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Gioco Concreto / Blades in the dark - Dubbi sulle regole
« il: 2015-03-17 20:24:09 »
Dalle prime partite, sono già emersi alcuni dubbi.
Dato che su G+ le cose si perdono, riporto qui alcuni chiarimenti che ho avuto dalla community del gioco o direttamente dall'autore, e altri a cui siamo arrivati discutendo insieme.

1. L'indivudazione del pericolo
La cosa funziona così. Di base quasi ogni action roll (vi ricordo per superare un ostacolo o un pericolo) dovrebbe avere un potenziale pericolo (perché molti risultati del lancio portano i giocatori a subire l'effetto di questo pericolo).
MA... e c'è un ma... qualche volta l'ostacolo non ha in sè un pericolo immediato. In quel caso non ha senso inventarlo, ma semplicemente, si tratta di un tiro da posizione Controlled.
Infatti, se guardate bene, il fallimento del tiro su controlled funziona così "You reveal a flaw in this approach that will expose you to danger. You may back out now (abandon this method of action) or go ahead with it by rolling a risky move".
Quindi, il pericolo non c'era ma, dato che hai fatto un epic fail, comunque si prospetta all'orizzonte qualcosa di brutto. Occhio: il giocatore non subisce l'effetto del pericolo ma bisogna solo prospettarlo. A quel punto il giocatore può lasciare stare o, se continua, a questo punto lancia su Risky: perché, in effetti, ora c'è un pericolo concreto!".

Qui la discussione con Harper.
John: Yep. Also, if there's no danger, just an obstacle, it can be a controlled roll. There isn't always a danger (just usually).
Io: " Also, if there's no danger, just an obstacle, it can be a controlled roll. There isn't always a danger (just usually)".
So, if there's no danger, the player make  a controlled roll. And, only if he rolls a 1-3, then this reveal a flaw in his approach that will expose him to a danger.
So: there isn't an immediate danger but he fails so hard that he has to face a danger. But a possible danger, not the effect of a danger as if it was a risky roll. Right?
Example: The player fail to pick the lock, so I can tell him that a guard is coming (he doesn't think there was a guard - and originally there isn't - but because he failed the roll, now I show him a danger. But the guard is only a future danger (I expose him to the danger; I'm not applying the effect of a danger; so he can still avoid it, maybe with another action roll that now is risky?).
John Harper: Yes, that's it exactly. Also, the player has the option to withdraw and try a different approach, instead.

2. Raccogliere informazioni
Magari è un dubbio che è venuto solo a me, ma raccogliere informazioni è un action roll come gli altri (quindi vale quanto detto sopra). A seconda di quello che il giocatore decide di fare, si usa l'azione appropriata.

Io: Ok, I've a question (maybe a silly question)
When the players roll for Gather information, they can choose any actions they like (that fit the fiction) or it's a kind of special roll made without adding the action dots?
Mike Underwood:  I took it to be a type of roll completed by any number of actions. You can gather information with Sway, Deceive, Command, etc.
John Harper: Yep, Mike's right.

3. Scegliere i pericoli
Il pericolo non deve essere necessariamente collegato con l'azione che il giocatore sta facendo. Es: se io sto cercando di scassinare una serratura, il pericolo potrebbe derivare anche da una pattuglia di guardie che sta arrivando, non necessariamente da, per esempio, una trappola nascosta.
Inoltre, ma su questo sto aspettando ancora una risposta da Harper, sembrerebbe che i pericoli possano avere a che fare anche con amici o alleati (magari con un effetto anche meccanico, tipo un -1 di status) e che, se si tratta di flashback, possano riguardare anche il presente e non solo un momento del passato.

4. Il gioco di squadra
Qui non abbiamo avuto una risposta ufficiale, ma più o meno si capisce dal manuale. Quando un giocatore è "on point" può decidere di usare una delle mosse speciali,... ma anche no. La differenza sta in questo: la mossa speciale beneficia il gruppo. Se il giocatore decide di lavorare solo per suo beneficio, allora tira normalmente.
Each character can still perform solo actions during an operation. You can Sway that guard with your charm to gain access to the manor without using the Overcome move, leaving the rest of your team to figure out their own way inside."
So basically doing a non-Teamwork move is the selfish option: it only benefits you. I'd say in this case that if you had bribed the guard with a personal flashback action, he'd let you go, not report that you were there, etc…but the rest of your team is in trouble.

However, since the other character just rolled a special move, you could go on point and roll the flashback bribery as an Overcome action. Everyone potentially takes stress as the guard rounds the corner, puts a hand on his sword…and then spots you and gives you a wink before turning around. "All clear down here," he calls out as he heads back.

5. Il 4-5 sul tiro Controlled
Funziona così. Quando poi si lancia per vedere gli effetti, semplicemente si deve prendere l'effetto di un livello inferiore a quello che si sarebbe raggiunto con il lancio dei dadi.


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Gioco Concreto / Blades in the Dark - Prime impressioni
« il: 2015-03-17 20:08:49 »
Blades in the dark è un gioco di ambientazione industrial fantasy con un kickstarter di successo ancora in corso. Le impressioni si basano su una prima giocata fatta al volo con la quickstart guide.

Di cosa parla?
I giocatori interpretano dei mascalzoni (ladri, truffatori, assassini,...) che fanno tutti parte di una stessa banda. Il gioco si focalizza su due aspetti: i colpi messi a segno da questa banda e la scalata al potere della banda. Si parte come pezzenti e si dovrebbe arrivare come boss del crimine.

Com'è?
Ad una prima impressione, pieno di meccaniche interessanti ma forse, per certi versi, anche troppo meccanico.
Partiamo dai lati positivi.
C'è uno splendido modo di gestire la pianificazione: quella cosa che in certe partite di D&D poteva prendere ore e ore, qui è gestita in pochi minuti. La banda può solo scegliere un "tipo" di piano (ad esempio: attacco diretto, occulto, infiltrazione...). I piani sono cinque e ognuno ha un qualcosa da riempire, spesso tramite la raccolta di informazioni (per l'infilstrazione, ad esempio, è il punto di ingresso).
E voi direte? Ma tutta la preparazione? Tutte quelle cose che si vedono nei film in cui mi procuro prima la mappa, corrompo la guardia, faccio in modo di avere con me delle frecce avvelenate e cose così?
Altra meccanica geniale: i flashback. Quando si agisce durante la messa in opera del piano, si può agire indifferentemente (quasi) nel presente o nel passato. Esempio: siamo persi nel palazzo di una banda rivale. Uno dei giocatori chiama una scena di flashback in cui si sta procurando la mappa del palazzo da un contatto della banda.
Ci sono poi delle meccaniche molto interessanti per gestire il gioco di squadra e la scalata alle altre bande.
A questo proposito, mi piace moltissimo l'idea che la banda stessa abbia una scheda e possa ottenere upgrade nel corso della partita.

Lati negativi
Perché, allora, troppo meccanico? Soprattutto perché ogni azione è risolta da due tiri: uno per vedere se si riesce. L'altro per vedere la portata del successo che, a volte può essere anche parziale, obbligando i giocatori a tirare di nuovo fino ad ottenere un successo completo (il gioco usa un sistema di segmenti, di cui 4 è il default, che devono essere riempiti tramite successi). Questo, alla prima esperienza, sembrava rallentare un po' il gioco.
Un'altra mia perplessità è che, alla lunga, il tutto possa diventare ripetitivo. Ma lo vedremo solo giocando. 
 
Si tratta solo di prime impressioni al volo: ci sono altre meccaniche interessanti nel gioco, ma mi riservo di integrare dopo qualche partita.




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Generale / Re:Salve a tutti!
« il: 2015-01-19 09:57:28 »
Benvenuto!

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Questo l'ho fatto io / Re:La linea d'ombra
« il: 2014-09-26 13:24:00 »
Ho predisposto una versione giocabile (con citazioni, legami, etc...), per quanto ancora ovviamente in fase di bozza, qui: https://docs.google.com/document/d/1iglQAq92jDQtx0mivJB601b699zfo_kaIavvSAq7rP4/edit?usp=sharing.

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Questo l'ho fatto io / Re:La linea d'ombra
« il: 2014-09-25 11:06:50 »
Ti ringrazio.
Sugli assi hai ragione, ci avevo pensato ma avevo dimenticato di scriverlo. Se un giocatore prende più assi tiene soltanto quello con il valore maggiore: l'altro va al "secondo classificato".

Mancano ancora tutte le citazioni e le carte per i legami, prima che sia provabile, ma ci sto lavorando.

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Questo l'ho fatto io / Re:La linea d'ombra
« il: 2014-09-24 11:21:17 »
In realtà limitare il numero delle carte rovinerebbe la possibilità di scelta.
Cercherò di farne magari una prima versione (soggetta a modifiche successive).
Alla fine, sono solo 36 citazioni. Se sguinzaglio Fabio o Alberto vuoi che non me le recuperino in qualche ora? ;)

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Questo l'ho fatto io / Re:La linea d'ombra
« il: 2014-09-24 10:09:08 »
Eh, prima devo capire se vale la pena andare avanti in questa direzione. Poi bisogna scrivere tutte le carte legami e soprattutto le 36 carte citazione.
Fatto quello, ci si può pensare.  ;D

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Questo l'ho fatto io / La linea d'ombra
« il: 2014-09-24 06:32:02 »
Ho deciso di provare a riprendere in mano il gioco che avevo presentato al Game Chef, tenendone alcuni elementi e modificandone molti altri. In particolare, ho cercato di arricchire un po' le meccaniche di gioco (non di molto).
Questa è una primissima bozza, ovviamente (soprattutto per quanto riguarda i finali).
Mi serve però per cercare di capire se, secondo voi, come meccaniche potrebbe funzionare. Non ha senso che mi metta a riscriverlo e, soprattutto, a cercare decine di citazioni, per poi non utilizzarle.

EDIT: Il testo aggiornato è qui: https://docs.google.com/document/d/1iglQAq92jDQtx0mivJB601b699zfo_kaIavvSAq7rP4/edit?usp=sharing.

1. Presentazione del gioco
In questo gioco interpreterete quattro amici (o, almeno, quattro persone che una volta sono state amici) che si ritrovano per ricordare gli anni della loro giovinezza (indicativamente, 15-20 anni).
Non importa, per ora, l’occasione in cui vi siete ritrovati: lo scopriremo alla fine.
Quello che conta sono i vostri ricordi.

2. Cosa vi serve
Per giocare a questo gioco, servono 4 giocatori, qualche ora del vostro tempo, una fotocopia delle carte che troverete in fondo a questo manuale (o, se vi trovate a mal partito, un mazzo di carte francesi e quattro copie della tabella a pag. _), qualche foglio di carta e una penna.

3. Preparazione
Sedetevi intorno a un tavolo.
Prendete il mazzo di carte. Togliete i jolly (non ci serviranno) e gli assi (metteteli da parte, serviranno alla fine). Fate poi un mazzetto con tutte le figure al centro del tavolo. Le rimanenti 40 carte, distribuitele coperte, dieci a testa.

4. Scegliere luogo e tempo
Per prima cosa scegliete un luogo reale cui ispirarvi per la vostra scuola e i dintorni. Il luogo che scegliete caratterizzerà, almeno in parte, le vostre storie. Una storia ambientata a Los Angeles (Beverly Hills 90210) sarà diversa da una ambientata a Capeside, una piccola cittadina sul mare (Dawson Creek) che sarà a sua volta diversa da una ambientata in un liceo di provincia in Italia (e così via...).
Mi raccomando, usate i luoghi scelti solo come ispirazione. Non sentitevi bloccati dal cercare a tutti i costi la precisione geografica.  Sentitevi liberi. Quello che conta è la vostra storia, non la geografia.
Dopo aver deciso più o meno i luoghi, decidete in che periodo giocherete. Di nuovo: non serve essere pignoli. Non interessa a nessuno quando esattamente è stato inventato il walkman. Ma è importante che tutti siate sulla stessa lunghezza d’onda: ci sono i cellulari? Internet? La tv? È ovvio che una storia ambienta negli anni ’50 (Happy Days) sarà diversa da una degli anni 90 (Friends) o del 2000 (How I met your mother).

5. La creazione dei personaggi
Ogni giocatore scrive su un foglio di carta (che poi piegherà e metterà davanti a sè, come un segnaposto) le seguenti cose:
- Nome
- Una caratteristica fisica (è alto, è molto bello, è grasso, ha degli occhi penetranti...)
- Una caratteristica sensoriale (ha un buon profumo, una voce melodiosa, capelli lisci come seta...)

Cercate di non immaginarvi troppo del vostro personaggio, nè, soprattutto, fissatevi in anticipo su quello che sarà il suo carattere. Scoprirete molto di più su di lui, mentre giocate e il vostro personaggio potrà sorprendervi prendendo decisioni che magari voi non avreste immaginato.

6. I legami
Il giocatore più vecchio prende il mazzetto con le figure e ne distribuisce una a testa (a caso) agli altri giocatori.
Leggendo quanto è indicato sulla carta, costruite i legami tra i personaggi. Se ci sono spazi bianchi riempiteli con il nome di un personaggio giocante, salvo sia specificato il contrario. In questo caso, create un personaggio non giocante che diventerà parte della vostra storia.
Se volete, segnate i legami e i personaggi non giocanti su un foglio, per tenerne traccia.
Ricordate che i legami non sono immutabili: servono a stabilire una situazione di partenza che potrà cambiare nel corso della partita. 
Quando il giocatore più vecchio ha dato tre carte, passa il mazzetto al giocatore alla sua sinistra che darà a sua volta tre carte e così via.

Esempio: Carlo che è il giocatore più vecchio prende il mazzetto con le figure. Pescando a caso consegna a Lisa la donna di Cuori (“ho una cotta per te fin dalle scuole medie ma non te l’ho mai detto”); poi consegna a Filippo il Jack di Picche (“Sei l’unico a cui ho rivelato che..”) e a Maria il Jack di Fiori (“Sei l’unica che è stata dalla mia parte quando mi sono opposto a …”) riempiendo di volta in volta i puntini con le idee che nascono al tavolo.
Poi Carlo passa il mazzo con le figure alla sua sinistra e si prosegue.


7. I ricordi: impostazione
A questo punto avrete in mano 12 carte.
I semi delle carte sono legati ad una particolare emozione.
Cuori: amore
Quadri: amicizia
Fiori: ribellione/rabbia
Picche: sofferenza/solitudine
Tutte le carte numerate inoltre (ad esclusione quindi delle figure) riportano una citazione di una canzone.
Il giocatore più anziano sceglie una carta numerata (non le figure, quindi) tra quelle che ha in mano, la mette davanti a sé scoperta e inizia  a descrivere un ricordo basato sull’emozione e sulla citazione della carta. Le citazioni servono soprattutto come ispirazione, non attenetevi strettamente al testo, sarebbe solo inutile.
Salvo particolari eccezioni, sarebbe meglio che fosse presente sempre almeno un altro dei giocatori. Ricordate di usare i legami come ispirazione per le scene.
I giocatori non presenti possono entrare nel ricordo soltanto se chiamati dal narratore. Se nella scena è presente un personaggio non giocante, questo potrà essere interpretato da uno dei giocatori non in scena.

8. I ricordi: l’incertezza
Quando un giocatore diverso dal narratore crede che nel ricordo si sia arrivati chiaramente ad un momento di incertezza (quando, in altre parole, è evidente che c’è una domanda nell’aria a cui si deve dare una risposta: la bacerà? Verrà scoperto? Cosa sarà successo a Carlo? Chi vincerà la gara clandestina d’auto?), mette, sopra la prima carta, una altra carta a sua scelta (anche una figura). Quando anche un terzo giocatore gioca una propria carta la scena si interrompe e l’ultimo giocatore rimasto deve giocare a sua volta una carta.

9. I ricordi: risoluzione
Il giocatore che ha giocato la carta con il valore più alto prende tutte le carte giocate e le mette in un mazzo a parte che terrà davanti a sé (chiamiamolo il mazzo del tempo).
Quindi, giocare una carta alta permette di orientare il ricordo ma costringe a prendere su di sè tutte le carte giocate precedentemente.
La carta più alta determina l’emozione con cui il ricordo deve andare a concludersi. Cercate di decidere insieme il finale della scena: in caso di disaccordo, il giocatore che ha giocato la carta vincente ha comunque l’ultima parola.

10. Prima del finale
Quando tutti i giocatori hanno ricordato tre volte, il gioco si avvia al finale.
Ogni giocatore conta il valore complessivo per ogni seme delle carte che ha davanti a sé.
Il giocatore con il valore più alto per ogni seme,  prende l’asso corrispondente e lo mette davanti a sè.

Esempio: terminata la partita la situazione è questa:
- Carlo: 33 picche, 27 cuori, 12 fiori e 18 quadri): prende l’asso di picche.
- Licia: 21 picche, 30 cuori, 20 fiori, 21 quadri)  : prende l’asso di cuori.
- Maria: 13 picche, 11 cuori, 40 fiori, 20 fiori) : prende l’asso di fiori.
- Giulia: 23 picche, 22 cuori, 18 fiori, 31 quadri): prende l’asso di quadri.


A questo punto, verificate quale seme ha il valore più alto. Prendete l’asso corrispondente e mettetelo al centro del tavolo.

Esempio: nel caso visto sopra, il valore più alto sono i 40 fiori di Maria. Quindi si mette al centro del tavolo l’asso di fiori che determina il finale.

8. I finali
A seconda dell’asso che è finito al centro del tavolo, si innesca uno dei seguenti finali.
In altre parole, dopo aver ricordato tutto, scopriremo in che occasione si sono reincontrati i nostri protagonisti.
Per comodità chi ha l’asso di picche è chiamato Picche (e così via).

Asso di picche: Funerale
Picche descrive il suo funerale e racconta come è morto.
Quadri racconta quando è stata l’ultima volta che ha visto Picche e cosa si sono detti.
Fiori spiega perché ha scelto di non venire al funerale, e dov’è.
Cuori si alza e tiene un breve elogio funebre per Picche, ricordando i bei momenti di una volta.

Asso di quadri: Compleanno
Quadri racconta dov’è la festa e tutti quelli che sono venuti: in particolare, chi c’è e non si aspettava che ci fosse. 
Cuori racconta con chi è venuto al compleanno.
Picche racconta perché non c’è alla festa.
Fiori si alza e fa un breve discorso per fare gli auguri a quadri, ricordando il passato.

Asso di cuori: Matrimonio
Cuori racconta com’è la festa, dove, e, soprattutto, chi è lo sposo/sposa.
Fiori dice se è tornato e da dove per esserci. 
Picche racconta chi avrebbe voluto che ci fosse ma non c’è.
Quadri si alza e tiene il discorso del testimone

Asso di fiori: La partenza
Fiori spiega dove sta andando e perché.
Cuori decide se partire con lui o meno.
Quadri consegna un regalo che gli ricordi i vecchi tempi.
Picche non c’è ma ha scritto una lettera di addio: leggila.

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Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-19 15:10:06 »
Dite che alla fine sempre a quelli si arriva?

kimono della madre (io avevo il kimono del marito)
il figlio piccolo della vicina per cui sei una zia (io avevo il fratellino piccolo):


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Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-17 16:21:58 »
Io non ho avuto il problema del foglio bianco ma capisco che possa accadere e, nel caso, forse tre elementi da determinare a priori sono troppi. Anche il discorso liste lunghe/liste corte ha senso. Mi dichiaro convinto.

Comunque, nemmeno da noi qualcuno ha sacrificato un preferito. Manu ha detto che ha visto pochissimo quella regola in azione.
Quanto a me, io avrei potuto sacrificarli, forse, per ottenere un gesto di affetto  (ma chi prendo in giro: il Kimono sarebbe volato dalla finestra in tre secondi per uno dei gesti di affetto finali). Ma soltanto per mantenere la perdita di paura, no; non pensavo ne valesse la pena. Probabilmente è un discorso "egoistico": mettere davanti il proprio pg alla salvezza del villaggio. Sarei curioso di trovarmi in una situazione tale da sentire necessario sacrificare un preferito per mantenere bassa la paura complessiva.

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Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-17 14:42:39 »
Sì, capisco quello che intendete ed è vero che nulla vieta di inserire altri luoghi nel corso del gioco (in qualche modo l'ho fatto anch'io dato che molte scene si sono svolte in due soli luoghi: la casa ed il confine con la nebbia).
Però credo che il creare all'inizio qualcosa che è caro al personaggio possa aiutare a farlo entrare in gioco poi.
Comunque la mia è solo una sensazione e forse dipende dal fatto che ero l'unico a non avere un luogo (volevo troppo sia li fratello che il kimono) e ne ho un po' sentito la mancanza.
Camminare lungo "il bordo della foresta" forse sarebbe stato diverso se avessi saputo, fin dalla creazione, che quello era un posto importante per Rumiko.

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Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-17 12:43:49 »
Mi ero dimenticato di aggiungere due cose.
Di solito io non gioco mai personaggi femminili, quindi avevo il timore di potermi bloccare o di perdere spontaneità nel continuare a pensare "Come reagirebbe una donna ora?" o cose di questo tipo.
In realtà non ho avuto assolutamente alcun problema: nel senso che, una volta iniziato a giocare, non ho mai fatto quel pensiero, ma ho semplicemente giocato come mi sentivo.

L'altro punto riguarda i favoriti: ripensandoci non capisco perchè siano limitati a due. E' vero che possono essere sacrificati per "risolvere" i pareggi, ma secondo me avrebbe più senso permettere a tutti di averne tre. Trovo che siano non solo un buono spunto per le scene ma anche un ottimo modo per caratterizzare il proprio personaggio.

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Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-16 16:53:40 »
I gesti disperati intendi, giusto?
Sì, io ho provato a farlo a metà del gioco. Il mio "corrompere" era offrire una cena, per dire.
Però, poi, nel finale, non sono davvero riuscito a usarli, nemmeno in modo sottile.

14
Gioco Concreto / Re:Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-16 15:48:43 »
In realtà l'ho notato alla fine. Non avevo capito molto bene il discorso dei punti affetto. Quindi pensavo che senza i gesti di affetto non si potesse ottenere amore e che, quindi, non ottenere i gesti fosse più dannoso di quanto effettivamente non fosse. E, ciò nonostante, avevo comunque scelto di non usare i gesti disperati, a riprova della potenza del gioco.

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Gioco Concreto / Kagematsu - La città del ferro
« il: 2014-09-16 14:46:39 »
Sabato sono riuscito finalmente a provare Kagematsu.
Non ero sicuro che fosse necessario un AP: il gioco è conosciuto, tanti ne hanno già scritto.  Ma alla fine continuo a pensare a quella partita, ed ormai ho capito che, in questo caso, l’unica è buttare giù le emozioni e riflessioni che il gioco mi ha regalato.
Per chi non ha voglia di leggere la fiction, le mie impressioni sono in corsivo anche se potrebbero non essere molto chiare, staccate dal racconto degli avvenimenti.

I luoghi
Il posto si chiama la Città del Ferro. Il nome è appropriato. La miniera è sempre stata il centro e la fortuna di questo piccolo villaggio di collina. Questo, almeno, fino all’arrivo della nebbia. La nebbia è uscita lentamente dalla miniera, silenziosamente, e ora circonda tutto il villaggio.
Nessuno può entrare, nessuno può uscire.  Gli uomini hanno provato, uno dopo l’altro, ad entrare nella miniera per capire cosa stesse succedendo, per salvare il villaggio. Ma nessuno è mai tornato.
Nonostante la nebbia, è primavera e il villaggio è bellissimo. Le case, con i loro splendidi giardini, sono pulite ed ordinate, gli alberi in fiore. La locanda è aperta e si sente il battere del martello del fabbro, giù alla fucina. C’è cibo in abbondanza, i campi sono rigogliosi e l’acqua, che sgorga dalla sorgente del tempio nella foresta, è fresca e pura: scorre via, veloce, fermandosi poi in una piccola polla tra gli alberi: c’è una ragazza, seduta su un masso, con i piedi a mollo. È tutto bellissimo.
Ma nessuno può entrare e nessuno può uscire.

Siamo a Gnoccocon, su una panca, in mezzo agli altri. A ripensarci, ora, se dovessi tornare indietro cercherei un posto più lontano, più appartato, a costo di sedermi su qualche panchina, o sull’erba.
Non per colpa di quelli che giocavano vicino a noi, anzi. Ma per l’atmosfera. Talvolta, soprattutto all’inizio, ho faticato a rimanere concentrato e soprattutto serio. Quando era il mio turno non avevo problemi: la Biasola scompariva e io ero semplicemente lì, con Kenji.  Ma nei turni degli altri mi rendo conto di aver fatto forse qualche battuta di troppo. Scusatemi, se magari sono stato fastidioso senza rendermene conto.
Se dovessi rigiocare a Kagematsu, mi cercherò un posto lontano, dove stare solo noi giocatori e niente altro.


Le donne
Rumiko (io) è la giovane moglie del capo villaggio. È alta, ed ha perennemente un’espressione seria anche se gli occhi, se li si guarda bene, nascondono un’allegria trattenuta. Spesso li stringe leggermente, come se non ci vedesse bene. I capelli sono neri e lunghi: a lato, c’è un’unica ciocca completamente bianca. I suoi preferiti erano il Kimono del capo villaggio, rosso con un mezzo sole arancione sull’orizzonte (alba? tramonto?) e il suo fratellino piccolo, Takai.
Delle altre do solo qualche piccolo spunto. Completeranno loro se vogliono.
Ai (Emanuele) è una giovane arciera. Kioko (Giovanni) una ex prostituta di cinquant’anni, guardiana del tempio. Sakura, è il fabbro del villaggio, forte e indipendente.

Non avevo mai giocato con nessuno dei miei compagni dal vivo (tranne che con Manuela) ma mi sono trovato benissimo con tutti loro. Ma, sarà sincerò, ormai questa non è più una sorpresa. Ho capito che le persone che incontri alle CON, soprattutto quando scelgono di giocare con te a certi giochi (come Kagematsu), difficilmente si rivelano cattivi compagni di gioco.
Quanto a Rumiko, chi mi conosce noterà alcuni elementi caratteristici dei miei personaggi: un ruolo di responsabilità e qualcuno di cui prendersi cura. L’idea della moglie del capo villaggio e del fratellino le avevo immaginate in anticipo. La ciocca di capelli bianchi (che avrà un ruolo importante nella storia), invece no.
Non appena ho finito di descriverla, ho scelto innocenza 4 e fascino 3. Non avevo nemmeno finito di scriverlo che Manu definiva questa scelta “la via del dolore”. Va beh, ormai era andata.


Kenji
Kenji era il nostro Kagematsu. Un uomo dolce, capace di non prendersi troppo sul serio (che è forse una delle caratteristiche che ho amato di più), spaventato dal ruolo che gli è stato imposto, dalla sua responsabilità e timoroso di deludere le persone a cui teneva. Un Kagematsu affamato di vita, di normalità; di  quelle piccole cose (un pranzo, una bevuta tra amici,…) che talvolta noi vivi diamo per scontate: sì, perché Kenji era morto (avete letto bene: questa volta non era cieco o posseduto, questa volta era morto). All’interno della nebbia del villaggio, era tornato nuovamente “vivo”, e così noi lo avevamo conosciuto. 

Il nostro ronin è stato interpretato da Manuela con la sua solita straordinaria bravura (fa un po’ effetto unire solito a straordinario, ma è così, cosa volete che vi dica). E pensare che era anche stanca.
Mi è piaciuta molto l’idea del Ronin morto. Ci sono arrivato tardi, e forse avrei potuto capirlo da prima,  ma sono contento di essere stato ingenuo e di essermi lasciato stupire, anche considerando quanto questo ha poi influenzato il rapporto tra il mio personaggio e il Ronin.


Primi sguardi
La mattina di Rumiko inizia, come ogni giorno, con un giro dei confini del villaggio, per capire se qualcosa è cambiato, se la nebbia ha lasciato dei varchi.  Ma la nebbia è sempre lì.
Questa mattina, però, c’è una figura,un uomo, sembra, seduta sull’erba. Rumiko si avvicina lentamente, passando per il bosco. Non sa ancora chi sia ed è suo dovere, come capo del villaggio, cercare di scoprire se lo straniero (il “Nobile straniero” come lo chiamerà fino alla presentazione) può essere una minaccia.
Solo che lui si accorge di lei e la guarda negli occhi. Molto, molto più a lungo di quanto sarebbe opportuno. Arrossendo, ma mantenendo la sua espressione seria, Rumiko si presenta e lo accoglie nel villaggio, invitandolo a seguirla.
Il giorno dopo i due si incontrano mentre Rumiko sta per iniziare il suo giro. In quel momento Takai (il fratellino) arriva correndo e si attacca alla sorella chiedendo se può venire anche lui. Lei si lascia andare, per un attimo, ad un sorriso allegro. Poi, preoccupata, si volta per controllare per se il nobile Ronin si è offeso. Ma Kenji le sta sorridendo, felice. Allora Rumiko si carica in spalle Takai e partono per una passeggiata lungo il bordo.
Camminano e parlano finché la nebbia non si allunga oltre il confine, trascinando all’interno Kenji e lasciando Rumiko e Takai sconvolti e spaventati.   

La prima scena è stata utile per familiarizzare con le meccaniche del gioco. Ma non è stato difficile: Manu aveva spiegato molto bene le regole.
Come è stato già detto da molti, il gioco è veramente elegante e le meccaniche sono perfette per ottenere quello che si prefigge. All’inizio è facile ottenere i segni di affetto; ma più ne ottieni, più sei portato a legarti al Ronin. E più sei portato a legarti a lui, più farà male quando poi inizierai a non avere abbastanza dadi per ottenere ciò che vuoi. Se non tramite i gesti disperati. Ma ne parliamo poi.
L’arrivo della minaccia è stato davvero complicato da gestire per me. Come ho detto al tavolo mi sono sentito un po’ come quando, da piccolo, ti capitava una carta “salta il turno”. Stare lì a guardare gli altri giocare, sapendo che la mia scena mi era stata tolta così mi ha fatto un po’ male. Col senno di poi, però, sono contento che sia capitato soltanto alla seconda scena: è successo di peggio, anche nella nostra partita.
Dal punto di vista “emotivo” la prima scena era stata abbastanza neutra. Ma già dalla seconda, con il sorriso felice di Kenji, stavo iniziando ad affezionarmi a lui.


Le cose si fanno serie
Rumiko ha cercato Kenji per tutto il giorno, sconvolta.
Verso sera, finalmente, lo vede mentre sta facendo i kata con la spada ai bordi della foresta. Il sollievo è forte ma si controlla e rimane ad attendere che lui finisca. Kenji termina (prima del previsto) i suoi esercizi e poi, per prima cosa, si scusa per averla fatta spaventare.
I due passeggiano insieme fino a quando non si siedono su un tronco caduto dove lui (probabilmente stufo di farsi chiamare Nobile straniero) le dice di darle del tu. Rumiko a quel punto vorrebbe qualcosa di più, vorrebbe sapere il suo nome, ma le cose si fanno difficili. Cerca di “corromperlo” invitandolo nella sua casa per cena, ma Kenji non cede finché Rumiko non gli spiega che ha bisogno soltanto qualche momento di normalità, per lei ma soprattutto per Takai, perché ha paura che il fratello possa fare qualche stupidaggine e cercare di scappare dal villaggio. Kenji, allora, cede e si presenta.
   La sera, in casa, Rumiko si toglie finalmente il Kimono e si scioglie i capelli: Kenji è stupito dalla ciocca bianca e Rumiko gli spiega che le è venuta quando è nato Takai. È un legame con suo fratello.
Poi cucina per Kenji, con cura e amore, usando ingredienti speciali, quelli tenuti da parte per un’occasione unica e importante. Takai, a cui non par vero, non fa che chiedere perché questa sera si mangiano tutte queste cose buone; Kenji, divertito, si complimenta per la sua cucina.
Messo a letto Takai, Rumiko cerca di scoprire cosa porta qui questo Ronin, ma lui esita, sembra triste. Lei a quel punto inizia a spogliarsi, cercando di fargli vedere qualcosa di bello, per farsi perdonare rispetto ai pensieri tristi che gli ha fatto tornare in mente. Ma lui le dice di smetterla subito. Allora Rumiko si prostra, chiedendo scusa e perdono per la pessima figura che ha fatto fare a tutto il villaggio. Kenji cede e le rivela il suo segreto: lui è morto. Rumiko è sconvolta e non riesce sa cosa rispondere.

Queste due scene sono state strane. È stato il mio primo contatto con i gesti disperati (corrompere e pregare, per ottenere  l’invito a cena; spogliarsi e pregare per ottenere il segreto).
Io, come al solito, giocavo di pancia. Ma a questo punto del gioco, in qualche modo stavo ancora tenendo conto dei punti paura. Stavo ancora cercando di utilizzare le meccaniche a mia disposizione per “vincere” il gioco (non per diventare l’amata, ma per salvare il villaggio). Lo scrivo, anche se magari sembra ovvio, perché di lì a poco le cose sarebbero cambiate. L’uso dei gesti disperati, quindi, non mi ha pesato e, forse, l’ho anche in qualche modo forzato. Il tentativo di Rumiko di spogliarsi era forse eccessivo rispetto a quello che di lei si era visto finora: ma, come mi hanno insegnato questi giochi, non sempre si conosce così bene il proprio personaggio e talvolta bisogna imparare a capirlo, anche quando fa qualcosa di inaspettato.
In ogni caso, questi gesti disperati dovrebbero avermi fruttato i due unici punti di  pietà della partita. 
Nel frattempo, mentre io vivevo queste due scene, Emanuele stava ampiamente conquistando il cuore del nostro Ronin e la cosa era anche abbastanza evidente. Ma, stranamente, non ne ero molto geloso. Manu mi diceva che lei fatica a giocare un ruolo diverso dal Ronin per la competizione e gelosia. Io, personalmente, sono stato molto (e intendo MOLTO) più geloso durante una partita di Dilemma. Ripensandoci a mente fredda in questi giorni, mi sono reso conto forse del perché non lo fossi qui: semplicemente ero convinto che alla fine l’amata sarebbe stato chi avesse avuto la dichiarazione d’amore e, se nessuno ce l’avesse fatta, allora … non so, sarebbe successo altro. Non mi era del tutto chiara l’importanza dei punti amore per la determinazione dell’amata. Se l’avessi capito, probabilmente avrei sofferto di più mentre Emanuele, durante le sue scene, macinava punti d’amore su punti d’amore.
Un ultima cosa: il mio rimanere senza parole di fronte alla rivelazione del segreto di Kenji mi ha aiutato a definire Rumiko: l’ho interpretato come se lei, semplicemente, avesse creduto al Ronin, senza bisogno di ulteriori conferme, a differenza, ad esempio, di Ai. Io ho preso questa fiducia e ne ho fatto un punto importante di Rumiko.


Segni d’affetto mancati
Il giorno dopo, quando rientro a casa, trovo Kenji che sta facendo lezione di calligrafia a Takai. E, improvvisamente, quella scena così semplice, mi fa sentire come se stessi tornando davvero a Casa, come lui facesse parte di questo posto, da sempre; come se le cose stessero tornando normali. Li guardo per un po’, per non disturbarli (ancora questa attesa), e poi mi avvicino e chiedo se posso unirmi a loro. Una volta, dico, anch’io lo sapevo fare, anche se sono un po’ arrugginita. Prendo il pennello e disegno il kanji per Speranza (che poi ho scoperto voler dire anche desiderio). Lo consegno a Kenji che lo prende con cura. Vedo che è colpito.
Allora capisco cosa devo fare: mando fuori Takai con una scusa  (a prendere degli ingredienti per la cena, credo) e inizio a spiegare a Kenji che anche se lui è morto, qui non sembra esserlo. Forse c’è qualcosa che lo lega a questo posto e gli dico che vorrei rafforzare questo legame, legarlo ancora di più al villaggio (e a me, ma questo non lo dico).
Gli prendo i capelli tra le mani e, con un unguento, coloro una lunga ciocca dei suoi capelli di bianco.
La sera stessa, nel villaggio sta piovendo. Takai è a letto e io e lui siamo in “salotto”. Lui è agitato; gli parlo a lungo per calmarlo; gli ripeto che il suo posto è qui. Che non deve avere paura del futuro ma che, comunque, qualunque cosa accadrà, adesso lui è qui, è vivo e deve approfittare di questo. Nel dirlo gli tocco il petto, gli sento il cuore e lui prende la mia mano e la porta al viso per sentirne il calore e il profumo. Io chiudo gli occhi, davanti a lui e aspetto, sciogliendomi leggermente la veste. Ma un attimo lunghissimo trascorre, senza che lui si muova, e allora mi appoggio tra le sue braccia. Lui mi stringe. Fuori continua a piovere.
Qualche notte dopo, mentre dormo, sento bussare alla porta. Un bussare strano. Apro e me lo vedo davanti, stanco, provato, febbricitante. Mi dice che non ha ancora molto tempo ma io non ci credo e gli dico che non è vero. Poi gli dico che quando è arrivato pensavo a lui come al salvatore del villaggio. Del resto, era il mio compito farlo. Ma ora, non voglio più che si sacrifichi per noi. Preferisco che rimanga qui, non voglio perderlo. Non mi interessa niente del villaggio: voglio solo che lui rimanga. Kenji è distrutto e si appoggia a me. Io lo conduco verso la camera di Takai, dove avevo già preparato un altro futon per lui. Lo prego nuovamente di non andare restare, perché per me è troppo importante. Ma lui è troppo stanco, e senza rispondere, crolla addormentato sul futon.

Le ultime tre scene sono state in assoluto le più intense nonostante (o forse proprio perché) nessuno dei tre segni di affetto che ho cercato è andato a buon fine (un dono, un bacio, una confessione d’amore).
Non ho potuto utilizzare gesti disperati, tranne pregarlo. Non me la sono proprio sentita. Giunto a quel punto della partita, semplicemente non era giusto mettere in dubbio il suo onore o minacciarlo o che so io. Non lo avrei semplicemente potuto fare. Non mi interessava davvero più nulla del villaggio, nè delle regole del gioco.
E qui ho davvero amato Kagematsu. Metterti così di fronte al fatto che dovresti compiere quei gesti disperati ma che non vuoi farlo, perché non è giusto farlo, beh, non fa altro che farti capire ancora di più quanto tu ti sia affezionato al Ronin. L’ho trovata una meccanica di gioco davvero meravigliosa, e credo che Emanuele (io e lui eravamo i due che si erano affezionati di più a Kenji, credo) abbia provato la stessa cosa. 
Alla fine, comunque, io non volevo che lui se ne andasse e non volevo che qualcuno gli strappasse la promessa. O, quantomeno, certamente non lo avrei fatto io. Cosa che avrebbe portato ad un bel problema se fossimo arrivati ad un altra scena perché mi rimanevano solo due segni: la promessa e un momento di passione. Per fortuna non ho dovuto giocare la mia ultima scena, perché davvero non avrei saputo per cosa andare. Anche se, messo alle strette, avrei scelto il momento di passione. Non avrei mai potuto chiedergli di andare a morire.
Kagematsu, come altri giochi di questo tipo, cresce con il tempo. E così se le prime scene sono, diciamo, semplici alla fine  il peso del gioco si fa sentire. E infatti c’erano meno battute al tavolo e io ho passato quasi tutto il tempo in piedi, per sentire meglio  e sbirciare i lanci dei dadi. 
E poi c’è quella tensione maledetta in cui non sai mai quando gli altri andranno per la promessa, chiudendo il gioco, quando magari tu non hai ancora provato ad ottenere quella confessione, perché non era il momento giusto. Fortunatamente (per me), Emanuele ha lanciato tre sei mentre cercava di ottenere la promesssa, permettendomi un ultima scena con Kenji che lui non ha potuto avere.
Alla fine, Lavinia con una lunga scena (in cui, lei sì, ha usato credo tre gesti disperati) è riuscita a strappare la promessa al Ronin.


Il finale
La nebbia, ormai, non rimane più ai confini della città. Sta serpeggiando nelle strade del villaggio, tra i giardini e il tempio. Le persone iniziano a sentirsi stanche, assonnate e si raccolgono nella locanda, per stare insieme in questi momenti.
Kenji entra nella miniera. La nebbia si chiude alle sue spalle.
Lui procede con passi lenti, misurati. A ogni passo dice i nostri nomi, con la determinazione di uno spettro che rivendica ciò che è suo. La sua voce è un sussurro all’inizio, poi cresce, man mano che si inoltra nella miniera, finché non diventa un urlo. Un urlo che spazza via per sempre la nebbia.
Quella sera sento un bussare strano alla porta. Lo riconosco. Quando apro, Kenji è davanti a me. È cambiato: sembra più vecchio, i suoi capelli sono grigi, ma è vivo. Gli salto al collo, senza aspettare questa volta. Poi gli prendo i capelli tra le mani e, sorridendo, gli faccio vedere che, lì, tra il grigio, c’è ancora una ciocca bianca. Lui mi guarda, sorride e mi bacia.

Mi è piaciuto molto come il gioco costruisce il finale. Il fatto che, alla fine, si tratti di una lotta tra la paura e l’amore. Ed ho trovato splendida anche la possibilità di sacrificarsi per Kagematsu.
Ho anche apprezzato molto come Manuela ha scelto di descrivere la “battaglia finale”.
Come ho detto prima, non avevo ben capito il discorso che si poteva essere l’amato indipendentemente dall’esito dei segni di affetto. Questo ha forse diminuito la mia gelosia ma ha concentrato tutta la tensione in cui pochi momenti in cui Manu ha atteso prima di rivelare il nome dell’amata.
Ci speravo, devo dire la verità, sopratutto per quelle ultime scene, in cui anche la poker face di Manu si era incrinata. Ma poco prima Ai stava per ottenere la confessione e, beh, poteva benissimo essere anche lei.
Invecei alla fine è finita bene, almeno per me. Il che vuol dire che mi toccherà provare un’altra partita per provare com’è non essere l’amato.


Considerazioni finali
Il gioco mi è piaciuto molto. E, soprattutto, mi ha ricordato quello che io cerco nei giochi di ruolo. Come devo aver già scritto da qualche parte  sono convinto che certe emozioni (che nascono non solo dalla sensazione di essere davvero protagonista di una storia, ma, soprattutto, dallo scambio di emozioni che hai con le altre persone al tavolo) le possa dare soltanto un gioco di ruolo.
Ora, per quanto a me piaccia anche giocare per divertirmi, questa partita mi ha ricordato che il divertimento che può darmi DW (un nome a caso) non può competere con le emozioni che, quando va tutto bene, sanno darmi giochi come Dilemma o Kagematsu.
Alle Con, quindi, dovrò cercare di dedicarmi a questi giochi. Il prossimo nella lista (e lo scrivo, così poi potrete obbligarmi a farlo, dato che ormai l’ho dichiarato) sarà l’Amore al tempo della guerra. Perché magari mi farà soffrire, ma sono sicuro che ne uscirò avendo vissuto una storia che mi lascerà qualcosa dentro e che probabilmente continuerò a ricordare a lungo (così come ricordo ancora Vienna, Lisa e, ora, Kenji).

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