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Come sono uscito dal tunnel del game design

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Matteo Suppo:
Sono sempre stato un po' sospettoso nei confronti dei game designer e a tutt'oggi quasi nessuno ha la mia fiducia incondizionata (praticamente solo ron e vin u.u).


Anche degli scrittori mi fido poco, con le dovute eccezioni. Probabilmente è per via della sproporzione tra "persone che vogliono scrivere un libro e persone che vogliono aver scritto un libro", ovvero in soldoni la ricerca di status e riconoscimento.


In ogni caso a volte non ci si può fare proprio niente, hai delle idee e vengono fuori dei giochi.


Persino io, che non mi definisco game designer, ho dato vita ad alcune cose, principalmente in collaborazione con -Spiegel-


Ad oggi queste cose sono:
  - uno scenario per il Solar System per omaggiare l'ambientazione di Werewolf: the Forsaken, che è in via di abbandono, anche se mi dico che prima o poi ci darò una sistemata.
  - un gioco pensato per essere giocato su un forum, Indie Clash, che però richiede (imho) di almeno 5/10 persone per carburare e in più probabilmente l'ambientazione è debole.
  - un gioco pensato per essere giocato in un sito internet apposito, Urbania, che potrebbe sfociare anche nel Alternate Reality Game a pensarci bene.
  - un sistema di creazione di personaggi/ambientazione per il gioco Fantasy Sega, e un inizio di meccanica di gioco che però non convince nessuno (neanche me).
  - svariate idee senza capo nè coda a cui non mi sto davvero applicando.


Qualche tempo fa c'era stato un concorso di design su gcg. Non ho partecipato, ma le parole del tema mi avevano comunque fatto scattare qualcosa, ed ero arrivato a produrre un gioco incentrato sul tema dei ricordi. In sostanza era un uomo su un treno in un viaggio senza ritorno che riviveva la sua vita passata.


Ci ho pensato su parecchio, e sono arrivato anche a un punto che mi sembrava degno addirittura di un playtest. Ma c'eran cose che non mi quadravano e inoltre leggevo di Un Penny per i miei pensieri e ci vedevo molte somiglianze a livello di tematiche e meccaniche.


Così ho giocato a Un penny per i miei pensieri, con Giulia e Trevor. Abbiamo anche parlato di cosa sta sotto al cofano del gioco, e adesso devo giocarlo un altro paio di volte per rispondere ad alcune domande che ho sul suo funzionamento.


Il fatto è che Penny esplora gli stessi temi del mio protogioco, ed anche in una maniera molto simile ed evocativa. Le cose che avrebbero dovuto essere centrali nel mio gioco sarebbero dovute essere il simbolismo e la gestualità, e Penny ha entrambe.


Per cui ho deciso di lasciar sprofondare questo protogioco nell'oblio, perché a produrlo adesso non avrebbe niente di nuovo da dire. Sarebbe ridondante o anche meno efficace di Penny.


C'è una morale in questa storia? Certo! La morale è che il game design deve spingere in direzioni nuove, e i giochi devono rispondere a domande che altri non hanno già posto, o comunque esplorare tecniche più efficaci. Il design non deve reinventare la ruota ma piuttosto fermarsi a dire: ma perché è rotonda? E a farla vuota? E a farla sferica?


In fondo basta guardare i game designer americani. Ron ultimamente ha tirato fuori dal cilindro i suoi tre giochi sulla religione perché secondo lui è un tema trascurato nel gioco di ruolo. Vin sta portando avanti le sue considerazioni sulle unreliable currencies, in una serie di post che tra l'altro sono cristallini. Czege ha notato che il tema dell'italia non riceve amore e quindi cerca di spingerci in quella direzione.


Nessuno fa giochi perché vuole aver fatto giochi. Nessuno fa giochi che già esistono. Nessuno ci dice di fare giochi perché sì.


Scrivo perché percepisco nel forum, come sensazione emergente, una "fretta" di fare game design, una "fretta" di raggiungere l'america, una fretta di lasciarsi alle spalle il "gioco".


Scopo del thread: Principalmente rassicurarmi, darmi una pacca sulla testa dicendo "tranquillo". Ma è in topic anche qualsiasi "Non hai ragione" "Sbagli qui" "Ehy, il congiuntivo", "Non hai capito una sega".

Niccolò:
concordo, anche se secondo me nel game designa la raffinazione di un gioco già vincente è comunque un ottimo ottimo ottimo modo di procedere. o fare dei frankenstein ben congegnati.

almeno, fuori dai gdr ho esperienza di questo. l'originalità è bella ma non è l'unica cosa. c'è la sua rifinitezza, completezza, eleganza, ecc ecc

Mattia Bulgarelli:
[Eestiquatzi mode]
...e pensi che in un ambiente come quello del GdR, in cui quasi tutti i GM _SONO STATI_ designer per il loro gruppo, per far funzionare il loro Parpuzio personale (e, spesso, per renderlo MENO Parpuzio, nel senso di meno arbitrario e più godibile per tutti) sia STRANO che CHIUNQUE non si senta in grado di mettere insieme delle regole?
[/Eestiquatzi mode]

Io sto provando a mettere insieme un tot di pensieri, in questi giorni, per "la sfida di Czege" che hai nominato. Cosa ne verrà? Boh. Per ora mi approccio con umiltà, sapendo che se anche produrrò un disastro ferroviario o un cumulo di letame fumante invece di un bel gioco, PAZIENZA, avrò imparato qualcosa.

Almeno sono consapevole che sto provando, sperimentando, ecc. e non ho la pretesa di "essere figo" (anche perché, dai, "essere figo" per aver avuto una pacca sulla spalla nella cerchia dei 4 gatti che fanno GdR? Ma per piacere... XD ), né ho la pretesa di essere in grado di portare chissà quale innovazione o di creare un Gioco Innovativo Finedimondo.

Insomma: prendetelo come un tentativo "da dilettante" di pasticciare un po' con il medium. C'è gente che su DeviantART si esalta molto di più con molta meno consapevolezza del mezzo espressivo che sceglie, quale che sia. >_<

Ah, sì, le mie esperienze di design? Infinite house rule per vari sistemi, avanti-veloce di qualche anno, poi LMVcAngelica: consapevole della difficoltà di scrivere un gioco, sono (ri)partito con un color hack. Botta di culo o sono figo io, non si sa, ma funziona. Yay me, voglia di fare un passo in più, vediamo se inciampo o sto in piedi.

Rafu:
(In risposta/di seguito al post di Nik)

Il criterio giusto (per le attività "artistiche" in generale) non è "l'originalità", ma la "necessità". Quello che sto creando è necessario? Una necessità mia, di altri, o dell'"arte" stessa. Necessario di per sé e non per un fine ulteriore? Occhio che (come ci insegna p.es. Baker) la "necessità" in questione può anche essere strettamente locale: qualcosa che non ha importanza per il vasto mondo, ma ha un grandissimo valore per una precisa, specifica comunità.

Niccolò:
l'utilità, forse? ci sono un sacco di cose belle e che vorrei che non sento necessarie...

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