fatta emergere quasi tutta da me, che ho dovuto anche premurarmi che tutto tornasse e, alla fine, tutto, in qualche modo è tornato, anche se all’inizio ero davvero in difficoltà nello scegliere gli indizi.

Una cosa che ho fatto come Verità è stata sempre chiedere al Lettore dove sarebbe andato il protagonista alla fine di ogni scena. Questo ha fatto sì che, tra una scena e l’altra, io potessi sempre scegliere degli indizi abbastanza plausibili col luogo della prossima, sia che dovessi impostare io la scena sia che dovesse impostarla Alessandra. Questa è stata una tecnica che ho cominciato ad apprezzare dopo l’ultima partita (la terza) che avevo giocato con Moreno. Ecco di che cosa si tratta:

Abbiamo proceduto nel seguente modo: Moreno, che giocava il Lettore, diceva dove sarebbe andato o cosa avrebbe fatto, dopo la chiusura di ogni scena o all’inizio di quella nuova. Io, come Verità, avrei potuto intromettermi in qualunque momento per proporre una scena “mia”, che mostrasse una qualche traccia investigativa, oppure semplicemente per introdurre luoghi o eventi da fare accadere prima che il Lettore raggiungesse la sua destinazione desiderata o nel tentativo di raggiungerla.

Quindi, non abbiamo usato la regola opzionale per fissare l’obiettivo della scena prima di giocarla, cosa che rende tutto molto più emergente, laddove fissare un obiettivo prima sa leggermente (a mio avviso, non troppo) di prenarrazione.

In questa partita, mi è anche capitato di giocare degli “indizi ritardati”. In una scena non riuscivo proprio a giocare un indizio e, per come stava andando quella scena, mi sembrava molto più semplice infilarlo nella scena dopo.

In particolare: eravamo in un motel nella città originaria di Agatha e di Ice, e stavo aspettando che Ice e Mark si addormentassero per giocare l’indizio «Una nota fatta scivolare sotto una porta». Ma i due non si sono addormentati: sono andati in città a controllare un caffè abbandonato. A quel punto, ho pensato di “fermare” l’indizio fino alla prossima scena nella quale, non appena rientrati al motel, hanno trovato la nota infilata sotto la porta della loro stanza. Si noti che nella scena dopo, quindi, ho giocato quattro indizi al posto di tre. Questa è stata la prima volta che mi è capitato di farlo e devo dire che ha funzionato.

Mi è successa anche un’altra cosa con gli indizi. Mentre sfogliavo gli indizi non ancora usati per scegliere i tre da usare nella nuova scena, mi sono accorto che avevo utilizzato uno di essi in una scena precedente (suppongo che siano cose che succedono dopo che hai giocato questo gioco per diverse volte…). Quindi, nella nuova scena, ho scelto due indizi che poi ho giocato, mentre il terzo, quello giocato inavvertitamente prima, l’ho messo in gioco come “extra”, a fine scena, dicendo ad Alessandra che, oramai, l’avevo già messo in gioco nella scena precedente, per cui tanto valeva ufficializzarlo.

Insomma, rispetto alle partite giocate in precedenza, questa volta sono stato più elastico su come ho giocato i tre indizi per scena. Anziché giocare sempre tre indizi per scena, mi è capitato in questi due casi, e solo in questi due, di seguire la fiction non rispettando le regole alla lettera.

Infine, come ultima considerazione, devo dire che Alessandra non ha mai apprezzato particolarmente i giochi di ruolo indie: di solito, salve rare eccezione, preferiva giocare a quelli tradizionali. Invece, devo dire che sono stato molto stupito dal vedere che ha apprezzato molto questo gioco, come mi ha detto alla fine; forse tutto è dipeso anche dal fatto che la partita sia riuscita particolarmente bene.

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Domenica scorsa sono stato alla GnoccoCON 2019 e ho potuto finalmente giocare a questo gioco con la mia amica Anna. Per l’occasione, avevo anche provveduto a tradurre e impaginare sia il diario del protagonista sia gli indizi da usare un gioco.

Questa era la quinta volta che giocavo a Sweet Agatha e questa partita ha avuto delle particolarità sue, che vorrei evidenziare in questo actual play.

Il ruolo della Verità è stato ricoperto da Anna, e non da me, come nelle quattro partite precedenti. Di fatto, questa volta è stata la prima nella quale ho giocato nel ruolo del Lettore. Anna, a mio avviso, è stata bravissima a scegliere gli indizi e a inserirli nella narrazione. Verso le ultime scene ha fatto più fatica, perché stava cercando di collegare gli indizi nuovi a quelli precedenti, senza tuttavia aprire nuove piste. Ma questa cosa è molto difficile, se non impossibile: le regole del gioco ti remano proprio contro; ti tocca inserire tre indizi in tutte le scene a parte l’ultima (dove giocarli è facoltativo). Le ho detto di non preoccuparsi troppo di lasciare fili non intrecciati col resto, perché questa è una caratteristica intrinseca del gioco.

Forse anche per la ragione esposta sopra, la partita mi è passata addosso molto naturalmente e molto velocemente. Mi è sembrato di fare una passeggiata. Abbiamo giocato le scene dalla prima alla settima prima di cena, lasciando le ultime tre per dopo cena. Temevo che saremmo andati per le lunghe e, invece, le ultime tre scene sono volate. Ho cercato di impegnarmi per non mettere pressione e fretta ad Anna, tra una scena e l’altra: so che per scegliere gli indizi ci vuole tempo e concentrazione.

In gioco, dove ho potuto, ho cercato di aiutarla, muovendo il mio personaggio in modo che fosse semplice fargli trovare indizi. Non sempre ci sono riuscito per bene: se, la prima volta che sono andato all’ufficio dello sceriffo per denunciare la scomparsa di Agatha, Anna ha trovato la mia scelta di impostare lì una scena sensata e non ha faticato a trovare indizi da rivelarmi, la seconda volta che volevo tornarci l’ho messa, senza volere, in difficoltà e mi ha chiesto di impostare una scena altrove. In effetti, alla fine ho capito cosa voleva dirmi: avevo altro da fare e andare di nuovo dallo sceriffo sarebbe stato sensato per il personaggio, ma probabilmente poco sensato ai fini della trama, risultando ridondante.

Una mia dimenticanza (quella di guardare dei video scaricati da un hard disk connesso a una videocamera nascosta sul mio cellulare) ha fatto sì che Anna mi dovesse rivelare cosa si vedeva in essi senza che questo comportasse di rivelare ulteriori indizi. La cosa ha funzionato – sebbene nella storia io abbia guardato i video solo tre scene dopo – ma conferma la mia intuizione che, forse, non è così assurda la pratica di prendere qualche appunto sugli indizi trovati, quando si gioca come Lettore.

Sapendo che avremmo potuto interromperci da un momento all’altro, ho sempre annotato su un foglietto quante scene avessimo già giocato e, quindi, a quante scene ci trovassimo dalla fine. Non so per Anna, ma per me questo è stato un espediente semplice, quasi banale, per tenere traccia del flusso del gioco, ma mi è stato anche maledettamente utile.

Questa è una delle poche partite in cui ho dato una descrizione precisa del protagonista, all’inizio, e del quale, a un certo punto, ho anche detto il nome e il cognome (mi era stato chiesto dalla segretaria dello sceriffo). Un’altra particolarità è che, nella stessa scena, sempre io, come giocatore, ho dichiarato anche il nome e il cognome di Agatha. Credo che sia stata la prima volta che mi è successo in una partita.

Nell’aprire, nel chiudere e nella transizione delle scene, siamo stati sempre molto cinematografici: abbiamo descritto immagini evocative, dove si trovava la telecamera e cosa stesse inquadrando. Questo ha fatto sì che la storia fosse molto coinvolgente e che ci fosse un’estetica cinematografica molto appropriata.

A parte la prima e l’ultima scena, questa storia si è svolta quasi tutta in un sobborgo di campagna della grande città (rimasta senza nome, come il “paese” di campagna). È stata la prima volta che mi succedeva, ma ha contribuito a dare alla storia un tono molto da provincia americana. Si sentiva molto l’ispirazione di serie TV come Twin Peaks e True Detective (non so per la prima, ma so che entrambi adoriamo la seconda). Di questa cosa, credo che il merito sia stato soprattutto di Anna che, come Verità, ha un sacco di autorità in merito all’estetica generale della storia che emerge.

Una cosa che ho notato è che, se il protagonista è in scena da solo, può succedere che per tutta la storia, o quasi, non interagisca con nessuno. A noi non è successo esattamente così (avevamo alcuni PNG coi quali ho interagito), ma i PNG erano comunque relativamente pochi. Ho notato che è molto figo, e credo che aiuti anche la Verità, far parlare il protagonista con sé stesso o, comunque, palesare i suoi pensieri. In questo modo, si vede la sua interiorità, anche se nella storia non interagisce quasi mai con nessuno.

Il finale ha dipanato il mistero della scomparsa di Agatha, coinvolta fin da piccola in un culto perverso che finiva per uccidere le donne, dopo averle “sposate” al sacerdote. L’ultima scena si è svolta, specularmente alla prima, nell’appartamento di Agatha; questa volta con la donna, ancora drogata, sotto le coperte, col protagonista che le teneva la mano in attesa del suo risveglio. Un finale molto poetico in cui l’amore tra i protagonisti (che in questa storia era presente) ha prevalso.

Che dire? Non so se Anna abbia qualcosa da aggiungere ma, per me, questa è stata davvero una bella partita. Poetica e memorabile al tempo stesso. Ancora una volta, Sweet Agatha si conferma un gioco che – pur avendo, tutto sommato, solo due regole in croce – riesce sempre a colpirmi e a entrarmi nel cuore.

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In vista di doverlo giocare per l’ennesima volta alla GnoccoCON 2019, ho tradotto in italiano e impaginato gli indizi e la pagina del diario del protagonista necessari per giocare a Sweet Agatha. Li trovate qui:

https://drive.google.com/open?id=17b2OPzAPGjke7xVU2tYheVVsH1-WQmia

Stampateli in fronte/retro senza adattarli e ritagliateli.

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Posto qui questo lungo estratto da una discussione avuta stamani via chat, perché forse sono riuscito a spiegare la cosa in maniera chiara e tale da non risultare offensiva per nessuno.



Osiride: Mi sfugge perché *** [gioco di ruolo indie] non sia un gioco di ruolo di stampo classico?

Daniele: Be’, perché nei giochi di ruolo di stampo classico, il sistema di gioco è posto al di là del contratto sociale che chi gioca accetta tacitamente.

Nei giochi di ruolo di stampo classico, puoi sentirti davvero impotente come giocatore, perché non accedi mai direttamente al sistema di gioco: la tua agency di giocatore è sempre incerta e non ti viene garantita. Ti senti il terreno continuamente sfuggire sotto i piedi.

Osiride: Questa come definizione mi risulta più critica. Cosa si intende per “accedere al sistema di gioco”?

Daniele: Significa che, nel contratto sociale che tutti noi giocatori accettiamo (tacitamente o non) quando ci sediamo al tavolo, è contemplato che io, come giocatore, posso attivare determinate regole e che queste regole hanno determinate conseguenze in gioco.

In un gioco di ruolo di stampo classico, può essere che il game master, in un momento in cui il regolamento prevederebbe una prova, mi dica: “No, non tirare”. Oppure, che in una situazione in cui non sta succedendo nulla e in cui non c’è nulla da scoprire, mi dica: “Tira su Percezione”; in realtà, non c’è nulla e io sto tirando per nulla, ma questo lo sa solo il game master. Oppure, può succedere che il game master fissi una difficoltà a 15, senza dirlo al giocatore, che il giocatore tiri avendo successo e che il game master, retroattivamente, stabilisca che la difficoltà sarebbe stata meglio a 20, perché non vuole che il giocatore abbia successo in questa prova.

In tutti questi casi, il giocatore non accede mai direttamente al sistema. C’è l’illusione che ci sia un sistema predeterminato al quale tutti rispondiamo, ma in realtà il sistema è schermato dalla figura del game master: il giocatore vi accede sempre passando per il game master. In poche parole, il sistema di gioco è la volontà del game master.

Capisci bene che questo significa che, in un gioco di ruolo di stampo classico, non sai mai davvero a che gioco stai giocando: lo sa solo il game master, se è abbastanza consapevole. Questo sistema cambierà in base al game master e, ti dirò di più, cambierà anche con lo stesso game master, perché lui è una persona e, come tutte le persone, cambia di momento in momento.

C’è poi da dire che anche molti giocatori indie hanno dei concetti sbagliati su che cosa sia e in base a che cosa risulti problematico un gioco di ruolo di stampo classico. Per esempio, in molti credono che, se il game master si prepara un’avventura prima, allora quello è un gioco di ruolo di stampo classico.  Ma, in Cthulhu Dark, il game master si prepara un’avventura prima, e anche bella dettagliata, ma quello non è assolutamente un gioco di ruolo di stampo classico.

Il problema non sono mai i dettagli singoli per i quali crediamo che un gioco di ruolo indie sia in realtà un gioco di ruolo classico solo perché ha dentro una qualche cosa che noi abbiamo sempre visto nei giochi di ruolo di stampo classico. Il problema è che, nei giochi di ruolo classici, tutti questi dettagli entrano in sinergia e determinano che il sistema di gioco, nel suo complesso, sia spostato dal “centro del tavolo” – dove è a disposizione di tutti i giocatori che, tramite la loro agency, possono accedervi – a “dietro un giocatore”, il game master, che è l’unico giocatore che può accedervi direttamente. Questo significa anche che, in un gioco di ruolo di stampo classico, il game master è l’unico a conoscere davvero il sistema di gioco e l’unico che possa davvero garantire che questo non cambierà improvvisamente.

Questo è tanto più vero se consideri che un gioco di ruolo classico resta tale anche se il game master improvvisa tutto e non prepara alcuna avventura. Avevo diversi amici che giocavano esattamente così, come game master, ma questo non cambia il fatto che loro giocassero completamente imbevuti di cultura di gioco classico.

C’è anche da dire che i giochi di ruolo di stampo classico possono essere benissimo coerenti. “Coerente” significa che tutti hanno lo stesso intento creativo, ossia che tutti desiderano ottenere (e ottengono) da quella partita la stessa esperienza di gioco. Anzi, se giochi davvero bene a un gioco di ruolo di stampo  classico, l’esperienza di gioco non può che essere coerente. Quando si parla di questo game master, figura mitica che conosce i desideri di tutti e sa come realizzarli, probabilmente si parla di questo. Per cui io, game master, so come siete fatti come giocatori, so come ci piace giocare a questo tavolo di gioco e creo per tutti noi un’esperienza di gioco ad hoc, plasmandoci addosso un sistema che funzioni per noi e che piaccia a noi.

Un chiaro esempio di giocatore di stampo classico che giocava in maniera coerente è il mio amico ***. Se parli con lui e con i suoi amici con i quali giocava a Vampiri: La Masquerade, tutti ricordano una bellissima esperienza. Nessuno si rompeva mai le palle, i temi emergenti nelle partite erano interessanti per tutti e tutti erano contenti dei risultati della partita. Ecco, questa è un’esperienza di gioco coerente al 100%.

Questo non è mai stato impossibile anche nei giochi di ruolo di stampo classico. Solo che, per un *** che ce la fa, ci sono mille persone che non ce la fanno e delle quali puoi leggere continuamente le frustrazioni, adesso su Facebook, un tempo sui forum.

Il nostro punto, come giocatori e game designer di giochi di ruolo indie, è sempre stato quello di garantire a tutti un’esperienza di gioco coerente, al di là della bravura personale e della fortuna di essere riusciti a farcela anche prima.

E poi c’è anche il grosso problema della frammentazione della cultura di gioco. Ossia, il fatto che *** e il suo gruppo potessero funzionare e fossero perfetti solo chiusi in sé stessi. Se cambi il gruppo, tutta quella magia si rompe; la loro esperienza di gioco coerente non può funzionare, se non chiusa su sé stessa.

Mentre, se giochiamo, per esempio, a Fiasco in gruppi diversi, bene o male la nostra esperienza di gioco sarà auspicabilmente sempre coerente e riconoscibile. Possiamo dire di aver giocato allo stesso gioco.

Al massimo, constateremo che Mattia gioca sempre impostando le scene in maniera molto aggressiva, che Laura odia quando il suo personaggio ha in finale positivo nel sipario, che Lorenzo preferisce impostare le scene anziché risolverle, ecc.

Questi sono stili di gioco. Tutti noi ne abbiamo uno, un po’ come, nel calcio, ci sono calciatori bravi a fare cose diverse, ma giocano pur sempre tutti quanti allo stesso gioco.

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Quello che segue è una prova non finita. Alcune idee non tornano ancora. Continuerò il post nei prossimi giorni. Non leggete lo scenario se intendete giocarci con me alla GnoccoCON 2019.

Ho iniziato da qualche giorno a scrivere un hack per giocare delle avventure di genere gothic fantasy nell’ambientazione di Ravenloft, usando una versione modificata del regolamento di Cthulhu Dark (Graham Walmsley, 2010-2017).


Divinare i tarokka

Una delle parti più interessanti di questo hack, a mio avviso, è una procedura di generazione casuale di spunti utilizzando il mazzo dei tarokka di Ravenloft. Era un sistema che avevo nella testa da una decina d’anni circa, ma l’ho messo su carta solo qualche giorno fa. Si tratta di disporre le carte dei tarokka sul tavolo, con uno schema simile a quella del metodo di divinazione chiamato “albero della vita” ma, se quello usa dieci carte, il mio ne usa tredici. In ultima analisi, il mio metodo di lettura dei tarokka è un hack funzionale al mio scopo di design e ispirato al secondo metodo di lettura dei tarokka proposto dai manuali della serie Ravenloft che, storicamente, usava undici carte.


Creazione del signore oscuro

Il signore oscuro si genera pescando sei tarokka. La prima carta rappresenta l’essenza del signore oscuro, e io ho pescato il Donjon, una carta che simboleggia reclusione. La mia immaginazione sta già andando a qualcuno che è stato esiliato per qualche ragione; non so perché, ma sto pensando a un vistana.

La seconda carta rappresenta il passato del signore oscuro, e io ho pescato il Necromancer, che simboleggia le arti oscure. Mi sto immaginando che questo vistana abbia in passato trafficato con la negromanzia, o qualcosa del genere.

La terza carta rappresenta la caduta del signore oscuro, ossia la ragione per la quale le Potenze Oscure lo hanno scelto come signore oscuro. Ho pescato il Guild Member, che simboleggia gli accordi, ma qui deve essere interpretata in maniera più negativa e il suo significato negativo è quello di tradimento. Abbiamo bisogno qualcosa di potente ed evocativo, perché gli sia valso il titolo di signore oscuro, per cui penso ai tradimenti più spregevoli: quelli delle persone amate o dei familiari. Mi sto immaginando che il nostro signore oscuro abbia tradito qualcuno di vicino, magari un fratello, e che lo abbia fatto in maniera efferata e sanguinaria.

La quarta carta rappresenta il potere del signore oscuro, e io ho pescato il Druid, che simboleggia il controllo sulla natura. Qui la mia mente pensa per la prima volta alla licantropia: il signore oscuro è maledetto dalla licantropia, oppure è un signore delle terre selvagge, oppure esercita un controllo particolare sulla natura.

La quinta carta rappresenta la debolezza del signore oscuro, l’unico modo per poterlo davvero distruggere. Ho pescato il Missionary, che simboleggia il diffondersi della fede. Stando sul semplice, sto pensando a un oggetto della fede che, se posseduto, può determinare la distruzione del signore oscuro: un’arma da usare contro di lui o un oggetto che, se distrutto, porterà alla sua rovina, come il cenotafio di un lich.

La sesta e ultima carta rappresenta il tormento, ossia cosa desidera con tutto sé stesso il signore oscuro. Ho pescato il Thief, che simboleggia il furto, ma anche la perdita di qualcosa di importante, e la cosa più semplice a cui sto pensando è che magari il signore oscuro abbia perso (o gli sia stato sottratto) l’unico oggetto in grado di distruggerlo, e adesso egli sia ossessionato dal ritrovarlo.


Creazione del dominio

Ora passiamo a creare il dominio del signore oscuro, che si genera attraverso quattro tarokka. Potrei rimischiare le carte nel mazzo, ma questa è la mia prima prova e voglio vedere cosa succede a esaurire tredici delle cinquantaquattro carte che il mazzo contiene.

La settima carta rappresenta il dominio e, in particolare, com’è fatto concettualmente e territorialmente. Ho pescato il Ghost, che simboleggia un passato lontano e, forse, rovinoso. Qui per la prima volta sto pensando a un periodo simile alla versione romanzata e decadente (non dico che sia stato così nella storia vera) del nostro alto medioevo, con un’Italia lasciata a sé stessa e le scorribande di popoli guerreschi che venivano da fuori. Mi sto immaginando le città abbandonate, il paesaggio costellato da rovine di edifici non più mantenuti, e i boschi che tornano a conquistare tutto. Si ha la sensazione che qui ci sia stato qualcosa di grande e ordinato nel passato, ma ora siamo in un periodo più buio, oscuro, incerto. Mi annoto mentalmente di usare nomi che sembrino vagamente latineggianti per la gente e i luoghi.

L’ottava carta rappresenta gli abitanti del dominio, e io ho pescato il Broken One, che simboleggia la rovina delle persone. Continua a prendere corpo la mia idea di un impero decaduto: mi immagino la gente impaurita e impoverita, che non ha più speranza nel futuro e che teme qualcosa. Forse ci sono proprio due popoli principali nel dominio: gli abitanti della vecchia civiltà in rovina e i nuovi saccheggiatori, che li terrorizzano.

La nona carta rappresenta un segreto che si nasconde nel dominio, e io ho pescato il Rogue, che simboleggia la brama di ricchezza. Sto cominciando a pensare che nel dominio si nasconda un grande tesoro; non so perché, ma la mia mente va all’oro del Reno dei Nibelunghi: un grande tesoro che è maledetto, che non può più essere trovato e che magari genera l’ossessione della gente, disposta a fare di tutto per entrarne in possesso. Mi ricordo del Thief, il tormento del signore oscuro, e mi dico che forse il tradimento è stato proprio originato da quello, da una brama di ricchezza che ha portato a una tragedia familiare.

La decima carta rappresenta un orrore che si annida nel dominio, e io ho pescato la carte della Beast. Neanche a farlo apposta, il mio aver pensato alla licantropia in precedenza potrebbe tornare utile proprio in accordo a questa carta. Magari il territorio è ricoperto di boschi, e i boschi sono pieni di lupi. Alcuni di questi lupi sono strani, magari non proprio dei lupi. Magari è stato il signore oscuro a estendere la sua maledizione ad altri, magari i barbari invasori sono il vettore della licantropia. Un’altra cosa figa a cui penso si collega al tesoro di sopra: se davvero tutti nel dominio bramano questo oro, mi ricordo che la debolezza dei lupi mannari di montagna di Ravenloft erano le armi fatte d’oro. Potrebbe essere uno spunto interessante.


Creazione dell’avventura

Passo ora alla creazione dell’avventura. Nel dominio c’è sempre una situazione iniziale instabile, che ha portato alla rottura di un equilibrio e all’esplodere di un conflitto.

L’undicesima carta rappresenta l’avventura, ovvero la situazione attuale e la natura del conflitto. Ho pescato il Priest, che simboleggia la fede religiosa. Sto pensando a un conflitto religioso semplice semplice: la vecchia religione e la nuova, portata dagli invasori. Ricordo che a Ravenloft c’è una religione malvagissima e legata al Dio Lupo venerato dai lupi mannari, il cui credo predica il dominio sugli altri e l’uccisione delle prede umane. Potrebbe essere interessante andare a parare lì in qualche modo.

La dodicesima carta rappresenta il fato nero del dominio, ossia cosa accadrà di orribile e oscuro, se i personaggi protagonisti non impediscono che il conflitto si manifesti con tutta la sua forza. Ho pescato la carta del Wizard, che rappresenta la brama di potere arcano, ma qui me la immagino, in particolare, come un potere arcano andato fuori controllo. Mi sto immaginando un potere oscuro e fuori controllo; mi sto immaginando che la maledizione della licantropia si diffonda su sempre più persone e che il culto del Dio Lupo diventi la religione dominante, con gli uomini costretti a rintanarsi nelle case la notte per nascondersi dal regno dei lupi.

La tredicesima carta, infine, rappresenta il fato rosso del dominio, ossia cosa accadrà di violento e sanguinario, se i personaggi protagonisti non impediscono che il conflitto si manifesti con tutta la sua forza. Io ho pescato il Transmuter, che simboleggia effetti disastrosi e inaspettati. Mi immagino che la religione antica degli abitanti del dominio possa essere usata per rievocare un rituale in grado di dare loro la forza di contrastare gli invasori e i loro oppressori licantropi. Ma si sa che le Potenze Oscure sono sempre pronte a beffarsi dei mortali che credono di potere dominare le arti oscure: magari la magia va fuori controllo o non va esattamente come preannunciato. Magari adesso anche alcuni abitanti del dominio diventano lupi mannari a loro volta. Adesso la guerra è senza quartiere tra due fazioni: i vecchi abitanti e i nuovi invasori, ma il sangue che imbeve il terreno è sempre quello degli innocenti.

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Sono sincero, mi piacerebbe portare Il Silenzio dei minotauri per due giocatori (più il game master) in doppio slot per vedere se ci si riesce a giocare decentemente. Pensavo al sabato, magari.

La domenica stavo pensando di portare un mio gioco in playtest, in modo da partecipare anche alla PlaytestCon 2019. Il miglior candidato è decisamente Non ti scordar di me.

Per l’ultimo slot potrei semplicemente sedermi a un evento portato da qualcun altro, oppure portare qualche altro gioco. Ci sto pensando.

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Pattumiera / Re:[Mars Colony] Alcuni dubbi
« il: 2019-07-28 18:10:04 »
Ho letto tutto in fretta e furia. Se riesco, ti rispondo domani, con calma. ;)

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Da un po’ di tempo, ho un quadernino per gli appunti sul quale segno al volo le circostanze di vita e di lavoro che mi vengono in mente da usare nelle future partite de Il Silenzio dei minotauri. Una sola circostanzadi vita e di lavoro non è abbastanza per una preparazione completa (anche con due soli giocatori, bisogna comuque scriverne almeno due), ma è comunque qualcosa che mi sento di condividere con voi.

Questa l’ho scritta il 4 giugno 2019.

(Link alla versione sempre aggiornata su Google Drive.)

Il portico di Ramtha

Il distretto di Iriry è sempre stato famoso per le sue botteghe orafe, ma c’è anche un’altra produzione che lì ha successo: quella dei flauti a due canne che la gente di Dégringolade, a memoria d’uomo, ha sempre chiamato “ikliask”. E gli ikliask sono sempre stati gli strumenti preferiti dagli artisti di strada per domare i serpenti-liana e, secondo le parole dei saggi e degli anziani, nel suono degli ikliask è possibile ritrovare le stesse cacofonie che si odono la notte ascoltando le stelle, ma rese melodiche. Secondo altri ancora, gli ikliask furono un dono fatto, tanto tempo fa, a un minotauro reso folle dalla Voce Immobile, ma tutte queste sono solo speculazioni e nessuno, oggi, saprebbe dire con certezza come gli ikliask si siano diffusi a Dégringolade.

Gli ikliask di Iriry sono prodotti nella bottega di Aule, che iniziò l’attività diversi anni or sono. Nessuno suona gli ikliask, presso la botte di Aule, salve Velthur, designato da Aule stesso a provare di persona tutti gli ikliask, prima di metterli in vendita. Se Velthur dice che un flauto è fatto bene, allora è fatto bene e viene venduto; se, viceversa, egli dice che è fatto male, allora viene gettato, senza possibilità che si possa vendere.

La bottega di Aule impiega anche molte donne del distretto di Iriry. Qualche settimana fa, Caia, una di loro, ha deciso di recuperare uno dei flauti gettati nel cumulo degli scarti e ha cominciato ad andarlo a suonare per conto proprio, dopo l’orario di lavoro, presso l’antico portico, con gli archi a forma di mascheroni e tutti invasi dalla vegetazione, che è abbandonato da tempo immemore appena di fronte alla riva del fiume Vauxgar e che alcuni chiamano “portico di Ramtha”.

Da allora, anche altre lavoratrici hanno preso il suo esempio: hanno raccolto un flauto difettoso dalla pila di Velthur e, dopo il lavoro, sono andate a suonare presso il portico di Ramtha. Lì, si è riunito un piccolo tiaso di donne che suonano, cantano, ballano e parlano di ciò che piace a loro e, siccome la zona è isolata e abbandonata da tempo, non sembrano disturbare il sonno di nessuno.

Tuttavia, i loro colleghi all’officina non sembrano viverla bene: si chiedono che senso abbia salvare degli ikliask rotti per suonarli come se fossero buoni, e che senso abbia rubare ore al proprio sonno per lasciarsi andare ad attività così vuote e leziose.

Velthur ha anche preso da parte Caia e le ha chiesto: «Cosa ve ne fate di quei flauti stonati? Non vedete che li ho scartati? E poi, si può mai sapere cosa combinate al portico di Ramtha? Che bisogno c’è di questi raduni? Facendo quello che fate e suonando gli ikliask difettati, portate un cattivo nome all’attività: tutti coloro che sentono quei suoni penseranno che tutti gli ikliask di Aule abbiano un suono così brutto!».

E Caia gli ha risposto: «A noi il loro suono non urta e poi non possiamo permetterci degli ikliask buoni: costano troppo per le nostre tasche! Noi al portico suoniamo, cantiamo, balliamo e parliamo da amiche. Nessuno dei nostri mariti ha potuto lamentarsi che non curassimo la casa, i figli o il letto coniugale, e il portico è lontano dalle case: nessuno ha potuto lamentarsi che disturbiamo il suo sonno. Si può mai sapere che fastidio vi diamo?».

Lavori dei minotauri
  • costruttore di ikliask alla bottega di Aule;
  • incaricato di pedinare la moglie da un marito geloso.

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