Autore Topic: [Era Articoli sulla ludologia] Problemi sull'accreditamento accademico del BM  (Letto 4975 volte)

paglieri

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Salve a tutti, sono l'ormai famigerato Fabio (non Massimo, per pietà!) Paglieri. Intanto vi ringrazio della discussione, partita da cose che avevo scritto tanto tempo fa e poi allargatasi a temi più generali. Sarei intervenuto comunque di persona per dirvi le cose che già Daniele ha riportato, ma sono stato anticipato. Quindi mi limito a dichiarare pubblicamente la mia ignoranza sul Big Model e sui temi trattati nel sito The Forge (non solo nel 1999, anche oggi, ahimé!), però aggiungo che: (i) da una rapida occhiata dei materiali in questione, mi sembra roba validissima e che in effetti varrebbe la pena tenere ben presente in studi sul gioco di ruolo; ma (ii) non sarò io a farmi carico della cosa, perché nel frattempo i miei interessi di ricerca si sono spostati su altri temi e, banalmente, non ho proprio il tempo di riprendere in mano la faccenda. Sorry!

Per la stessa ragione, ringrazio di cuore dell'invito informale a Internoscon (bellissima iniziativa, a quanto vedo dal sito, e certamente mi divertirei parecchio a partecipare), ma le mie competenze sul tema sono troppo "outdated" per dare un contributo sensato al dibattito, e poi l'evento cade in un periodo in cui sarò all'estero per lavoro - quindi non mi riuscirà neppure di partecipare a scopo puramente ludico, purtroppo. Grazie comunque e magari un'altra volta.

Infine, approfitto di questo spazio per condividere una sensazione che mi è venuta leggendo (rapidamente, lo confesso) questo dibattito. E' solo una sensazione, proposta come spunto di riflessione e non come critica, e in gran parte figlia della mia attuale professione (psicologo, più o meno). Ve la metto come domanda: nei modelli che state discutendo, che ruolo hanno le persone? E le persone, siano esse giocatori, master o designer di giochi di ruolo (voi, insomma), cosa si aspettano da questi modelli?

Non leggeteci subito chissà quali profondità in queste domande, sono genuine curiosità e non c'è una tesi da dimostrare sotto. Mi pongo il problema come giocatore di ruolo, non come ricercatore. Nella mia esperienza, non solo di gioco ma anche lavorativa, il "bisogno di modelli" a volte è motivato dal desiderio di capire meglio la realtà, ma in altri casi è motivato (anche o solo) da considerazioni difensive: ci sembra che, senza una teoria che le sorregga, le nostre idee siano deboli, imprecise, frammentarie, indegne di essere presentate in pubblico e forse persino fonte di vergogna ("ma perché non riesco a essere un pensatore sistematico?"). Per esempio, ho conosciuto anni fa un gruppo di (ottimi) giovani psicologi che volevano fare cose (molto belle) coi giochi di ruolo in contesti problematici tipo carceri e ospedali, ma non si osavano a muovere un passo senza prima aver elaborato un loro modello teorico di riferimento. Risultato: passavano un tempo considerevole a frustrarsi con velleità accademiche che, in realtà, non li appassionavano davvero, e rimandavano l'incontro con la realtà che invece costituiva la loro vera motivazione - secondo me, beninteso.

Intendiamoci: non sto suggerendo di partire per chissà quale avventura in assenza di equipaggiamento adeguato - ogni giocatore di ruolo sa bene quanto conti l'equipaggiamento... :-) Dico solo che i modelli teorici sono mezzi, non fini. Molte dei precetti forgiti sulla costruzione di un gioco di ruolo mi paiono molto condivisibili. Non mi pare però condivisibile trattarli come indicazioni rigide, del tipo "o così oppure è una schifezza!", appunto perché questo significa asservire la propria attività pratica a regole astratte, mentre le seconde dovrebbero servire la prima. Attenzione: NON sto dicendo che qualcuno in questa discussione sia un "integralista" di The Forge, del Big Model o di qualunque altra teoria/modello vi piaccia. Vi sto chiedendo che rapporto avete con questi modelli, nel senso di cosa pensate possano servire a VOI, al di là del loro valore in genere. E ve lo chiedo perché mi interessa, non perché ho già la risposta.

Ciao,     Fabio

Ciao Fabio!

Per cominciare, ti ringrazio di esserti unito a noi per dire la tua. Il tuo articolo per me è stato molto interessante poichè, seppur all'epoca The Forge ancora non esistesse (credo), avevi già intuito e anticipato determinate cose che poi sono state riprese e analizzate meglio dalle teorie forgite - per esempio avevi già diagnosticato il problema di "schizofrenia" del tipo di esperienza proposta da molti gdr dell'epoca, che oggi in gergo forgita si chiama "CA clash" (conflitto di Agenda Creativa).

Il mio personale rapporto con il Big Model (che è perfettamente concorde con ciò che queste teorie si propongono di fare) è di puro e semplice sfruttamento. Le teorie forgite sono descrittive, non prescrittive: descrivono, appunto, il funzionamento al tavolo dei giochi. Per questo, sono uno strumento da designer, non da giocatore. Servono quando è ora di "aprire il cofano" ai giochi (o alle partite), cioè in fase di design o quando bisogna capire perchè un gioco (o una partita) non funziona.

Ti dirò: se tutto il pensiero di The Forge fosse fine a se stesso, cioè se fosse un semplice mezzo per "nobilitare" l'hobby, difficilmente mi avrebbe interessato tanto. Invece, il meglio delle teorie forgite l'ho visto (e lo vedo tutt'ora) nell'effetto che hanno avuto sui giochi prodotti: capolavori con Cani nella Vigna, per esempio, sono praticamente "manifesti viventi" di teoria forgita, eppure chi ci gioca non ha minimamente bisogno di conoscere il Big Model ne di saperne applicare gli strumenti di analisi. Il gioco, semplicemente, funziona: il rapporto "divertimento / sforzi e tempo speso" è decisamente positivo, molto più che in altri giochi più antichi (come il D&D 3a con cui sono "cresciuto").

Ricapitolando:

Citazione
[cite]Autore: paglieri[/cite]Dico solo che i modelli teorici sono mezzi, non fini.


PERFETTO, è ESATTAMENTE così! :-) Perlomeno, questo è il caso del Big Model.
Rinominato "Ermenegildo" vox populi, in seguito al censimento dei Paoli.

Ciao Fabio,
benvenuto anzitutto e grazie di aver accettato l'invito a partecipare.
Parlo per me, alcuni di noi sono arrivati attraverso un percorso simile al mio altri invece contrario, quelli che parteciperanno alla discussione diranno la loro.

All'inizio, di fronte alla teoria di The Forge ho reagito con un netto rifiuto.
E' stata l'esperienza nel provare gdr - in particolare Avventure in prima serata prodotti da game-designer che hanno fatto loro la teoria forgita che mi ha fatto cambiare radicalmente idea.
Quindi non c'è aspettativa verso il modello di per se - credo che il discorso cambierebbe se si ponesse la stessa domanda a chi ha partecipato al dibattito e alla costruzione del modello nello stesso periodo -, ma semmai sono cambiate le aspettative verso i giochi di ruolo - intendendo i manuali e il gioco espresso durante la partita - in generale.
Credo che la prospettiva cambi rispetto ai ragazzi del gruppo che citavi, perché ancor prima di essere interessati alla teoria del Big Model, si scrive qui perché si è principalmente giocatori di ruolo che si interessano anche ad aspetti teorici, ma prima di tutto, ad unirci è il gioco, mentre per i ragazzi era il tentativo di unire l'aspetto accademico ad una passione, cosa che, forse, ha condizionato l'approccio verso una certa rigidità.
Daniele "fenna" Fenaroli

TartaRosso

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Citazione
[cite]Autore: paglieri[/cite]Non mi pare però condivisibile trattarli come indicazioni rigide, del tipo "o così oppure è una schifezza!


Io credo che qualcuno qua la pensi così.
E' un attegiamento che non mi da noia ma che sarei interessato a discutere ne avessi il tempo e le forze.
Se qualcuno me la discute al posto mio mi fa paicere :) . Magari quaolcuno più esperto di me sul big model.

Specialmente credo la maggior parte degli utenti di questo forum ritenga che un gioco progettato "incoerente" (e giocato incoerente) secondo la definizone del big model non possa essere divertente come "gioco". Può essere divertente come attività sociale, come occasione di ritrovo etc etc ma non come "gioco".

Se invece non è così allora ho frainteso la maggior parte dei post che ho letto :) (che è una cosa possibile visto che non ho mai fatto questa domanda esplictamente se non a voce a chi ho incontrato).

Sul fatto invece dell'asservimento alla teoria scollegata dalla realtà. All'ambiente che ha sviluppato il big model si potranno fare tante critiche come a tutti gli ambienti.
Ma non questa. Lo posso confermare in base alla quantità di giochi che vengono prodotti dall'ambiente di the forge e dagli ambienti influenzati dal big model. Giochi che funzionano. Li ho provati sulla pelle. L'attenzione a creare giochi scritti per essere divertenti è sicuramente uno dei maggiori pregi dell'ambiente di the forge.
Simone Lombardo

Niccolò

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[cite]Autore: paglieri[/cite]Infine, approfitto di questo spazio per condividere una sensazione che mi è venuta leggendo (rapidamente, lo confesso) questo dibattito. E' solo una sensazione, proposta come spunto di riflessione e non come critica, e in gran parte figlia della mia attuale professione (psicologo, più o meno). Ve la metto come domanda: nei modelli che state discutendo, che ruolo hanno le persone? E le persone, siano esse giocatori, master o designer di giochi di ruolo (voi, insomma), cosa si aspettano da questi modelli?


il modello è una _descrizione_ dell'attività del gioco di ruolo dal punto di vista sociale/procedurale. le persone sono gli "agenti" di queste procedure. al di la del modello, si sono poi sviluppate una serie di opinioni personali dei vari autori che vanno a toccare vari argomenti e usano il modello come terminologia comune e base di partenza. sostanzialmnte l'utilità del modello è stata quella di dare definizioni più precise riguardo all'attività del gioco di ruolo, e di "scorporare" o "unire" le vecchi definizioni in mod da sottolineare come ci fosse degli accorpamenti del tutto artificiali e pregiudiziali (come il concetto stesso di master).

il big model non dice come si deve giocare, ma aiutano a descrivere come si sta giocando in maniera "non illusoria".

per curiosità personale, in che campo lavori? io mi sono iscritto a psicologia alla tenera età di 28 anni...

Mauro

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[cite]Autore: Paolo Davolio[/cite]Per questo, sono uno strumento da designer, non da giocatore

Nemmeno, direi: il Big Model è uno strumento per analizzare il gioco giocato, ma non ti dice come progettare un gioco perché funzioni; volendo scrivere un gioco, sicuramente è utile sapere che - per dire - la partita ha fatto schifo perché uno ha giocato per vincere e l'altro per la storia figa, e questo può venire dal modello. Ma il modello stesso non ti dice come fare per avere un regolamento che spinga all'una o all'altra cosa, al massimo si limita a definire le tecniche.

Citazione
[cite]Autore: TartaRosso[/cite]Specialmente credo la maggior parte degli utenti di questo forum ritenga che un gioco progettato "incoerente" (e giocato incoerente) secondo la definizone del big model non possa essere divertente come "gioco". Può essere divertente come attività sociale, come occasione di ritrovo etc etc ma non come "gioco"

Più che altro, credo che la convinzione sia che ci si diverta nonostante quei regolamenti, e non grazie a essi; in altri termini, se il gruppo arriva a funzionare è perché ha trovato un equilibrio al suo interno e ha modificato il regolamento in modo che per loro funzioni, ma in questo processo il regolamento in sé - non toccando gli aspetti sociali e partendo dall'idea "Master, se non funziona cambialo" - non aiuta.
La convinzione non credo sia che è impossibile divertirsi con i giochi tradizionali; piuttosto, che è più difficile arrivare a un equilibrio che li renda funzionali per il singolo gruppo (e, in tal senso, si vedano le esperienze di giocatori passati da un gruppo a un altro).
Inoltre, credo ci sia la convinzione che se la sessione si riduce o quasi a giocatori che ascoltano la storia del master... allora è spettacolo, non gioco. Il che può essere comunque divertente, ma quando il giocatore diventa spettatore l'aspetto di gioco viene meno.

Ciao Fabio e benvenuto sul forum!

Citazione
[cite]Autore: paglieri[/cite]Dico solo che i modelli teorici sono mezzi, non fini. Molte dei precetti forgiti sulla costruzione di un gioco di ruolo mi paiono molto condivisibili. Non mi pare però condivisibile trattarli come indicazioni rigide, del tipo "o così oppure è una schifezza!", appunto perché questo significa asservire la propria attività pratica a regole astratte, mentre le seconde dovrebbero servire la prima.

Infatti è solitamente così. Come hanno già detto altri prima di me, il big model è uno strumento descrittivo e non prescrittivo. Però, l'atteggiamento "integralista" che potresti aver notato in alcuni interventi qui o in altri lidi, è in realtà apparente. Infatti esiste ormai da diversi anni, una specie di guerra di trincea tra chi ha provato gdr forgiti ed ha notato questa reale rivoluzione copernicana nel modo di intendere il gdr, e chi non li ha provati o non li conosce abbastanza e si ostina a "difendere" il proprio modello di gioco "tradizionale", pur non conoscendo alternative. Questo è un clima poco costruttivo nel quale dibattere, ma è una realtà che noterai in diversi forum italiani.


Citazione
[cite]Autore: paglieri[/cite]Ve la metto come domanda: nei modelli che state discutendo, che ruolo hanno le persone? E le persone, siano esse giocatori, master o designer di giochi di ruolo (voi, insomma), cosa si aspettano da questi modelli?

In realtà le persone si aspettano più che altro i giochi :-)
Le teorie forgite, come mezzo, hanno fornito la base descrittiva che ha permesso a molti designer di rivalutare il gioco di ruolo come attività ludica "normale", e quindi composta da persone con distinte e precise autorità sul gioco. E stavolta, a differenza del gdr tradizionale, le regole del gioco non vivono sul piano sociale, non sono sostanziate dalle pressioni sociali su figure come il master (gli americani, tanto per capirci, chiamano il gdr tradizionale "mother may i?", riferendosi alle tipiche procedure di gioco che portano i giocatore a chiedere il "permesso" al master per qualsiasi cosa).
In altre parole, le regole del gioco parlano ai giocatori (master incluso... anzi la stessa figura del master non esiste più): intervenire sul gioco (o sulla fiction) non è più un'azione mediata dalla discrezione di un solo individuo che ha il compito di farci divertire.
Lord Zero - (Domon Number 0)

TartaRosso

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@Mauro:
Stai dicendo quello che ho scritto credo.
Cioè che se i giocatori fanno in modo che emerga una creative agenda allora il gioco diventa divertente sennò ciccia.

Ripetendo credi che un gioco progettato in maniera incoerente e giocato in maniera incoerente (non emerge una crative agenda condivisa) non possa essere divertente come gioco.

Comunque sono OT quindi chiudo qui.
Credo fra l'altro che la cosa non interessi molto perchè data come assodata dalla maggior parte degli utenti.

Quando sto un pò meglio e ne ho voglia magari apro io un topic apposito. (mi fa più fatica aprire un topic che rispondere :) )
Simone Lombardo

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