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Topics - Gabriele Baldassarre

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Stando ad una nota sul sito Fantasy Flight Games stanno lavorando ad un GDR apocalittico seriale in cui i giocatori interpretano se stessi.

http://www.fantasyflightgames.com/edge_news.asp?eidn=5027

impatto scenico poderoso, idea senza dubbio originale, climax notevole ma secondo me...non funziona...

dov'è l'alterazione di sé giocatore -> personaggio che è uno dei punti di forza di un gioco di ruolo?

la loro ipotesi è che per vivere uno scenario epico e il proprio personale cammino dell'eroe basta cambiare il mondo, mentre non c'è bisogno di cambiare (quantomeno esteriomente) sé stessi

eppure ho SERI dubbi che questo meccanismo funzioni...anche solo (ma non solo) per una questione dei meccanismi di autodifesa mentale che si ingenerano nei giocatori stessi....mah...

sbaglio?

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Sotto il cofano / Ritualità e riti di passaggio
« il: 2014-08-31 17:18:44 »
Ho detto che, dopo diversi mesi/anni di read-only avrei cominciato a proporre argomenti volti a generare una discussione...e mantengo fede alla parola data :)

Tempo fa scrissi sul mio blog un articolo nel quale volevo esporre il mio pensiero sul canone del gioco di ruolo, o per meglio dire sul perché gli esseri umani trovano appagamento a vivere un certo tipo di esperienza interpretativa (quale che sia). Devo dire che citai leggerissimamente alcuni punti legati ai giochi "new wave", convinto che essi hanno fallito, al pari di molti altri giochi (non solo di ruolo) a sostenere un certo tipo di canone, ma era solo una digressione di poco conto e comunque del tutto generale, non era uno j'accuse né tanto meno una presa di posizione del movimento e dei giochi che hanno prodotto. Ne conseguì ciononostante un flame abbastanza aggressivo (e onestamente fuori luogo) e alla fine più che altro l'articolo fu snobbato senza che sia riuscito a far nascere il desiderato dibattito.

A distanza di un paio di anni, ora che gli animi sono un po' meno infiammati, vorrei riprovare.

A seguito di alcune letture legate alla forza di alcune tipologie sociali e dopo aver letto, in chiave esclusivamente antropologica (da profano, si capisce), alcuni testi e manifesti diciamo "esoterici", mi sono posto alcune domande: cosa spinge gli esseri umani a giocare di ruolo? Qual'è il collante sociale tale per cui delle persone decidono di condividere un spazio creativo e sottostare alle sue leggi, visto che, oltretutto, queste leggi sono scritte da un soggetto esterno, ovvero sono elementi al di fuori del nostro controllo? Quali sono le forze che spingono, assistiti naturalmente da un opportuno gioco, a far convergere gli intenti creativi su un unico punto?

Il Big Model parte da una legge di Maxwell, se vogliamo, solo enunciata e non postulata ed è quella della assodata volontà di perseguire un certo tipo di intento creativo da parte di tutti i giocatori attorno al tavolo. Non possiamo dire nulla sul perché abbiamo questo desiderio?

Sappiamo che nel gioco di ruolo si trova SEMPRE una convergenza, piu' o meno soddisfacente e piu' o meno fluidificata dal gioco e dalla sua coerenza. Non è automatico che l'intento sociale sia raggiunto e le partite possono fallire, ma è innegabile, secondo me, che ci siano delle forze attrattive in questo senso, da parte di persone fondamentalmente diverse tra di loro.

Tempo fa la risposta che mi diedi fu nella ritualità. Vedevo nel gioco di ruolo, chiamiamolo "tradizionale" (parpuzio in questo contesto forse è un po' infamante eheh), uno strumento di convergenza rituale. In pratica, il contratto sociale sottoscritto dai partecipanti risiedeva nella comune volontà ad essere unici depositari della conoscenza e quindi nella condivisione di uno spazio immaginario condiviso. Lo sforzo sostenuto per far convergere le esperienze è compensato, in un certo senso, dalla gratificazione del far parte di una setta. Questo giustifica la dedizione a cui i giocatori di ruolo si dedicano nel corso degli anni, con le sedute settimanali lunghe anni a cui siamo tutti abituati.

Ma ora sono quasi convinto che quello sia lo strumento, non lo scopo. Ecco la mia provocazione: ritengo che la gente giochi di ruolo (in senso ampio) perché nella società moderna, per convenzioni che sono state amplificate (ma non generate esclusivamente) dalla religione cristiana, l'uomo è stato privato della sua capacità di condurre i propri riti di passaggio, di iniziazione (verso l'età adulta, ecc.). In senso non molto figurato, con l'esempio piu' banale e riduttivo possibile: uccido l'orco nel dungeon perché non posso uccidere la tigre dai denti a sciabola nella foresta.

Non è una cosa che renderei esausta nella sfera del gioco di ruolo (il cammino dell'eroe parte dallo stesso presupposto, secondo me), ma nel gioco di interpretazione l'empatia che ne consegue col proprio personaggio rende il fenomeno quasi spirituale, proprio come tali riti di iniziazione di cui, appunto, siamo privi e di cui, se quel che dico ha un senso, sentiamo ancora il bisogno...

voi che ne pensate?

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