Gente Che Gioca > Sotto il cofano
Di come iniziò...
rgrassi:
Colgo la "provocazione" (in senso buono) di Ezio ed il suggerimento di Mattia.
E vi racconto alcune esperienze di gioco con i bambini e cosa ho imparato (molto).
La prima volta che iniziammo a giocare "alla Levity" (lasciatemi passare questo termine se no non ne veniamo più fuori) fu nel corso di una partita di Cluedo che stavo giocando con i miei nipoti e due loro amici (erano tutti bambini intorno agli 8/9 anni) ed era una estate di molti anni fa. 2002? Qualcosa del genere.
La partita di Cluedo non stava entusiasmando molto, cosicchè quello che feci (memore di alcune partite di D&D giocate, ma soprattutto viste, alcuni anni prima) fu di dire, "Volete provare un gioco in cui usiamo la plancia di Cluedo come 'mappa' e voi muovete i vostri personaggi, decidete cosa vogliono fare ed io vi dico se la cosa riesce o meno?" (o qualcosa del genere, onestamente non ricordo i dettagli, sicuramente non giocarono a loro insaputa, :) cosa che va molto di moda di questi tempi bui.) Dissero tutti sì.
Quindi avevamo 5 bambini che non avevano mai giocato prima, più io che ricordavo 'più o meno vagamente' come si potesse gestire qualcosa di simile.
La cosa che mi interessava però, in quel momento, non era tanto capire come potesse procedere 'tecnicamente' il gioco, ma quello che accadeva al tavolo. Naturalmente non avevo la più pallida idea di voler scrivere un manuale. Quindi iniziammo il gioco. Mi ero dilettato negli anni a scrivere gioco di interactive fiction per computer, avevo giocato ai librogame, avevo giocato alle avventure grafiche, mi dilettavo di sceneggiature per fumetti e cinema e così via. Insomma, avevo un bagaglio di conoscenze tecniche 'extra gdr' che avrebbe potuto aiutarmi. Così mi lanciai.
Tanto per cominciare la casa di Cluedo iniziò a diventare una casa 'abbandonata' ed in cui era accaduto un "mistero da scoprire". Nessuno dei bambini disse nulla. Questo mi fece capire il concetto di "autorità", e cioè che ci sono dei momenti di gioco in cui alcune cose 'passano' nella fiction senza che nessuno possa o voglia opporsi e vengono prese "così come vengono dette". Perchè è importante e mi focalizzai sul "come vengono dette, intendendo proprio le parole espressamente dette". Per una serie di motivi. Il primo è molto pratico. E cioè che quando si gioca con i bambini (con tanti bambini, non con uno solo) ci può essere molta confusione e non c'è sempre tempo/modo di capire cosa vogliono intendere. Il secondo è che solo facendo dire esattamente cosa uno vuole gli altri giocatori (compreso il Narratore) possono prendere una posizione. Il terzo è che se sei costretto a dire esplicitamente tutto quello che vuoi, ci saranno molte meno cose vaghe che vuoi ottenere ma ci saranno anche molte meno cose vaghe che non hai detto esplicitamente di volere ottenere (tutte queste cose sarebbero poi confluite nelle Essenze di Levity). Il quarto, molto più didattico, era anche quello di esercitare i bambini a pensare prima di parlare e di 'educarsi a formulare correttamente le frasi'.
In questo senso: "Provo ad aprire la porta" era qualcosa che non aveva senso per il 'sistema (nel senso di lumpley)' che stavamo usando. "Apro la porta." aveva senso. Perchè quella frase, così espressa, obbligava me e gli altri giocatori a prendere una posizione. Se nessuno si opponeva, 'passava come detta' e cioè che nella fiction il professor Plum apriva la porta della Cucina (E BASTA. ricordate, solo quello che veniva detto esplicitamente sarebbe diventato vero.)
Capito questo assunto i bambini, che capiscono subito le regole e come piegarle a loro favore, iniziarono a dire cose del tipo "Apro la porta e trovo uno spettro che legge un libro davanti al camino." Questo mi fece molto riflettere. Non iniziai a scomporre questa cosa nella "authority" (cosa che non mi entusiasma neanche ora) ma mi focalizzai invece su quello che vidi al tavolo. Frasi più lunghe (che erano espressione di una volontà di verità della fiction più complessa) avevano meno probabilità di passare. Gli altri giocatori iniziavano a dire "Ehhh... esagerato/a. A me non sta bene tutto. Ti faccio passare che trovi lo spettro." Mi focalizzai quindi sul meccanismo base di funzionamento (di ogni rpg? non lo so) ed era una cosa a cui non avevo mai pensato prima.
Qualcuno dice qualcosa, qualcun altro si oppone a questo qualcosa. Quello che resta da questo "scontro di frasi" (e di volontà retrostanti) è la fiction validata. Questo era il modulo "MINIMO" di gioco. Più cose uno vuole, meno probabilità ci sono che passino tutte insieme nello stesso momento, per come le ha dette. Quando qualcuno si oppone, deve esserci un meccanismo che regoli questo 'blocco'. Anche chi si oppone non può dire ciò che vuole. Anche per lui vale la pratica del "più cose dici CONTRO, meno probabilità hai che si avveri quello vuoi tu invece che lui".
Il gioco procedette così (perdonatemi, la mia memoria non è il massimo, e non ricordo esattamente la storia che ne venne fuori, anche se ricordo che parlava di una bambina uccisa molti anni prima e che una sua materializzazione di molti anni dopo, rientrava nella casa, e ritrovava una sua vecchia bambola in cui era nascosto un diamante) , ricordo vagamente che io 'controllavo' la casa (intendendo che io avevo il controllo sugli elementi scenici) ed i giocatori avevano il controllo dei personaggi. Ogni volta che loro dicevano cose che non mi andavano bene (come se la casa avesse una volontà propria) si andava ai conflitti (di cui vi parlerò dopo). Lo stesso valeva per le interazioni dei personaggi tra di loro.
Se non ricordo male in quella prima sessione ogni bambino muoveva un solo personaggio. L'idea di continuare a scambiare personaggi mi venne più avanti ad un'altra sessione di cui vi parlerò un'altra volta.
Un'ultima cosa, anche io ovviamente iniziai a cercare di capire sino a quanto potessi spingermi in là con una eventuale narrazione che potesse essere "non adatta". Semplicemente concordai con loro: "Nessun personaggio guidato da voi morirà." "Nessun animale sarà ucciso o maltrattato." Questo mi fece venire in mente l'idea dei "Vincoli" (terminologia mutuata dal project management) e cioè cose che non si possono violare/modificare, che valgono tra i giocatori e che DEVONO avere una attualizzazione nella fiction. Se restano tra i giocatori sono 'regole di gioco', semplicemente. I Vincoli non necessariamente dovevano essere concordati, ma quando non lo erano, avevo l'obbligo di dire come dovevano essere approvati. Quindi dissi. Oltre queste cose che abbiamo deciso, ne metto una io e voi non potete opporvi: "Se anche ci fosse un tesoro in questa casa, il tesoro non potrà uscire da lì, senza qualcosa in cambio." Questo, capii dopo come formularlo, era un Vincolo imposto di autorità.
Spero che questo inizio di 'actual play' (lo è?) possa iniziare a farvi incuriosire.
Rob
Edit: Variazioni minori, piccole correzioni, formatting, ove ritenuto opportuno.
Jah Messenger:
Fan Mail ;)
rgrassi:
Grazie Filippo.
Ora non so se continuare a buttare dentro robe/esperienze/cose imparate o aspettare e rispondere a singole domande.
Il rischio è che poi la discussione esploda in mille rivoli ed io non abbia il tempo di seguirli tutti come si dovrebbe.
Rob
Dairon:
--- Citazione da: rgrassi - 2012-07-26 19:45:51 ---
Colgo la "provocazione" (in senso buono) di Ezio ed il suggerimento di Mattia.
E vi racconto alcune esperienze di gioco con i bambini e cosa ho imparato (molto). [...]
--- Termina citazione ---
Domanda, se ti ricordi:
ricordo vagamente che io 'controllavo' la casa (intendendo che io avevo il controllo sugli elementi scenici) ed i giocatori avevano il controllo dei personaggi.
Ci dovrebbe essere stato almeno un "PNG" (lo spettro della bambina): era sotto il tuo controllo?
EDIT: No, ragazzi, le immagini di cani e gatti invece di un discorso completo no. Ezio
Jah Messenger:
Secondo me è meglio uno schema abbastanza lineare...mi spiego meglio :) potresti attendere delle domanda su questo evento e su come ha influito con la creazione di Levity e poi passare ad un altra giocata significativa per il gioco e le sue regole ;)
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