Holliver si tira su a fatica a sedere.
Quel silenzio tutto attorno gli sembra assordante.
Allunga una mano al mantello per terra ma la ferma a mezz'aria, senza il coraggio di toccarlo.
Su quella mano ci sono ancora i segni delle unghie del gatto.
Se non lo avesse fermato...? Si chiede. Se solo non gli avesse parlato...se lo avesse lasciato andare via, per la sua strada?
Lui aveva trovato un modo di sopravvivere. Lui, comunque, viveva così, indisturbato...e avrebbe continuato a farlo, in quell'assurda città, se lui non fosse mai passato.
Il sangue continua a gocciolargli lungo il viso: sente il pulsare bruciante dei graffi sulle gote, sul petto, dappertutto. Ma non se ne accorge. Il dolore fisico è come diventato distante, appannato...come se non appartenesse a lui.
Invece, lo sguardo del gatto, adesso, gli apaprtiene. Quelle lacrime nere, il modo in cui lo ha guardato, gli sarebbero appartentui per sempre, ora.
"Perché tutte le persone che mi sono vicine si fanno male?" esclama all'improvviso "Perché tutte le persona che mi sono vicine si allontanano? Perché tutte le persone che mi sono vicine mi guardano con quegli occhi?"
Si prende la testa tra le mani e scoppia a piangere. Piange singhiozzando, quasi fino a restare soffocato. Come se non piangesse da tutta la vita.
"E' stata colpa mia" ripete "E' sempre colpa mia! Aveva ragione lui: che senso ha tornare indietro? Qui o altrove, io sono sempre io!"
GWEP.