Io non ho avuto affatto una brutta esperienza di gioco classico, complessivamente. La campagna di dieci anni di D&D mi ha accompagnato dall'inizio delle superiori all'età da laureato, e tutt'ora quando la si rievoca è sincera piacevolezza quella che provo. Anzi, ne sono anche usciti fuori di quei momenti intensi, di quella possibilità di sviscerare il personaggio a cui ora tengo così tanto.
Certo, era legata al fatto che giocavo con quelle cinque-sei persone; di queste ce ne sarà rimasta una che gioca regolarmente. E l'abitudine a quelle persone aveva portato ad uno standard tale che i miei tentativi di provare altro come GM mi lasciavano con lo sconforto, e provare altro come giocatore mi lasciava alla fine tiepido.
Quindi in fondo il potere ottenere quello che volevo era troppo legato ad un elemento, la combinazione di tot persone, che è estremamente fragile. Oltre che condizionante, alla fine. E a vedere altri dieci anni di gioco dopo quella campagna, avremmo retto?
Adesso seguo giochi (e una cultura di gioco sottostante) che:
- mi fanno interessare alle loro meccaniche oltre che al setting;
- mi consentono di parlare di gioco con una base scientifica, insomma con dei modi per analizzare, per risolvere e migliorare (cosa che non manca ad alcun mezzo espressivo) senza lasciare tutto all'alchimia di gruppo, al fattore umano o a idee esoteriche;
- mi hanno ribaltato svariate tradizioni, abitudini e dicotomie che ora vedo come falsi problemi: il metagioco, la divisione tra fisica e anima, azione contro interpretazione, il bisogno di tanto tempo per affezionarsi ad un personaggio - insomma, sono ad una visione che trovo più ampia di prima;
- mi permettono compagni di gioco diversi e da posti diversi;
- mi permettono di giocare una storia diversa e compiuta in poco tempo;
- mi danno occasione di fare carpe diem di ogni occasione di gioco;
- mi mettono in chiaro il fatto che chi gioca è lì per giocare, e per giocare alla stessa cosa;
- mi mettono in contatto (e aiutano l'amicizia) con appassionati entusiasti, vulcanici e che vedo condividere la mia necessità di non rimanere in un recinto di 'generi nerd';
- mi mettono voglia di tenere il ruolo di GM senza avere 24h di paranoie dopo ogni sessione;
- mi stupiscono spesso e volentieri;
- mi chiariscono con fermezza che gioco per esprimermi, non per svanire in un'altra entità;
- mi costringono alla consapevolezza;
- mi consentono di giocare millemila tipi di storie, tematiche, personaggi;
- mi consentono, quando e solo quando lo voglio, di giocare con la pretesa di esplorarmi e condividere qualcosa di potenzialmente rischioso;
- mi danno la capacità di sfruttare (non sempre al massimo, si impara!) il gioco di ruolo come mezzo espressivo a piena potenza;
- mi fanno sentire di giocare in modo maturo. Anche quando muovo un pucciosissimo Pellegrino.
Tutto assieme.
Concatenate nel mio cervello, queste motivazioni fanno la differenza e sono un considerevole punto di non ritorno. La puntata di tradizionale per riunione nostalgica di amici non la rifiuto affatto, ma ho chiaro in cosa rimane circoscritta.
Ho troppe cose da voler giocare, una lista che continua ad allargarsi, da non volere fare una selezione.
E dato che selezioni nella vita - e in una passione - vanno sempre fatte, che non abbiamo il tempo per provare tutto (anche se lo vorrei, Meg mi è testimone), ho abbastanza criteri per fare una scelta netta.
Ci sono tre giochi di stampo classico che mi esercitano parecchio fascino: Ars Magica, Nobilis, Unknown Armies. Eviterei di driftarli direttamente, a quel punto meglio usare un altro gioco moderno prendendo quelle premesse da una prospettiva laterale.
Ma a trovarle, le condizioni migliori con cui giocarli così come sono.