Salve a tutti.
In questo grigio pomeriggio di fine Ottobre mi trovo finalmente a scrivere di una delle giocate che più mi ha soddisfatto in assoluto.
Parliamo ovviamente, come da titolo, di
Posthuman Pathways, gioco di Jason Pitre che, a quanto pare, ha raccolto più detrattori che estimatori tra chi lo ha provato.
Ho portato il gioco in questione alla scorsa EtrusCon (sì, i miei tempi sono geologici, per ciò che riguarda AP et similia), onde poterlo proporre ad alcune delle persone con cui, pur se online, gioco più spesso: Girolamo Castaldo, Davide Falzani e Francesco d'Arcadia.
Come potete leggere dal link posto più sopra, l'argomento di questo gioco è il cambiamento che la tecnologia porta nelle nostre vite.
Si parte dal creare un contesto, si creano dei personaggi e i loro "Drives", che altro non sono che loro tratti particolari, si impone una tecnologia di partenza e si può iniziare a giocare. La creazione di contesto e personaggi è facile e veloce, ma ciò che più ci ha colpiti è che le tematiche che il gioco tratta vengono fuori naturalmente, senza sforzi.
Nella nostra partita abbiamo ambientato le vicende in una Roma straniante, e le meccaniche ci hanno aiutato a renderla tale.
Per trattare ciò che di questo gioco mi è stato detto non funzionare, invece, farò un breve excursus sulle meccaniche:
in breve, un giocatore è "l'Apripista", uno la "Guida" (Due nel nostro caso), e uno il viaggiatore, il PG. Ciò vuol dire che si gioca a turni, ma i cambiamenti e gli eventi avvenuti nel turno di altri personaggi influenzano ciò che avviene poi nel proprio turno, cioè la narrazione è, più o meno, consequenziale.
Ad inizio partita, l'Apripista risponde ad una domanda, sempre la stessa, e cioè: " Qual è la tecnologia che ha cambiato tutto?". Da qui parte ad aprire la scena, dovendo però fare attenzione a mettere già il Viaggiatore davanti ad una piccola scelta, basata sui suoi drives. Questi non sono altro che degli aspetti di sè che il giocatore vuole che si realizzino\che non cambino, come la Visione che il personaggio ha del proprio futuro(Visione legata a possibili progressi tecnologici,ma non solo), la sua Identità, il suo Status (ciò che vuole raggiungere, come status, non ciò che ha) e il suo Rituale, vale a dire una sua specifica abitudine, che non vorrebbe che il tempo cambiasse o rendesse impossibile da realizzare.
A questo punto il Viaggiatore reagisce, quindi la palla passa alla Guida, che usando le Pressioni (png particolari, ma anche elementi astratti. La prima Pressione è il tempo, per dire.) dovrà portare il personaggio a scegliere tra due dei suoi drives, e a perderne per sempre uno.
Quando la scelta è stata fatta, il giocatore chiude la scena descrivendo in breve le conseguenze di questa scelta, quindi l'Apripista pone un'altra domanda legata agli eventi accaduti in gioco, domanda a cui risponderà l'apripista successivo. Dopo che ogni personaggio avrà avuto una scena si chiuderà un'era, per passare poi alla successiva. Le ere sono tre: Umana, transumana, postumana. Ognuna è posta ad anni di distanza dalla precedente, e mentre nella prima vediamo i personaggi lottare in gioventù per i propri ideali, nella seconda li vediamo raggiungere i propri status quo, e nella terza difendere le loro posizioni e insegnare-confrontarsi con le nuove generazioni.
La partita è scorsa piacevolmente,anche se abbiamo dovuto terminarla on line, e le (scarne) meccaniche hanno lavorato bene, compiendo il loro dovere. L'apertura della scena appannaggio dell'apripista mi ha ricordato molto i famosi "primi cinque secondi" di Gioventù Bruciata, mentre i drives si sono rivelati una semplice fonte di ispirazione per il cammino del personaggio. Una delle obiezioni che ho sentito, infatti, è che, specialmente nel caso di Rituali particolari, la scelta non è vera, perchè si potrebbe sempre officiarli o compierli in privato, e non cambierebbe niente.
Ciò che è emerso dalla nostra partita, invece, è che, quando un personaggio compie una scelta, per lui la scelta è sempre definitiva: Il mio PG aveva "scrivere sul proprio diario", ma quando ha scelto di abbandonare quel rituale, io, giocatore, sapevo che per lui
il motivo per cui compiva quel gesto non sussisteva più, e quindi non aveva più senso compierlo, nè includerlo ancora in ciò che muoveva il PG.
In conclusione, PP si è rivelato molto molto bello, ma purtroppo non per tutti: occorre molto affiatamento nel gruppo e molta fiducia tra i suoi membri; inoltre, la variante a 4 giocatori ci è sembrata più facile e scorrevole (il gioco è pensato per tre), perchè spingere sui tasti esatti non è sempre facile, e a volte ci si trova con un foglio bianco davanti. In quei casi l'apporto della seconda guida (o il dialogo con essa) e dell'apripista si è rivelato fondamentale.