Autore Topic: Vecchia roba da riciclare...  (Letto 2127 volte)

Moreno Roncucci

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Vecchia roba da riciclare...
« il: 2008-11-22 08:41:49 »
Prima di scrivere quel trattato per Fenna, avevo provato a cercare fra le vecchie cose che avevo scritto per vedee se c'era qualcosa di già pronto. Non ho trovato niente di adatto, ma ho capito perchè: perchè con chi fa domande come quelle trovo inutile persino discutere e evito di perdere tempo...   :roll:

Però, ho trovato qualche articolo che avevo postato un paio di anni fa nella mailing list del flying circus che potrebbe valer la pena di salvare dall'oblio, e li posto qui...

Il primo, è una spiegazione che ho scritto nel 2006 riguardo alle differenze fra il Big Model  il Three-way model e il three-fold model (entrambi superati, ma ancora molto diffusi, specie il secondo, in queste lande desolate in cui la cultura del gdr langue)

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Date: Thu, 02 Nov 2006 05:25:36 +0100
To: flyingcircus@xxxxxxxxxxx
From: Moreno Roncucci Subject: Re: [amber] Il "Three Way Model" (drammatista, gamista, immersionista)

At 19.02 29/10/06 +0100, Andrea Castellani wrote:
Citazione
In attesa delle mie traduzioni, faccio un po' di chiarezza.   ^_^


OK, allora ci penso io a fare un po' di confusione...  8)

Avete presente le lotte terrificanti che accadono in ambito accademico fra teorie diverse e incompatibili? Beh, anche nel campo dei gdr è lo stesso.  Ci sono tante teorie diverse, che spesso ad aumentare la confusione utilizzano gli stessi termini dandogli significati diversi.  Il risultato e' una babele (e a volte guerre di religione) che non contribuisce molto alla discussione.

Ecco, io sono un aderente ad una teoria (il Big Model) diversa da quella del threefold...  8)

"E a noi cosa ce ne importa delle vostre teorie? Mettetevi d'accordo prima voi e poi venite a raccontarci una teoria sola" potreste dire (e senza avere tanto torto), ma, come è nella logica delle cose e nella natura umana, metteteci pure una croce sopra all'idea che si possa tutti quanti trovare un accordo su una teoria sola.  Non succedera' mai, cosi' come non e' mai successo in nessun campo di ricerca. Specie in uno come il gdr, in cui piu' che di "teoria" a volte si dovrebbe parlare di "filosofia dei gdr", visto che piu' che nell'oggetto "gdr" descritto, queste teorie si differenziano spesso nel tipo di sguardo, nel fatto di mettere in luce certe cose e non altre.

Ora, o ci si rifiuta totalmente di parlare di teoria (inaccettabile per me.  Ma your mileage may vary), o si impara a barcamenarsi fra teorie diverse, cercando di capire da che teoria parta una certa osservazione per capire quindi cosa intenda dire chi parla quando usa una certa parola a cui ogni teoria da' un significato diverso.

E quando parleremo di queste cose, io e Andrea, fatalmente useremo le parole in maniera diversa. Quindi, per capire meglio (e prevenire equivoci), è meglio parlare prima di tutto delle differenze fra il threefold ed il Big Model.

Fatto questo, mi piacerebbe capire meglio QUANTO e' stato cambiato del threefolfd per arrivare al Three Way Model, e quali modifiche in particolare sono state dettate dal fatto di parlare dei live.    Andrea mi perdonera', spero, se dico che non sono un grande fan del threefold.  La trovo carente sotto molti punti di vista, e nettamente inferiore (eh, sai che sorpresa...  :lol:  al Big Model (che è piu' recente di quasi un decennio), ma soprattutto l'ho sempre vista come una teoria veramente "filosofica" completamente priva di applicazioni pratiche, in cui per decidere se un giocatore e' dramatist o gamist si dovrebbe leggergli nella testa, tipo ricerca del sesso egli angeli. Dirò di piu': mi incazzo parecchio (da bravo talebano della religione di Ron Edwards) quando qualcuno fa una critica al Big Model che dimostra solo che chi la fa si sta confondendo con il threefold (e purtroppo capita molto spesso in rete, visto che i termini usati sono come dicevo molto simili e nessuno in rete si informa mai prima di parlare)

Pero' il Big Model e' una teoria chiusa e con un autore (il suo sviluppatore, Ron Edwards.  Anche se diversi contributi sono stati dati da altri autori tipo Vincent Baker e Paul Czege non è mai stato in dubbio che è solo Ron che decidere cosa dice esattamene il Big Model), un autore che non avendo praticamente nessuna esperienza di gdr live, non l'ha mai "estesa" a questi.  Non esiste una specifica applicazione del Big Model ai live. Quello che dico in questo e in altri messaggi e' una mia interpretazione di come concetti nati per il gdr tabletop si possano applicare in situazioni diverse (e' anche vero che il Big Model come teoria non è tanto ottusa da richiedere cose tipo dadi o tavoli.  Perche' un gdr sia tale il Big Model richiede solo la volonta' di giocare insieme "esplorando" una costruzione comune fatta soprattutto di parole. Se non e' richiesto obbligatoriamente il master ne' un personaggio ne' un mondo di gioco, dubito che il dover stare in piedi possa dargli molti problemi... :wink:   E pure il Big Model è nato (passando da teorie intermedie) correggendo e modificando il threefold, quindi non è detto che il Three Way Model conservi gli stessi difetti del threefold...

Ma basta premesse, vediamo le differenze.

il Threefolf nasce negli anni 90, in Usenet, nel newsgroup rec.games.frp.advocacy, come risposta teorica ad un osservazione estremamente lapalissiana, ma che per anni si era cercato (per motivi commerciali o per semplice volonta' di "rimanere uniti a giocare assieme") di minimizzare o negare:  che non tutti giocano ai gdr per gli stessi motivi, nella stessa maniera o puntando agli stessi risultati.

Dopo anni di polemiche sulla "maniera giusta di giocare" (condita da vari epiteti per chi non la seguiva), dalla "one true way" di Gigax agli "storytelling games" White Wolf), in quel newsgroup si cerco' finalmente di capire da quante "facce" fosse veramente composta questa cosa cosa chiamaya "rpg".  La scelta fu notevolmente influenza dalla precedente divisione dei "sistemi per decidere cosa accade" in Drama, Fortune e Karma descritta da Jonathan Tweet in "Everway".  (in pratica, ogni volta che il master decide "chi vince" o comunque se un azione riesce o no, si affida sempre a sistemi che sono una combinazione di tre approcci:  si affida alla sorte, con dadi o carte, si affida ai numeri, confromtandoli, o si affida alla sua opinione su cosa e' meglio per la storia).  Infatti, a vedere le tre "facce" proposte dal threefold, si vede che sono combinazioni, divisioni ed estensioni di questi tre sistemi "base" di risoluzione, e si basano comunque sempre sul singolo istante in cui si deve scegliere.

Devi scegliere fra piu' opzioni di gioco: scegli in base alla tua idea di cosa rende "migliore", piu' drammatica la storia? Dramatist.  In base al considerazioni tipiche dei giochi (l'equita', l'imparzialità, il bilanciamento delle sfide)? Gamist. In base al "realismo" della scena? Simulationist. (da questi tre termini il threefold prende l'altro suo nome, GDS)

Un rapido sguardo mostra subito alcuni problemi in questo approccio alla "divisione".  Prima di tutto, pare applicarsi solamente al master. Per quanto poi il concetto sia stato esteso anche agli altri giocatori, solo lui in pratica nel gioco ha una scelta "pura" fra questi approcci (come fa il giocatore a ragionare in termini di fair challenge? O cosa ne sa di cosa rendera' migliori le scene ancora ignote che il master proporra'?). Poi si applica momento per momento, e magari in un momento decido in un senso e il momento dopo in un altro senso.  In pratica tutti li usiamo tutti e tre.  E allora il threefolf parla di percentuali variabili, di giocatori che sono piu' una cosa ma anche un pochino un altra... insomma, partendo da una differenza inconciliabili si e' arrivati alla conclusione che siamo tutti uguali ma con percentuali diverse. Non e' tutto questo gran risultato...

E poi, chi legge nella mente del master per capire perche' sceglie? E ne siamo sempre coscienti del perche' scegliamo?

E soprattutto... che applicazione pratica ha una divisione simile, a livello di design di giochi o di pratica di gioco? Sinceramente, io non ne vedo nessuna.

In pratica, il threefold arriva a questa osservazione e poi si ferma. Trova un punto cieco, e la teoria non si e' piu' sviluppata oltre. E con la crisi del newsgroup rgfa che ha disperso il gruppo che l'aveva ideata, non ha piu' nemmeno una "casa".  Però intanto si era diffuso, aveva fatto presa su molti giocatori, e ancora oggi credo che la maggior parte di chi usa quei termini li usi nel senso del threefold (con grande scorno di chi li ha utilizzati in teorie diverse in senso diverso)

Viste le critiche precedenti e il vicolo cieco in cui ci si trovava, sono state proposte nel tempo un sacco di varianti del threefold. Troppe per elencarle tutte. Una di quelle che piu' diverge dal threefold era chiamata GNS (da "gamist, narrativist, simulationist", le nuove tre categorie usate), divisione proposta inizialmente da un professore universitario di Biologia (con vent'anni di esperienza con decine di gdr diversi) chiamato Ron Edwards sul forum di The Gaming Outpost in un provocatorio articolo chiamato "Sistem Does Matter" che denunciava come totali falsita' un sacco di dogmi diffusi all'epoca (a anche adesso) tipo appunto che "il sistema non conta".

L'articolo provoco' ampie polemiche (anche grazie alla personalita' molto belligerante di Edwards, un tipo che non te le manda certo a dire... 8), ma la discussione cementò un gruppo di autori ed appassionati interessati (la nascita secondo i detrattori di quello che chiamano "The Cult of Ron", che non so quanto esista veramente, ma se esiste ne sono un adepto. Quell'uomo ha una profondita' di analisi critica sui gdr e sui loro meccanismi stupefacente. Ho letto sue recensoni di giochi che me ne hanno svelato numerosi aspetti che non avevo mai notato, fino a farmeli vedere in maniera totalmente diversa: solo che io li avevo gia' giocati per anni, e lui solo 2-3 volte per la recensione...) che lo seguirono quando fondo', nel 2001, il sito (e l'omonimo forum) The Forge, dedicato al sostegno e discussione dei gdr autoprodotti (self-published) in qualunque forma (dal cartaceo al pdf)

Su The forge e sui suoi forum di discussione il GNS si sviluppo', diventando semplicemente il nucleo di una sorta di "teoria unificata" del gdr chiamata The Big Model  (se volete vedere "che faccia ha" il Big Model , qui c'e' uno schemino:  http://indie-rpgs.com/_articles/bigmodelpic.pdf e qui c'è il glossario dei termini usati: http://www.indie-rpgs.com/_articles/glossary.html )

Gia' l'esistenza del Big Model fa vedere come il GNS non si sia rivelato un vicolo cieco come il GDS, ma quali sono le differenze? Solo il cambio di uno dei tre termini?  Col cavolo!  Le differenze sono tali che anche i termini rimasti sono totalmente "rimappati" (tanto che un giocatore 100% dramatist il 100% del tempo secondo il GDS, nel GNS potrebbe benissimo essere un esempio di gioco Simulationist...)

La differenza fondamentale e' che non si parla proprio piu' di "motivo per prendere una decisione". La divisione fra Karma, Drama e Fortune esiste ancora ma e' in tutt'un'altra parte del Big Model (l'ephemera, comune a tutte le creative agenda). Non e' richiesto ne' voluto l'andare a leggere nella testa del giocatore. Il gdr è un attivita' SOCIALE, e quindi queste differenze sono ricercate negli aspetti SOCIALI del gioco. Sono quindi differenze visibili, evidenti, e con aspetti materiali molto concreti nel gioco. Tanto da poter essere accentuati con un design dei giochi opportuno (dove invece il threefold era sempre stato presentato come diverse "maniere di giocare" assolutamente indipendenti dal sistema usato, sempre e comunque "neutrale").  

La bonta' di questo "modello" quindi a sua volta e' stata dimostrata, in termini molto concreti, dal fatto che utilizzandolo si sono creati giochi estremamente innovativi che hanno rivoluzionato il concetto stesso di "gdr" (Dogs in the Vineyard, Universalis, My life with master, Primetime Adventures, etc.)

Ma torniamo alla divisione fra "gamist, narrativist, simulationist". Queste tre (e solo queste tre) nel Big Model sono le "Creative Agenda" (purtroppo la terminologia antiintuitiva e' uno dei punti deboli del Big Model: il termine qui e' un po' un legacy da definizioni precedenti), cioe' in soldoni la "direzione" in cui applichiamo la nostra "creativita'" nel gioco. Ma a descriverla partendo da questa strada ci metterei un casino, quindi prendiamo la scorciatoia e partiamo dalla fine.

Immaginate un gdr. Qualunque gdr. E voi che lo giocate. Una intera "singola unita' di gioco", cioe' quella che si potrebbe chiamare "storia", "campagna", "avventura one-shot", insomma, un tempo di gioco abbastanza lungo da chiudere un cerchio e poter dire "la campagna/storia/avventura e' finita" e poter cambiare prsonaggi, situazione, magari anche gioco, etc.  (per esempio, in D&D, si parla del tempo fra la creazione dei personaggi e il giorno in cui, arrivati al ventesimo livello, viengono "pensionati" e si ricomincia da zero. Un tempo molto piu' lungo del "singolo momento" del GDS).

Perche' l'avete giocato? Perche' avete impiegato quel tempo della vostra vita per fare questa cosa? Certo, potete rispondere semplicemente "per divertimento". Ma ci sono tante maniere di divertirsi, anche da soli. Cosa vi ha spinto ad unirvi a quel gruppo e a passare tutto quel tempo per ottenere... cosa? E in che maniera?

Tutti amiamo essere apprezzati, lodati, ammirati. E quando siamo in un gruppo, tutti tendiamo piu' o meno consciamente ad assumere atteggiamenti che ci portino ad essere apprezzati, lodati, ammirati dagli altri componenti del gruppo.  A parte casi di totale asocialita' di gente che gioca solo per dare fastidio agli altri o se ne frega di chiunque che non sia se' stesso (munchkin, primedonne, o altre deleterie patologie da giocatori) che vanno semplicemente allontanati dal gruppo (c'e' da chiedrsi cosa ci fanno li' in primo luogo), i giocatori in un gruppo cercheranno(consciamente o inconsciamente) di CAPIRE ( e nel contempo, tutti insieme, stabilire) che cosa nel contesto del gioco gli dara' apprezzamento, lodi e ammirazione.

Notare che si parla di approvazione e lodi espresse in gioco, esplicitamente. Di gente che ti dice "bravo!", che ricorda le tue giocate per anni e le racconta quando ci si ritrova. Non si parla ne' di cose taciute e non espresse (quelle solo pensate) ne' di lodi e ammirazioni per cose estranee alle azioni di gioco (insomma, "ma sai Luisa che hai un bel paio di gambe" non conta...)

Ora, nel 90% del tempo, il gdr e' gdr e basta. Non c'e' tanta differenza, per la maggior parte del tempo, fra chi gioca narrativo o simulativo. Si vedono molto di piu' altre differenze piu' specifiche del sistema o dell'ambientazione, o dello stile di gioco. E sempre, in un gdr, ci saranno tutti questi aspetti.

Ci saranno momenti in cui si vedra' l'abilita' del giocatore e l'impegno che ci mette nel gioco, anche in situazioni di rischio reale di sconfitta. E questi momenti di solito vengono lodati da tutti i gruppi (andando dalla fila di 20 naturali che quella volta "ti ha salvato il culo" fino al racconto di come risolvesti quel tal giallo fino al ricordare magari come hai argomentato e recitato benissimo una certa scena tanto da convincere il master che avevi sconfitto veramente Corwin). Cosi' come saranno lodati altri momenti in cui ti sei comportato esattamente come i protagonisti dei racconti a cui è ispirato il gioco.  O altri ancora in cui hai detto, con il tuo personaggio e il tuo gioco, una cosa che sentivi veramente e che volevi esprimere, e che il gruppo ha apprezzato.

Sono cose che ci sono in tutti i gdr. La differenza non la fa il fatto che ci siano o non ci siano. La differenza non la fa il fatto che siano lodate e ammirate. Di solito, sono lodate ed ammirate tutte. Nel 90% dei casi.

Ma poi ogni tanto capita. Il caso in cui queste cose cozzano fra di loro.  Vedi una strategia con cui potresti sconfiggere il grande Shib-nizzurat.  Ma il tuo personaggio e' un povero contadino ignorante, come potrebbe mettere in atto unasimile strategia? E poi il gioco consiste nell'interpretare la lenta discesa nella follia causata da Shib-nizzurat e i suoi Piccoli Antichi, mica nel farli a pezzi con una perfetta tattica militare...

Che fai?

E soprattutto, COME REAGIRA' IL GRUPPO DI GIOCO? Cioe', l'ambiente, l'atmosfera di gioco, l'obiettivo comune, verranno rinforzati dalla tua azione, o danneggiati? Farai una giocata memorabile o "rovinerai la partita" agli altri?

Distruggi Shib-nizzurat e ti fai un portamatite con il suo cranio.  Che succede? Gli altri giocatori ti guardano ammirati, sussurrano "ficooo", e racconteranno per anni le tue gesta? O ti guarderanno con malcelato disprezzo perche' distruggendolo gli hai rovinato la partita, e "non hai capito come si gioca"?

Preferisci preservare la "simulazione" del genere letterario, interpretando la discesa nella follia? E che fanno gli altri? Ti guardano ammirati per come giochi bene, o ti guardano tutti sussurrando "ma che fesso, non ha visto se clippava un RS43 con 4 dadi di bubba gli faceva 75d20 di danno? Ma come si fa a giocare con un bischero simile?"

Non si parla di cosa pensi nella tua testa, si parla di PRIORITA' piu' o meno chiare (se sono chiare di solito e' molto meglio), definite dal gruppo di gioco, rinforzabili dal sistema (per esempio, se ti danno xp per ogni uccisione e' chiaro cosa viene premiato dal sistema...), che agendo nei punti "di scelta" piu' importanti cambiano completamente il tipo di gioco complessivo, osservabili, e valutate NELL'ARCO DELL'INTERA UNITA' DI GIOCO.

E soprattutto, CAMBIABILI fra un unita' di gioco e l'altra. Non siamo robottini. Non siamo noi "simulativi" o "gamisti". Sono i giochi, le partite, le unita' di gioco che lo sono. Cambiendo sistema, o cambiando gruppo, o semplicemente decidendo di provare un altra maniera di giocare, si può benissimo usare una creative agenda diversa. Basta che sia chiara dall'inizio.

Ora, appare chiaro come mai certe cose anche molto "valutate" dai giocatori non siano "creative agenda". Tipo l'immersione nel personaggio (che non contrasta con nient'altro, si puo' sempre spingere fino a quanto vuoi senza problemi), il piacere dello stare insieme (idem), etc: sono tutte cose che non comportano di scegliere fra esse e altri aspetti che a volte diventano incompatibili.

Il Big Model identifica tre "creative agenda":

-Gamism ("step on up"):  il gruppo rispetta soprattutto due cose: l'impegno, l'utilizzare al massimo le capacità del GIOCATORE (indipendentemente dal personaggio) per ottenere i suoi scopi (del giocatore, che possono non coincidere con quelli del personaggio o col "vincere"), e la capacità di accettare un reale rischio di sconfitta (il tipico insulto usato dai gamisti per chi non riesce ad accettare questo rischio e' "munchkin", e viene usato molto spesso verso chi gioca giochi narrativi in cui i poteri del master sono piu' distribuiti e non c'è alcun rischio di sconfitta).

- Narrativism ("Story Now"): il gruppo rispetta e predilige l'affrontare quella che Edwards chiama una "premise". Si tratta quindi non in generale di una "storia" (cosa che confonde un sacco di gente che sostiene che non tutte le storie hanno una premise. Può darsi, su questo non mi pronuncio, ma e' irrilevante: e' la premise che fa il gioco narrativo, non la storia) ma di una "domanda" (di soluto implicita) che viene posta al GIOCATORE.  Si tratta di una formulazione (molto debitrice al libro "The Art of Dramatic Writing" (1946) di Egri) di un concetto che si potrebbe grosso modo esprimere come "il gdr come mezzo di espressione personale", come maniera di "dire" (in forma narrativa, quindi anche con le azioni, non solo a parole, e utilizzando anche forme tipo la parodia o l'ironia) la visione che ha il GIOCATORE di certe cose. O,come direbbe Robin Laws, "il role-playing come arte".

Queste due prime CA sono le piu' simili fra di loro. Pare incredibile, ma si e' visto che spesso le tecniche che funzionano bene con una funzionano bene con l'altra (da qui la vera e propria "riscoperta del dado" di tanti recenti sistemi narrativi). Entrambe privilegiano l'imput del giocatore ed entrambe ti danno una motivazione molto chiara, a livello di giocatore, del perche' giochi.  E di cosa e' il gdr: per la prima e' gioco, sfida a se' stessi, capacita' di mettersi alla prova. Per la seconda e' arte o comunque espressione personale, creativa, capacita' di mettere in dubbio le proprie certezze e di sfidare i propri dubbi.

La terza è più problematica:

- Simulationism ("The Right to Dream"): per Edwards, e' il cercare nel gioco "la celebrazione di una fonte originaria", che può essere la realta' (giochi realistici), un sistema di gioco (i famosi "sistemi universali" alla GURPS) o una fonte letteraria (Lovecraft, Malory, Ann Rice, Tolkien, etc.). Una celebrazione attuata anche verificando continuamente la "resilienza" di questa fonte a contaminazioni ("l'Enterprise e' atterrata a Mordor!")

E' concettualmente la creativa agenda piu' ampia e varia (basta cambiare cosa celebri e cambia tutto il gioco), quella piu' esaltata dai gdr tradizionali (almeno negli articoli su "come si gioca"), quella che secondo la visione "tradizioale" di gdr dovrebbe essere quella "standard"... e allo stesso tempo e' quella piu' rara, praticata di meno, e piu' fragile (basta un solo giocatore che giochi gamista o narrativo per distruggere l'illusione di gioco).  Si basa su un obiettivo opposto a quello delle altre due: dimenticarsi del giocatore e annullarsi nel personaggio. Un obiettivo impossibile (a differenza di quello degli altre CA) ma basta avvicinarcisi, anche senza raggiungerlo, per essere contenti. Se le altre sono "gioco" e "arte", questa potrebbe essere "il gdr come sogno".

Queste sono le tre "creative agenda" perche' sono quelle che, in certe situazioni di gioco, cozzano fra di loro e decidere quale seguire segna decisamente e in profondita' il tipo di gioco, in maniera evidente. Non c'e' bisogno di chiedersi se il giocatore per tutto un arco di un unita' di gioco ha seguito un agenda o l'altra: di solito si vede chiaramente da quello che e' successo al tavolo da gioco.

E si vede anche che l'incompatibilita' delle tre CA non e' un dogma, ma una conseguenza logica ovvia: se la differenza fra un "gioco" (nel senso di attivita' comune praticata secondo un certo contratto sociale nel senso del Big Model fra un gruppo di persone seguendo un certo sistema di gioco con certe premesse iniziali) "narrativo" ed uno "simulativo" sta nel fatto che il gruppo ti spinge, con la sua approvazione e disapprovazione, a sceglierne in un senso o in un altro...  come potrebbe il gruppo spingere per "A, non B" e "B, non A" contemporaneamente e con la stessa intensita? Al msssimo in questi casi si puo' dire che NON "spinge" da nessuna parte (creando ambiguita' e problemi di gioco)

Alla fine, poi, vorrei ribadire che queste "creative agenda" sono comuni a tante, diverse "maniere di giocare". Non ci sono solo tre maniere di giocare, ma tutte le maniere di giocare appartengono ad una di queste tre categorie.

Ora, dopo questa estenuante disamina su Threefold e Big Model , vediamo il Three Way Model:

Il Three Way Model si basa sul Threefold Model formalizzato da John H. Kim, sviluppato per classificare i diversi stili di gioco nei GdR, ma è stato adattato ai live omettendo il discorso sulle meccaniche di gioco, che nei GdR sono fondamentali ma nei live, grazie al fatto che le azioni possono essere compiute anziché descritte e simulate, lo sono molto meno. Riporto qui sotto le definizioni degli stili del Three Way Model nella versione di Petter Boeckman.

Citazione
DRAMATIST is the style which values how well the in-game action creates a satisfying storyline. Different kinds of stories may be viewed as satisfying, depending on individual tastes, varying from fanciful pulp action to believable character drama. It is the end result of the story that is important.

GAMIST is the style which values solving a plot, or setting one up if you are an organiser. The challenges may be tactical combat, intellectual mysteries, politics, or anything else. The players will try to solve the problems they are presented with, and in turn the organisers will make these challenges fair and solvable to the players.

IMMERSIONIST is the style which values living the roles life, felling what the role would feel. Immersionists insist on resolving in-game events based solely on game-world considerations. Thus, a fully immersionist player will not fudge rules to save its role's neck or the plot, or even change details of background story irrelevant in the setting to suite the play. An immersionist organiser will try to make the plots and setting such that they are believable to the players.


Ora, chiedo ai fautori di questo modello presenti in mailing list: In cosa supererebbe i limiti del threefold?

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« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Moreno Roncucci »
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Moreno Roncucci

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« Risposta #1 il: 2008-11-22 08:58:54 »
Sarebbe troppo lungo riassumere le polemiche nate in mailing list , però un messaggio successivo è salvabile perchè in esso faccio una difesa appassionata del Gamismo, contro una rappresentazione abbastanza caricaturale che ne aveva fatto il buon vecchio Gareth Jax (a proposito.. ma gioca ancora? E' un pezzo che non lo vedo più alle convention...)

Questo post era successivo ad un primo scambio in cui gli avevo detto che anche "Amber" era gamista.

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Date: Thu, 02 Nov 2006 17:30:00 +0100
To: flyingcircus@xxxxxxxxxxxxxx
From: Moreno Roncucci Subject: Re: [amber] Re: Il "Three Way Model" (drammatista, gamista, immersionista)

At 11.28 02/11/06 +0100, Gareth Jax wrote:
Citazione
Infatti Amber è pervaso dalla componente infantile proprio come lo è, cito il più famoso, DND 3.


Probabilmente molto di piu', ad essere precisi. Ma solo se non dai ad "infantile" la connotazione negativa che stiamo usando in questa discussione e invece la usi la usi in maniera piu' appropriata e obiettiva.

Se invece era una reazione al mio chiamare "Amber" un gioco tipicamente gamista, basta che ti chiedi se in Amber è piu' importante simulare esattamente la società Amberita o essere bravi a giocare, a descrivere, ad argomentare, a ragionare, e avrai la tua risposta.

Un design in cui (1) da ambientazione, i personaggi sono tutti in competizione (immediata o in futuro) fra di loro,  in cui (2) il regolamento assegna a tutti quanti gli stessi "punti" iniziale per mettere tutti su un piano di parità, e in cui (3) a parita' di personaggio, "vince" gli scontri e i conflitti chi fra i GIOCATORI e' piu' abile a giocare, parlare, intrigare, convincere, è l'esempio perfetto, da manuale, di design gamista.  [e questo esempio fa anche giustizia della strampalata idea secondo cui un gioco gamista non può essere immersivo. Basta che gli obiettivi del giocatore coincidano con quelli del personaggio e un design gamista in realtà favorisce parecchio l'immersione. Come può attestare chiunque abbia giocato in maniera immersiva in un live del flying circus]

Se invece per te "gamista = tirare un sacco di dadi", non so che dirti. Leggiti il glossario: http://www.indie-rpgs.com/_articles/glossary.html  , informati, leggi, io una descrizione sommaria di cosa si intende per gamismo l'ho postata, se vuoi approfondire qui c'è proprio l'articolo del Big Model che definisce il gamismo: http://www.indie-rpgs.com/articles/21/ di cui trovo appropriato citare la parte quitata nell'indice:

"Gamism was originally identified in the RFGA Threefold Model of role-playing styles, and I think from its first mention, nearly everyone has said, "Oh, yeah, Gamism," with little debate about its qualities. Apparently, one just knows it upon sight. But do we really? References to Gamism tend to be dismissive, superficial, and often backhanded. With respect to the members of the RFGA discussion group, I think they categorized Gamist play mainly in order to sweep it out of the realm of further dialogue, in order to concentrate on issues that I would now primarily identify within Simulationist play. I also think that most, although not all, subsequent discussion has been similar. Yet that exceptional bit, here and there over several forums, indicates far less consensus out there than might have been expected or assumed."

E il pezzo relativo alla definizione vera e propria (che nell'articolo arriva dopo un tot di premesse e quindi comunque è meglio che te lo leggi tutto):

"A few paragraphs back, I promised a definition for Gamism and here it is. It operates at two levels: the real, social people and the imaginative, in-game situation.

The players, armed with their understanding of the game and their strategic acumen, have to Step On Up. Step On Up requires strategizing, guts, and performance from the real people in the real world. This is the inherent "meaning" or agenda of Gamist play (analogous to the Dream in Simulationist play).

Gamist play, socially speaking, demands performance with risk, conducted and perceived by the people at the table. What's actually at risk can vary - for this level, though, it must be a social, real-people thing, usually a minor amount of recognition or esteem. The commitment to, or willingness to accept this risk is the key - it's analogous to committing to the sincerity of The Dream for Simulationist play. This is the whole core of the essay, that such a commitment is fun and perfectly viable for role-playing, just as it's viable for nearly any other sphere of human activity.

The in-game characters, armed with their skills, priorities, and so on, have to face a Challenge, which is to say, a specific Situation in the imaginary game-world. Challenge is about the strategizing, guts, and performance of the characters in this imaginary game-world.

For the characters, it's a risky situation in the game-world; in addition to that all-important risk, it can be as fabulous, elaborate, and thematic as any other sort of role-playing. Challenge is merely plain old Situation - it only gets a new name because of the necessary attention it must receive in Gamist play. Strategizing in and among the Challenge is the material, or arena, for whatever brand of Step On Up is operating.

Gamist play and design is very diverse, partly due to the relative emphases of these two layers, as well as how they are best met in that particular game. At the crudest lens-setting, one can contrast those who emphasize Challenge and drop the Step On Up to a faint roar, as opposed to those who diminish the Challenge - it's always there, though - and focus on the Step On Up. "

[...]

_The game to the Gamist _
What does "game" mean, anyway? Wouldn't that be good to know before talking about Game-ist? As it turns out, not really, no more than "simulation" helps with discussing Simulationist play. The term "game" is good enough for our purposes (as a root for the "ist"), but not especially rigorous or interesting. So many different things get called games that it's hardly worth considering a blanket definition. To call all of role-playing a "game," the term must be so broadly defined that it excludes any agenda beyond socializing.

There's one specific aspect of the term that needs some scrutiny, though - its judgmental content. Phrases like "It's a game," or better, "It's just a game," or, "It's the game" illustrate that the term tells us nothing; the meaning lies in the inflection. The phrase might be saying that "it" is utterly trivial: "it's just a game." Or it might be saying that "it" demands our constant and committed attention: "that's the game."

So, I think more sensibly, it's good to look inside Gamism to see the game there - what is it? It's a recreational, social activity, in which one faces circumstances of risk - but neither life-threatening nor of any other great material consequence. All that's on the line is some esteem, probably fleeting, enough to enjoy risking and no more. Think of a poker game among friends with very minor stakes, or a neighborhood pickup basketball game. Taking away the small change or the score-counting would take away a lot of the fun, because they help to track or prompt the minor esteem ups-and-downs. This is Step On Up. It is "just a game," yes, but "it's the game," too.

With any luck, now that I'm claiming two things are being labeled rather than one, perhaps some of the debate about the label in question can settle down. At the Step On Up level, what's at stake? A bit of esteem, as stated above. But what about? Here's point #1: what's really at stake can be totally overt (the basketball score), or it can nonverbal or otherwise subtle (who sinks the best single hoop, regardless of which team wins). All that matters is that it must exist embedded in the real-life social interaction.

Think of the following:

- how performance is assessed, including a range of severity for joshing, praise, and criticism - the parameters of engagement - rules you do not break, in order to enjoy playing changes in the field of play, whether in space or time, making it impossible to stay with a single approach

[...]

_The competition boogeyman_
Competition is best understood as a productive add-on to Gamist play. Such play is fundamentally cooperative, but may include competition. That's not a contradiction: I'm using exactly the same logic as might be found at the poker and basketball games. You can't compete, socially, without an agreed-upon venue. If the cooperation's details are acceptable to everyone, then the competition within it can be quite fierce.

Role-playing texts never get this straight. For them, it's always either competition or cooperation, one-other, push-pull, and often nonsensical. The following is from Fantasy Earth, Basic Rules (1994, Zody Games, author is Michael S. Zody):

"... while board games and wargames have winners and losers, role-playing games do not. Rather than being competitive, role-playing games are cooperative. The players all work together and win and lose as a team"

I consider the above text to be inherently contradictory. Versions of it can be found in quite a few role-playing games, especially those with fantasy settings and a fairly high risk of character death.

So what is all this competition business about? It concerns conflict of interest. If person A's performance is only maximized by driving down another's performance, then competition is present. In Gamist play, this is not required - but it is very often part of the picture. Competition gives both Step On Up and Challenge a whole new feel - a bite.

How does conflict of interest relate to Step On Up and to Challenge? The crucial answer is that it may be present twice, independently, within the two-level structure.

Competition at the Step On Up level = conflict of interest regarding players' performance and impact on the game-world.
Competition at the Challenge level = conflict of interest among characters' priorities (survival, resource accumulation, whatever) in the game-world.
Think of each level having a little red dial, from 1 to 11 - and those dials can be twisted independently. Therefore, four extremes of dial-twisting may be compared.

High competition in Step On Up plus low competition in Challenge = entirely team-based play, party style against a shared Challenge, but with value placed on some other metric of winning among the real people, such as levelling-up faster, having the best stuff, having one's player-characters be killed less often, getting more Victory Points, or some such thing. Most Tunnels & Trolls play is like this.

Low competition in Step On Up plus high competition in Challenge = characters are constantly scheming on one another or perhaps openly trying to kill or outdo another but the players aren't especially competing, because consequences to the player are low per unit win/loss. Kobolds Ate My Baby and the related game, Ninja Burger, play this way.

High competition in both levels = moving toward the Hard Core (see below), including strong rules-manipulation, often observed in variants of Dungeons & Dragons as well in much LARP play. A risky way to play, but plenty of fun if you have a well-designed system like Rune.

Low competition in both levels = strong focus on Step On Up and Challenge but with little need for conflict-of-interest. Quite a bit of D&D based on story-heavy published scenarios plays this way. It shares some features with "characters face problem" Simulationist play, with the addition of a performance metric of some kind. Some T&T play Drifted this way as well, judging by many Sorcerer's Apprentice articles.
Things get more complex than this, because different roles for GM and players lead to combinations of the above categories within a single game. For instance, players can cooperate as a party and compete with the GM, for instance, given a rules-set that limits GM options (a combination of #1 and #2). This shouldn't be confused with cooperating with one another, cooperating with the GM, and competing against the GM's characters (#4).

_Reality check _
I might as well get this over with now: the phrase "Role-playing games are not about winning" is the most widespread example of synecdoche in the hobby. Potential Gamist responses, and I think appropriately, include: "Eat me,"
(upon winning) "I win," and
"C'mon, let's play without these morons."

I'm defining "winning" as positive assessment at the Step On Up level. It even applies when little or no competition is going on. It applies even when the win-condition is fleeting. Even if it's unstated. Even if it's no big deal. Without it, and if it's not the priority of play, then no Gamism.

Textually, so many games say "it's not about winning" and then immediately provide extremely clear win/loss parameters for play. Sometimes I think it's because people believe that players are inherently Gamist and have to be appeased in some way. This uneasy waffling or endless qualifying shows up most often in fantasy games whose authors would like play to be about something else, but just can't quite believe that players would agree.

From the introduction to RuneQuest, second edition (The Chaosium, 1978, 1979, 1980; specific author for this text unknown; game authors are Steve Perrin, Ray Turney, Steve Henderson, and Warren James):

"The title of the game, RuneQuest, describes its goal. The player creates one or more characters, known as adventurers, and playes them in various scenarios, designed by a Referee. The Adventurer has the use of combat, magic, and other skills, and treasure. The Referee has the use of assorted monsters, traps, and his own wicked imagination to keep the Adventurer from his goal within the rules of the game. A surviving Adventurer gains experience in fighting, magic, and other skills, as well as money to purchase further training. "

Now all that's pretty Gamist stuff of a late 1970s vintage, right? Get this, which follows immediately:

"The adventurer progresses in this way until he is so proficient that he comes to the attention of the High Priests, sages, and gods. At this point he has the option to join a Rune Cult. Joining such a cult gives him many advantages, not the least of which is aid from the god of the cult. "

Acquiring a Rune by joining such a cult is the goal of the game, for only in gathering a Rune may a character take the next step, up into the ranks of Hero, and perhaps Superhero.

All right, that bit about joining cults still seems kind of Gamist, right? About getting more effective and so on? Great ... except that the GM controls the High Priests and sages. Why would he, whose job was just stated to be to "keep the Adventurer from his goal," have them recognize the Adventurer in the first place? Either they do, and the GM must abandon the stated goal, or they don't, and that whole paragraph becomes gibberish.

Bear in mind as well that "Hero" and "Superhero" are never defined, and indeed never again mentioned anywhere in the rulebook. See what I mean about waffly and uncertain text? Such text is the default explanation for role-playing, with very few exceptions, until the publication of Vampire in 1991. Even since, though, it's still the standard for fantasy games. The following is from Legendary Lives, second edition (1993, Marquee Press, authors are Joe Williams and Kathleen Williams):

"The players are impromptu actors within the scenes created by the referee ... The fun comes from interacting with the other characters and with the imaginary world created by the refereee. For the duration of the game, try to immerse yourself in the role. [Sim so far - RE] ...
The first goal of a player is survival. Yes your character can die during an adventure, and a dead character is completely gone. If your character is smart enough, bright enough, or lucky enough, he or she will survive to reap the benefits of becoming older, wiser, and more powerful. " [Wowsies, eh? Then text follows which backpeddles rapidly and tries to explain why character death isn't losing. -RE]

As a contrast, some texts make no bones about this issue and indeed leap in with both feet, as in Kobolds Ate My Baby! third edition (2001, Ninth Level Games; authors are Christopher O'Neill and Daniel Landis):

"How to win!
... unlike your average role-playing game, KOBOLDS ATE MY BABY! Third Edition has winners (and losers). Truth be told, it mainly has losers! Anyway, the winner is the player who, at the end of the game, has the most Victory Points. Most games continue until a certain condition is met, generally when all the babies are gone ... "

Yee-ha! But that's a recent example. To get back to the dark and steaming roots of the first wave of role-playing innovation, check this out from The Basic Game chapter in Tunnels & Trolls, 5th edition (1979, Flying Buffalo Inc; author is Ken St. Andre, with possible edits or additions by Liz Danforth):

"Every time your character escapes from a tunnel alive, you may consider yourself a winner. The higher the level and the more wealth your character attains, the better you are doing in comparison to all the other players. "

From the Adventure Points chapter in the same text:

"As long as a character remains alive - regardless of how many adventures he or she participates in - you are "winning." If ill fate befalls the character, or if you overextend yourself in playing your character's capabilities, the character dies and it is your loss. Of course, these games allow you to play any number of characters (sometimes referred to as a "stable of characters") and some will survive and advance, and everyone wins in the end. "

This seems a bit softer, until one notices that although winning is qualified by quotes and extra text, loss significantly is not.

Further text in the Adventure Points chapter of the same game repeatedly provides big payoff for rash, risky, but tactically-imaginative action, if the character survives. One small part rewards role-playing, but:

"Any points awarded in this category should be given to those players who are doing an exceptionally good job only, thus making the game more of a challenge to all. "

In other words, "challenge" is the first priority and immersion (for lack of a better word), cooperation with the GM or his story-plans, or in-character consistent play, are to be conducted and evaluated in that context. They are, as well as anything else like character survival or achievement, to be competed about.

I love the T&T and Kobolds texts. They are refreshing, spunky, and even inspiring: "Step on up, buddy!" Open Gamism is completely accessible, completely functional, and extremely fun. You see, it all goes back to how the Step On Up social stuff is perfectly capable of enjoying the in-game Challenge, Situation stuff, and how they're not the same thing. In these games, the idea is to keep the Challenge whimsical enough that its occasionally-extreme consequences don't reflect proportionally on the player's emotional stakes of the moment.

T&T is not the be-all and end-all of Gamism, although it was probably the first utterly explicit Gamist role-playing text. Not all Gamist play is alike! It ranges across a great deal of structural, social, and imaginative diversity, which is why this essay still has a long way to go.

[...]

_Memetic power _
Nothing beats Gamism - once you have Step On Up in action, it takes over. The main reason is simple: Step On Up is a recognizable, common, coherent, and rewarding aspect of human behavior, which is why we see it all 'round the place. Role-playing is just another venue. So, basically, everyone gets it, and once present, Situation becomes Challenge, and the cognitive fascination with esteem relative to performance becomes the order of the day. It doesn't rely on any particular game mechanic to be present - consider that any metric for social esteem is a candidate for Step On Up, and that any element of in-game content is a candidate for Challenge. You're bound to find someone's own personal profile for these in the game-content somewhere!

It also takes over easily mechanically in many instances of game design, especially in Simulationist-facilitating games, in two ways. The first way is to perceive system-based opportunities for advantage: breakpoints in point-allocation design, stacking of options into unique effects, and similar. Such things are often offered as neat add-ons in otherwise-Simulationist designs, but they take over fast when character niche-protection switches into literal character-defense. The second way, unsurprisingly, is through reward systems: a traditional character-improvement system can switch to a fully-social Step On Up reward system any time anyone wants, especially since it's self-perpetuating.

[...]

_What I like about Gamism _
Gamist-inclined players tend to be unashamed regarding their preferences. Their role-playing is easily understood, diverse in application, unpretentious, and often perfectly happy with its role relative to the person's social life at large. The Gamists have a lot to teach the rest of the hobby about self-esteem.

Some folks seem to think that Gamist play lacks variety, to which I say, "nonsense." Scrabble is "always the same," and it's fun as hell; simple games do not mean simplistic, shallow, or easy. What matters is whether the strategy of the moment is fun. Well-designed, multiple-edged Step On Up activities with fully-developed competition are endlessly diverting and provide an excellent basis for friendship. Anyone who thinks that such things in role-playing necessarily cannot be fun and will necessarily destroy social interactions is badly mistaken - what's needed is better, more diverting, and more multiply-angled design. "


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OK, ho quotato troppa roba (e non ho quotato nemmeno il 10% dell'articolo), ma non volevo che mi rispondessi tirando fuori idee farlocche su cosa sia il gamismo.  (ho visto persino gente misurare il gamismo dal numero di dadi tirati o dalla lunghezza dei manuali. Ridicolo, siamo proprio all'Asilo della teoria dei gdr...)

Continuando sul tuo post:

Citazione
La necessità di creare regole per il gioco è un atteggiamento che parte da bambini e si sviluppa con il tempo.


Guarda, mi dispiace darti una notizia cosi' terribile, ma ogni singolo gioco che tu abbia mai giocato (e in questo comprendo ogni singola tua esperienza con i role-playing games) aveva delle regole.  Al massimo a volte non erano scritte. A volte cambiavano durante il gioco. Ma senza regole (implicite o esplicite) non sarebbe nemmeno possibile mettersi d'accordo su cosa succede in gioco. Chi mi dice che quando tu parli il mio personaggio ti sente? E se io dicessi che il fatto che tu mi dica "no'" implica il fatto che il tuo personaggio abbia detto "si'"? Come fai a confutarmelo? Mica ci sono regole al riguardo...  :-)

Questa non e' sta' gran novita'.  Non credo di aver mai visto nessun teorico dei gdr sostenere che i cosiddetti "ruleless" fossero totalmente senza regole. Sono solo i giocatori che a volte si confondono...

A proposito: il gioco ruleless senza FORTI regole implicite accettate e sostenue da tutti, tende sempre ad essere gamista. (E' ovvio. Senza meccaniche che facciano entrare in campo le differenze fra personaggio e giocatore, e' sempre il giocatore ad entrare in conflitto con le proprie capacità. Guarda praticamente tutti i murder party...). Per evitarlo bisogna che le cosiddette "regole implicite" siano tanto comuni e condivise da forzare specifici comportamenti da parte di tutti (in pratica, che tutti abbiano un idea estremamente precisa e condivisa di cosa si voglia "simulare" o di quale sia la Premise di base), cosa che ritengo impossibile senza parlarne esplicitamente prima.

In altre parole, per non diventare gamista, un gioco ruleless deve per forza avere un "regolamento verbale" se non "scritto". Quindi, in realta' non implicito.

E se pensi che i bambini giochino "senza regole", vuol dire che non ti ricordi bene...  :-)

(quando da bambini giocavamo a Cow boy e indiani con i fucili ad elastico, avevamo regole persino per lo "stop motion" quando qualcuno sparava. Entravamo in "bullet time"come a Matrix, molto prima che ci arrivasse il cinema.  E le regole per quando esattamente si poteva ripartire erano estremamente precise: non appena chi doveva ricaricare si metteva esattamente nella posizione precedente allo sparo, diceva una parola precisa con almeno un certo volume di voce, e DOPO ricaricava e il tempo partiva dall'istante in cui l'elastico toccava il chiodo. GURPS ci faceva un baffo... :-)

Citazione
E' un bene o un male ?
Dalla risposta un po' piccata che hai dato, sono ancora più sicuro di aver trovato il termine giusto
.

Cos'e', un esempio di "componente infantile"? "se non sei d'accordo con me vuol dire che ho ragione io"?  8)

Potrei, con maggior titolo, dire che la tua inabilita' a discutere utilizzando i termini condivisi ma inventandoti dei significati personali e' sintomo di infantilismo e di "muchkinismo da forum".

Servirebbe a qualcosa?

Citazione
La componente infantile è un elemento imprescinbile nel gioco e quindi anche nel gioco di ruolo.


Direi piu'nella "discussione" sui giochi di ruolo, come questo scambio ha ampiamente dimostrato.

Citazione
Le regole "infantili" (chiamale gamiste se ti fa stare meno male) esistono solo perchè manca la "fiducia" nelle persone o perchè bisogna mettere le persone sullo stesso piano.


Sciocchezze, Se "manca la fiducia" non ci sono regole che tengano. Chi mi impedirebbe di barare?

Le regole servono ad ottenere, in gioco, determinati effetti. E ci sono SEMPRE regole, quindi la scelta non e' mai se "usare le regole o no", ma QUALI REGOLE USARE.

Ti consiglio di leggerti qualcosa di Vincent Baker, probabilmente l'autore "narrativo" di punta per eccellenza al momento. Ha giocato in maniera "ruleless" per oltre dieci anni (e praticamente in continuazione: viveva in una comune di role-players...)  esplorando le possibilita' di quel metodo finche' non si e' sentito confinato dall'inabilita' di arrivare OLTRE un certo livello di DRAMMA in un ruleless, perche' in assenza di meccanismi che spingessero i giocatori a continuare a "accanirsi" fra di loro, in un ruleless ci si tirava indietro.  Non c'era una vera escalation.

Allora ha cominciato a "sperimentare" sull'uso di sistemi di gioco puramente narrativi, arrivando ad un design in cui rovesci sul tavolo letteralmente secchiate di dadi,  e non puoi fare nulla in gioco che non sia coperto dal "sistema". Arrivando in questa maniera a superare i limiti storici del gioco ruleless. Perche' il "sistema di gioco" spinge i giocatori ad andare contro il loro istinto di compassione, e a tirar fuori dai loro personaggi cose che pensavano nemmeno si potessero fare con i gdr.

Questa e' innovazione. Vedere i limiti e trovare la maniera di superarli.

"i dadi e le regole sono cattivi" invece sono sciocchezze, tipiche di chi di un escalation simile in gioco avrebbe molta paura, per quello che può rivelare di se' stesso, e quindi preferisce un blando gioco "narrativo per default" (il che significa, il 99% delle volte, giocare gamista tanto quanto quelli che si criticano se non di piu', ma congratulandosi l'un con l'altro per come si gioca bene rispetto a quelli che sono tanto infantili da usare regole...)

Citazione
Moreno, non ho dimenticato tutti i bytes scritti su it.hobby.giochi.gdr :wink:


Su IHGG si sono sempre dette un sacco di cazzate.  Alcune pure da parte mia, ma l'ambiente certo non aiutava...

Se ti riferisci alla mia vecchia affermazione che il ruleless PUO'  arrivare ad un maggior livello di "realismo" (nel senso dell'aderenza ad una realta' di gioco, modellata sulla realta' "reale" o una immaginaria) di GURPS e qualunque altro sistema che cerchi di similare questa realta' con tabelle e dadi, invece la confermo ancora visto che e' una cosa assolutamente ovvia.  Ma che c'entra?

Per te "l'aderenza al realismo" c'entra una sega con il gamismo o il narrativismo?

Non e' nemmeno una preoccupazione della gran parte dei design simulazionisti....

Non sarai mica ancora fermo all'idea che il gdr serve a "modellare una realta' alternativa", vero? Non siamo mica piu' nel 1986....
---
Ciao,
/\\/\\oreno
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Moreno Roncucci »
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Moreno Roncucci

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« Risposta #2 il: 2008-11-22 09:13:40 »
Il terzo "post salvato dal dimenticatoio" è un elenco di link, postati in seguito a richieste. Alcuni li ho già segnalati in questo forum, ma ce n'è qualcun altro nuovo...

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Date: Sat, 04 Nov 2006 14:55:18 +0100
To: flyingcircus@xxxxxxxxxxxxx
From: Moreno Roncucci Subject: Re: [amber] Bibliografia di teorie sul gdr

At 09.35 04/11/06 +0000, Paolo Albini wrote:
Citazione
Riguardo al modello che ha riportato Moreno, che poi e' quello che ultimamente va per la maggiore, penso che abbia dato lui stesso qualche link. Ma non temo di ripetermi:
http://www.indie-rpgs.com/articles
http://www.lumpley.com
http://random.average-bear.com/TheoryTopics/HomePage
Il primo link e' la raccolta di articoli di The Forge. Quelli piu' importanti a riguardo sono chiaramente quelli di Ron Edwards sul GNS, anche se sia l'autore che i suoi fan concordano nel dire che potrebbero essere scritti meglio (e a mio parere almeno su questo non si puo' che concordare con loro 8) ),


Confermo. Il problema credo sia la "deformazione professionale" di Edwards, che nel forum di The Forge quando parla della sua teoria e ne descrive aspetti e' chiarissimo,  brillante, tiene desta l'attenzionedel lettore, e a leggerlo ti chiedi come faccia certa gente ad equivocare cose cosi' ovvie. Poi ti leggi gli articoli e trovi le stesse cose descritte in maniera prolissa con un arido linguaggio pseudo-accademico che ti fa perdere il filo del discorso mentre leggi.

Credo siano certi meccanismi mentali che prendono i professori universitari di biologia quando sentono la parola "essay"...   :roll:

Il risultato è che, se vuoi capire il Big Model dalla diretta voce di Edwards, la maniera migliore è seguire regolarmente il forum di The Forge, e acquisirla a pezzi e spizzichi un post di Edwards dietro l'altro.  Pro: è una lettura più piacevole, ti impegna meno tempo tutto in una volta, e oltre alla sua teoria, sono post pieni di osservazioni molto interessanti sui gdr e vari aspetti di essi.  Contro: in totale ci vuole molto piu' tempo.

Per dare un idea metto qui sotto alcuni link. Sono solo per chi è veramente molto interessato e vuole approfondire l'argomento, per chi ne vuole solo un infarinatura per capire di cosa sto parlando daro' i link "giusti" molto più sotto. (quindi in questo caso non smettete di leggere, saltate semplicemente questo elenco di link e proseguite)

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Questo è un vecchissimo thread che mi piace molto perchè è una sorta di "raccontatemi come siete giunti qui" a cui partecipano oltre ad Edwards diversi altri designers e Christopher Kubasik  l'autore della famosa (in certi ambiti) serie di articoli "The Interactive toolkit" (http://www.rpg.net/oracle/essays/gamesatplay.html) per Inphobia. Non dice praticamente nulla sulla teoria, ma molto sul senso di The Forge e sull'atmosfera iniziale del forum: http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=1448.0

Qui c'è una descrizione degli articoli con alcuni commenti. Utile perche' Edwards non aggiorna gli articoli (per motivazioni "storiche") e quindi alcuni sono in certi punti out-of-date http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=12118.0

The "infamous five", una specie di mappa per seguire l'evoluzione della teoria link dopo link: http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=9782.0

Esempio di thread recente molto interessante: qusto è sulla creazione dei personaggi, in particolare da parte di novellini o gente che non gioca regolarmente: http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=21103.0

Se volete vedere nascere il "principio di lumpley" (rigorosamente con la minuscola) in diretta, leggete questo. Se non sapete cos'è il principio di lumpley, troverete comunque una bella discussione sulla presunta "autorita' del sistema" nei gdr, e su chi veramente ha questa autorità: http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?t=3701

Sul conflitto nei gdr, e contiene una osservazione di Edwards su Over the Edge che chiarisce bene la differenza fra il gioco narrativo e le "belle storie"...
http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=1423.0

Sulla fiducia fra giocatori:
http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=7447.0

Questa è una recentissima "discussione pubblica a due in due thread" fra Edwards e Levi Kornelsen (autore di diversi gdr fra cui Perfect20, moderatore di rpg.net e fino a quel momento molto scettico sul Big Model e il gns) in cui Edwards gli analizza il gioco e lo "converte". Consigliato soprattutto per chi non vede certi aspetti nelle proprie partite, perchè fa capire dove e come cercarli. Ed e' una buona introduzion ad alcuni concetti base del big model, per molti versi migliore degli articoli, anche se meno completa.
http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=20679.0 http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=21546.0

Un role-player tedesco sfida Edwards a ripetere l'analisi fatta con Levi, ma con lui e con il suo gruppo di RIFTS come "soggetti di studio".  Interessante anche come luogo di nascita di una ottima analogia, e prosegue alcune analisi precedenti: http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=21684.0

Recentissima discussione sulla differenza fra illusionismo e bangs, e sul ruolo del GM.
http://www.indie-rpgs.com/forum/index.php?topic=21694.0

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OK, finita la parentesi. Come dicevo non sono link da leggere per capire in fretta che roba è il Big Model, ma solo degli esempi per chi è interessato ad approfondire.   Proseguiamo a parlare di link riassuntivi

Citazione
e il Provisional Glossary, che allo stesso tempo e' un piccolo dizionario del gergo forgita e un succinto prontuario della teoria sviluppata su The Forge, piu' aggiornato degli articoli lunghi di Edwards.


Si', come dicevo, mentre la teoria è relativamente stabile da anni, la terminologia e' cambiata fra un articolo e l'altro, e Edwards non ha corretto gli articoli vecchi ma ha scritto le correzioni man mano nei nuovi.  Nessun problema se li leggete tutti in fila ma, se invece leggete solo i primi e basta, potreste poi non capire le discussioni recenti. Il Provisional Glossary contiene tutti i termini usati, nuovi e vecchi (indicando anche quelli che sono da sostituire perchè non più  usati), e quindi sarebbe da consultare sempre in questi casi.

Citazione
Il secondo link e' il blog di Vincent Baker, un altro dei "papa'" del Big Model (anche se l'autore principale rimane Ron Edwards). C'e' qualche idea nuova, e qualche spiegazione un po' piu' chiara di idee forgite vecchie.


MOLTO più chiara! Vincent Baker non è un innovatore alla Edwards (anche se la sua affermazione che "tutto quello che ha scritto l'aveva scritto prima Ron" è un po' troppo modesta. Prendere una tesi di lenta e difficile lettura e trovare una formulazione che la esprime più chiaramente in due righe non è solo "riscrivere", IMHO), ma come "divulgatore" (anche nei suoi giochi) è molto più bravo.

La sua chiarezza è aiutata anche dal fatto che è molto più "militante" di Edwards, e non è altrettanto "equidistante e comprensivo" e non si fa problemi a dire, papale papale, che certe maniere di giocare sono migliori di altre. (vedere anche l'avvertimento in cima al suo blog, "You are not safe here", e i relativi commenti) (nota dal 2008: purtroppo nei due anni successivi Baker si è molto "ammorbidito", è diventato "buono" e ha tolto il disclaimer dalla cime del suo blog. Peccato, a me piaceva molto... :?   ...però lo trovate ancora archiviato qui: A Public Service Announcement 8) )

Citazione
Alcuni di questi articoli, ma non tutti, sono raccolti al link "Rpg Theory: Hardcore" nella colonna a destra, quindi tocca sfogliarsi comunque il flusso principale, e rendersi cosi' conto del perche' i blog siano strumenti utili piu' al cazzeggio puro che ad altro.


C'e' anche un indice per argomenti molto utile se cerchi qualcosa di specifico. In particolare, ecco alcuni link:

Il blog (e' lo stesso link dato prima da Paolo): http://www.lumpley.com/

La sezione "RPG Theory: hardcore", che contiene non tanto il Big Model quanto alcune tesi "militanti" di Baker: http://www.lumpley.com/hardcore.html

L'indice per argomenti, utilissimo.
http://www.lumpley.com/toc.php?by=cats

Aggiungo poi un link ad un ALTRO blog di un game designer [Ben Lehman, autore di "Polaris"], che probabilmente (se me lo fossi ricordato prima) sarebbe dovuto essere il primo link perchè Lehman ha fatto vere e proprie conferenze sul Big Model in Finlandia, e da queste ha tratto una serie di articoli con lo scopo dichiarato di fare una specie di "forge theory for dummies", in cui il Big Model viene spiegato in termini molto chiari e comprensibili (Vincent Baker è ancora più chiaro e comprensibile ma non si è mai messo purtroppo a scrivere un riassunto della teoria) :
An introduction to Forge Theory
(da leggere come i blog, partendo dal basso)

L'ultimo qui sopra è il link in particolare che consiglio a chi vuole capirne qualcosa perdendo meno tempo possibile.
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Moreno Roncucci »
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Moreno Roncucci

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Vecchia roba da riciclare...
« Risposta #3 il: 2008-11-22 09:24:25 »
Ultimo post salvato dal dimenticatoio per oggi:

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Date: Mon, 25 Dec 2006 06:50:33 +0100
To: flyingcircus@xxxxxxxxxxxxx
From: Moreno Roncucci Subject: Re: [amber] Re: Live Flying Circus NON "gamisti" >

At 20.11 24/12/06 +0100, Andrea Castellani wrote:
Citazione
Citazione
Quanto alla convivenza di diversi stili, mi pare sia gia' stata consapevolmente tentata in almeno un paio di grossi live nordici: Europa, senza gamismo, e Dragonbane, probabilmente con qualche spinta gamista in piu'.


Però, almeno in "Europa" (non ho letto granché su "Dragonbane"), era convivenza di immersionismo e drammatismo, che mi pare meno difficile da realizzare (anche se devo ancora capire esattamente come farlo in maniera armonica). Un famoso live in cui c'erano, a quanto ho capito, alcuni personaggi dichiaratamente drammatisti e altri (la maggioranza) dichiaratamente immersionisti era "Hamlet" di Ericsson e Sandberg, il discussissimo mega-live in cui si è arrivati ai rapporti sessuali non simulati, grazie anche alla "regola del Fight Club" per cui i partecipanti non possono parlare del live con chi non vi ha partecipato; eppure, nonostante questo immersionismo estremo, c'erano personaggi (quelli originali della tragedia scespiriana) che avevano creative agendas ultra-drammatiste.


Ora, qui vediamo un effetto pratico della differenza fra il concetto di "goal" del Threefold (o three-way o GDS) e il concetto di Creative Agenda del GNS (Big Model)

Il "goal" è individuale. Per il threefold e' normale che ciascun giocatore abbia il suo.

La "Creative Agenda" invece c'e' o non c'e'. Se non c'e', il gioco e' incoerente. Se c'è, è unica. Se non è unica, non c'è.

Quando una cosa per _esistere_ richiede che sia _condivisa da tutti in totale accordo_, non ce ne possono essere due diverse. O una, o nessuna.

Ora, le CA in realta' sono tante quante sono i gruppi di gioco (che ne hanno una). Due gruppi diversi non intenderanno il loro "gamismo" nella stessa maniera (alcuni porranno l'accento sul rischio, altri sulla sfida, e su tipi di sfida, tc: per i dettagli, leggetevi l'articolo di Edwards sul gamismo).   Dire che una CA e' "gamista" dice solo il suo TIPO, la sua "direzione" se vogliamo.  E le tre "direzioni" sono state isolate come "direzioni incompatibili" perche' nel gdr tabletop una CA (definendo un set di obiettivi prioritari) dara' SEMPRE la priorita' ad UNA di queste direzioni (una priorita' non puo' essere condivisa fra due opzioni. Fra le due, quale scegli?). E' possibile che una CA abbia un obiettivo "secondario" (cioe', una vera e propria classifica di direzioni: A batte B e C, ma B poi batte C quando A non entra in gioco), che a volte puo' essere scambiato per una seconda CA, ma non lo e' perche' la seconda direzione e' comunque sempre sottoposta alla direzione principale.

Ora, di fronte all'affermazione che un live ha "goal" diversi, alla luce del GNS le ipotesi che si possono fare sono:

1) il gioco non ha una CA, e' incoerente.
2) esiste una CA condivisa, unica, e chi parla di quel live non la vede perche' perde tempo a dar la caccia ai "goal" dei singoli giocatori.
3) esiste qualcosa nei live, che non c'e' nei tabletop, che permette di avere CA diverse nella stessa partita.

Sono convinto che ci siano un sacco di live che in realta' appartengono alle prime due categorie (anzi, ne sono sicuro, avendoli giocati...). Il dubbio e' se esistano live che appartengano alla terza.

Cosa c'e' in un live che non c'e' nei tabletop? la prima cosa che mi viene in mente, e' la possibilita' di giocare lontani, praticamente senza parlarsi mai. Al tavolo, anche se ci si puo' allontanare con il master cinque minuti a fare qualcosa in segreto, si da' per scontato che si stia creando una storia tutti quanti insieme, uniti, immaginando tutti la stessa cosa (o almeno cose simili) e che tutti in generale parlino a tutti.

In un live con molti giocatori, un giocatore sente solo una minima parte di quello che viene detto. Percepisce una minuscola "fetta" del live. Quindi ad occhio parrebbe POSSIBILE avere giocatori diversi divisi in due "CA parzialmente condivise" diverse.

Solo che, attenzione, questo non e' l'equivalente GNS di avere "diverse storyline che si intersecano". La differenza di CA va molto piu' in profondita'. Al tavolo, una cosa simile darebbe luogo a vere e proprie incomprensioni, con mezzo gruppo che massimizza i bonus per sconfiggere un avversario e l'altro mezzo che da' per scontata la vittoria dell'avversario e gioca per interptetare la scena della propria sconfitta (una situazione abbastanza frequente nei gruppi nuovi che non si conoscono che si trovano insieme a giocare a CoC, mi dicono...). Cosi' meta' gruppo si incazza con l'altro perche' "non ha capito il gioco" o perche' "non sta giocando bene"

Ora, e' possibile che la necessita' di giocare "in character" senza scambi OOC, renda possibile comunque un "interscambio" fra giocatori che hanno CA diverse, che restando sempre all'oscuro delle motivazioni OOC degli altri, agiscono in pratica come NPC per il gruppo con diversa CA, non collaborando alla loro "partita" (non ne sarebbero proprio in grado, non condividendone nemmeno le regole) ma giocando in pratica in maniera indipendente nello stesso luogo e situazione?

E' una domanda, non credo di conoscere abbastanza i live da poter rispondere. Pero' e' un fenomeno che personalmente non ho mai avvenire in un live da me giocato. Qualcuno di voi si?
« Ultima modifica: 1970-01-01 01:00:00 da Moreno Roncucci »
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