Salve a tutti, sono l'ormai famigerato Fabio (non Massimo, per pietà!) Paglieri. Intanto vi ringrazio della discussione, partita da cose che avevo scritto tanto tempo fa e poi allargatasi a temi più generali. Sarei intervenuto comunque di persona per dirvi le cose che già Daniele ha riportato, ma sono stato anticipato. Quindi mi limito a dichiarare pubblicamente la mia ignoranza sul Big Model e sui temi trattati nel sito The Forge (non solo nel 1999, anche oggi, ahimé!), però aggiungo che: (i) da una rapida occhiata dei materiali in questione, mi sembra roba validissima e che in effetti varrebbe la pena tenere ben presente in studi sul gioco di ruolo; ma (ii) non sarò io a farmi carico della cosa, perché nel frattempo i miei interessi di ricerca si sono spostati su altri temi e, banalmente, non ho proprio il tempo di riprendere in mano la faccenda. Sorry!
Per la stessa ragione, ringrazio di cuore dell'invito informale a Internoscon (bellissima iniziativa, a quanto vedo dal sito, e certamente mi divertirei parecchio a partecipare), ma le mie competenze sul tema sono troppo "outdated" per dare un contributo sensato al dibattito, e poi l'evento cade in un periodo in cui sarò all'estero per lavoro - quindi non mi riuscirà neppure di partecipare a scopo puramente ludico, purtroppo. Grazie comunque e magari un'altra volta.
Infine, approfitto di questo spazio per condividere una sensazione che mi è venuta leggendo (rapidamente, lo confesso) questo dibattito. E' solo una sensazione, proposta come spunto di riflessione e non come critica, e in gran parte figlia della mia attuale professione (psicologo, più o meno). Ve la metto come domanda: nei modelli che state discutendo, che ruolo hanno le persone? E le persone, siano esse giocatori, master o designer di giochi di ruolo (voi, insomma), cosa si aspettano da questi modelli?
Non leggeteci subito chissà quali profondità in queste domande, sono genuine curiosità e non c'è una tesi da dimostrare sotto. Mi pongo il problema come giocatore di ruolo, non come ricercatore. Nella mia esperienza, non solo di gioco ma anche lavorativa, il "bisogno di modelli" a volte è motivato dal desiderio di capire meglio la realtà, ma in altri casi è motivato (anche o solo) da considerazioni difensive: ci sembra che, senza una teoria che le sorregga, le nostre idee siano deboli, imprecise, frammentarie, indegne di essere presentate in pubblico e forse persino fonte di vergogna ("ma perché non riesco a essere un pensatore sistematico?"). Per esempio, ho conosciuto anni fa un gruppo di (ottimi) giovani psicologi che volevano fare cose (molto belle) coi giochi di ruolo in contesti problematici tipo carceri e ospedali, ma non si osavano a muovere un passo senza prima aver elaborato un loro modello teorico di riferimento. Risultato: passavano un tempo considerevole a frustrarsi con velleità accademiche che, in realtà, non li appassionavano davvero, e rimandavano l'incontro con la realtà che invece costituiva la loro vera motivazione - secondo me, beninteso.
Intendiamoci: non sto suggerendo di partire per chissà quale avventura in assenza di equipaggiamento adeguato - ogni giocatore di ruolo sa bene quanto conti l'equipaggiamento... :-) Dico solo che i modelli teorici sono mezzi, non fini. Molte dei precetti forgiti sulla costruzione di un gioco di ruolo mi paiono molto condivisibili. Non mi pare però condivisibile trattarli come indicazioni rigide, del tipo "o così oppure è una schifezza!", appunto perché questo significa asservire la propria attività pratica a regole astratte, mentre le seconde dovrebbero servire la prima. Attenzione: NON sto dicendo che qualcuno in questa discussione sia un "integralista" di The Forge, del Big Model o di qualunque altra teoria/modello vi piaccia. Vi sto chiedendo che rapporto avete con questi modelli, nel senso di cosa pensate possano servire a VOI, al di là del loro valore in genere. E ve lo chiedo perché mi interessa, non perché ho già la risposta.
Ciao, Fabio