[cite] Moreno Roncucci:[/cite]Mmm.... allora mettiamo nel "fantasy" anche la Bibbia?
Certo, nessuno ha mai visto un angelo scendere ad annunciare una gravidanza. Che è diverso da dire "sono convinto che possa accadere".
Dante quando parls di Dio non lo ritiene una sua invenzione, come un Conan, un Gandalf o Batman.
Ma è sua invenzione la struttura dell'aldilà, pure se parzialmente mutuata da scritti e teorie a lui antecedenti.
Ma prendiamo il singolo pezzo della divina commedia dove Dio non c'è. La selva oscura. Proprio all'inizio.
A metà della vita. Perso. Senza riuscire a dare piu' un senso alle cose, con la donna che ami che è morta, la sconfitta politica e l'esilio.
Non dimenticare che Dante, al contrario di te (mi sembra di aver capito), era credente. Per lui l'inferno era reale (ma mai visto, v. su la pioggia di pietre[EDIT: intendevo l'angelo, la pioggia era un altro esempio che mi era passato per la mente]).
Immagino che, se la perdita in vita di una persona cara provochi sofferenze tanto elevate, passare l'eternità soffrendo di una pena che faccia da eco e amplificatore (e quindi per sua natura più potente) ai peccati che hai commesso in vita, sia pure peggio.
Oppure, un giorno ti perdi in una foresta.
Penso non ci siano dubbi su quale delle due cose sia più terribile, vero? Però nell'opera una sta "al posto" dell'altra, per renderla più digeribile, accettabile.
La foresta non è un simbolo, ma un'allegoria. [EDIT: del resto, perdersi in una foresta non è un evento soprannaturale

]
Dopotutto, è una commedia.
Dopotutto, c'è anche il paradiso.
Immagino che la beatitudine eterna non serva a sdrammatizzare il piacere terreno.
[cite] JTColeman:[/cite]O Kafka nel '900
Oh, sì, Kafka è un esempio PERFETTO!
Credi VERAMENTE che la Metaforfosi parli della paura (che abbiamo tutti noi, no?) di trasformarsi in uno scarafaggio?
No, appunto. Altrimenti sarebbe una paura abbastanza comprensibile e giustificata.
E la famiglia, e le sue strane reazioni... tutto per aumentare il dramma?
Kafka viene studiato (purtroppo) come un autore tragico e serioso (fraintendendolo). Però i racconti dei contemporanei ce lo dipingono ridere fino alle lacrime mentre legge ad alta voce le sue opere ai suoi amici al caffè.
Ridere del tragico. Ridere (ma è un riso amaro e terribile) delle nostre paure più profonde, di essere rifiutati da chi ci sta intorno. Puoi farlo solo tramite un distacco. Un distacco ottenuto, nel caso di Kafka, da espedienti come l'uso della trasformazione in uno scarafaggio.
Avresti perfettamente ragione, se, nuovamente, la metamorfosi fosse un simbolo. Ma non lo è.
E' un concentrato. Che cosa rappresenta? La paura di essere rifiutati? La condizione ebraica? La malattia mortale? Il castigo edipico? (cito a mente da una lezione di Francesco Orlando).
Nessuna di queste e tutte questo insieme.
Sempre citando l'Orlando, nel racconto si trovano, nell'ordine, le seguenti classi logiche (prendo solo quelle attinenti al discorso): [...] incomunicabilità unilaterale, emarginazione, degradazione [...], rassegnazione, eliminazione.
Non ci si chiede se sia giusto o meno ridere dello scarafaggione. Fallo pure. Il punto è un altro: Kafka ha utilizzato l'insettone per rimandare a determinate categorie logiche (che probabilmente nemmeno lui comprendeva a pieno, ma, essendo a quanto pare un geniaccio, riusciva a sentirle). Perché non si è messo ad elencarle una per una, scrivendo magari una pagina per categoria? Magari in stile comico. Avrebbe retto? Oppure, se si fosse messo a scrivere un raccontino in cui ironizzava sulla condizione di emarginazione dell'individuo (una a caso), sarebbe venuto fuori un raccontino tragicomico dal sottofondo amaro, ma nulla di più?
Invece ha chiamato in causa l'insettone. Ridici quanto vuoi, ma quando finisci quelle 60 pagine stai male. E non perché non sei accettato dagli altri. O perché tu sia ebreo; o tu faccia schifo. Non solo: anche.
Sul serio, a leggere queste obiezioni mi viene un dubbio: ma riflettete su QUELLO CHE VOGLIONO DIRE VERAMENTE le opere che leggete? :shock:
Ci si prova
[cite] JTColeman:[/cite]Ma immagino ti riferissi al fantasy in stile tolkeniano
Non particolarmente. Nella sua ricerca di una nuova mitologia Tolkien è un esempio molto meno clamoroso di questo fatto sia rispetto a Dante che a Kafka (Kafka poi avrebbe dovuto essere il mio primo esempio, tanto è plateale e lampante).
E la massa di fantasy da un soldo la dozzina che è nata a sua imitazione è tanto vuota da non "distaccarci" proprio da niente. Non c'è nulla dietro.
Pienamente d'accordo con la seconda parte.
